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"La scienza al tempo della crisi Chi taglia e chi investe: Il rapporto OCSE 2010", di Pietro Greco

L’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo che raggruppa i Paesi con le economia di mercato più sviluppate, ha reso pubblico il suo nuovo rapporto sulla ricerca scientifica, la tecnologia e l’industria: Oecd Science, Technology and Industry Outlook 2010. È una delle fotografie a più alta definizione sullo stato di salute della scienza e dell’economia che si fonda sulla scienza. Il rapporto, di quasi 300 pagine, riguarda soprattutto i Paesi membri dell’organizzazione, ma il suo sguardo si allarga almondo intero. E poiché parla del settore, per definizione, più innovativo ci dice dove il mondo sta andando. Le tendenze sono quattro. Primo: c’è una divaricazione in seno all’Ocse. Alcuni tra i Paesi di più antica industrializzazione si sono trovati in difficoltà, hanno avuto problemi di bilancio e hanno diminuito le risorse destinate alla ricerca. Altri, pur vivendo le medesime difficoltà, hanno fatto una scelta opposta. E per uscire dalla crisi hanno aumentato gli investimenti in ricerca. Lo hanno fatto Stati Uniti e Corea del Sud, ma anche anche alcuni Paesi europei come Germania, Svezia e Austria. Questa divergenza di politiche industriali – perché di questo si tratta – potrebbe portare presto a una doppia velocità nello crescita economica tra il gruppo dei paesi più ricchi del mondo,ma anche a una divaricazione in Europa: tra un’area – centrata sulla Germania e che va dalla Scandinavia alle Alpi orientali – che corre perché sviluppa l’economia della conoscenza e un’area (quella anglo-francese e ancor più quella mediterranea) che si attarda perché non ha creduto in questa economia. Un seconda tendenza è la crescita impetuosa degli investimenti in ricerca e sviluppo dei BRIICS (Brasile, Russia, India, Indonesia, Cina e Sud Africa). I Paesi a economia emergente che, in genere, non sono stati frenati dalla crisi e hanno continuato a investire in ricerca e sviluppo. La crescita della Cina è straordinaria. Nel 2001, sostiene il rapporto, gli investimenti di Pechino ammontavano al 5% del totale Ocse: nel 2008 erano più che raddoppiati e ammontavano a oltre il 13% del totale Ocse. Ma la Cina è l’enorme punta di un iceberg più grande. Nei prossimi decenni la scienza sarà soprattutto asiatica. La terza tendenza è che questi investimenti in ricerca sono “verdi”: indirizzati soprattutto a trovare fonti di energia e nuovi materiali in grado di attenuare l’impronta umana sull’ambiente. L’unione tra scienza e green economy, dunque, è considerata strategica da questi Paesi. La quarta grande tendenza è politica. In tutti questi Paesi non è il mercato ad aver operato la scelta di puntare sulla scienza, ma i governi. In tutti gli altri paesi, Italia inclusa, la mancata scelta non è frutto del destino, ma responsabilità precisa dei governi

L’Unità 21.12.10