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"Votazioni sprint, pasticcio al Senato La vice leghista sbaglia e dà per approvati 4 emendamenti Pd-Idv", di Giovanna Casadio

Nonostante le proteste Rosi Mauro non si ferma. Schifani costretto a ripetere il voto. Due articoli si contraddicono Gelmini: rimediamo con il decreto milleproroghe. La prova provata sta su Youtube. Rosi Mauro ritiene sia il momento di procedere come un caterpillar, nonostante l´aula del Senato in tumulto. «Emendamento 6.21: chi è favorevole, chi è contrario, approvato; 6.23… approvato; 6.26 approvato». «Sospendi la seduta», le gridano dai banchi dell´opposizione. «Io proseguo nelle votazioni, vergogna», si infastidisce lei, alzando la voce. Anche i funzionari le suggeriscono la calma. Ma la vice presidente leghista – coccarda verde sul bavero della giacca; sempre accanto a Bossi nelle uscite pubbliche padane – vuole accelerare sulla riforma Gelmini. Propone votazioni a raffica, proclama i risultati. Non si rende conto di avere dato l´ok a quattro emendamenti di Pd e Idv. Finisce in autogol. Quando Schifani si siede sul suo scranno e riprende la presidenza dell´aula, annulla le quindici votazioni fatte. «Sono da rifare», decide. Democratici e dipietristi non ci stanno. «Il nostro gruppo non parteciperà alla ripetizione delle votazioni già effettuate», annuncia Anna Finocchiaro.
Un pasticcio nella confusione generale. I tempi del via libera potrebbero allungarsi. Il ministro Gelmini deve riconoscere che nel rush finale si è persa di vista la coerenza delle norme. Ci sono infatti due articoli della riforma (il 6 e il 29) che dicono tutto e il contrario di tutto. «Il governo – prende la parola la Gelmini – risolverà il conflitto nel decreto “milleproroghe”». Già stamani in consiglio dei ministri. Oggi sarà la giornata clou. In piazza gli studenti a manifestare; lo spauracchio degli scontri; a Palazzo Madama l´approvazione definitiva della riforma. Che però è in forse. Il voto finale può slittare a giovedì mattina? «Può essere», ammette il ministro.
Le votazioni concitate avevano dato il via libera a un emendamento del Pd, che prevedeva un tetto di 6.500 euro per le consulenze di professori universitari e di ricercatori a tempo pieno. Avrebbe significato il ritorno del ddl alla Camera. Il Senato ha rivotato e quell´emendamento è stato bocciato. Schifani spiega: «Con il caos in aula i senatori non sapevano cosa stavano votando». È una «bruttissima pagina parlamentare: il Senato è commissariato dal governo», denuncia il pd, Giovanni Legnini. Gerardo D´Ambrosio denuncia il vulnus al ruolo di legislatore che si sta provocando. È una giornata di caos, questa volta non in piazza ma in Parlamento.
Gli studenti si appellano al presidente della Repubblica, Napolitano perché non firmi il ddl: «Non lo faccia – gli scrivono – Non cancelli il diritto allo studio, così sarà in piazza anche lei al nostro fianco». E a Palazzo Madama la bagarre inizia dal mattino con lo scontro sui “pianisti”, quei senatori che votano per chi non è presente. Ce n´è uno illustre, nei banchi del governo, ovvero il ministro dei Beni culturali, Sandro Bondi fotografato mentre allunga la mano nella casella del collega assente Maurizio Sacconi. Il capogruppo di Idv, Felice Belisario chiede le dimissioni di Bondi o in alternativa la riunione della giunta per il regolamento. Il vice capogruppo del Pdl, Gaetano Quagliariello ricorda che Gianrico Carofiglio, senatore del Pd, che votava per un collega (però presente in aula) era stato richiamato in modo soft. Scaramucce. I toni si accendono in un crescendo mentre la maggioranza prova a forzare sui tempi anche per evitare ripensamenti dei finiani che hanno garantito il loro ok. Il Pd parla di «analfabetismo giuridico» a proposito degli articoli che regolano contraddicendosi il rapporto tra gli assistenti di ruolo, i ricercatori, i tecnici laureati. Fino allo show di Rosi Mauro. I dipietristi mandano il filmato sulla webtv del partito e poi su Youtube. La frittata è fatta.

La Repubblica 22.12.10

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Zanda: la legge favorisce i figli dei ricchi

Questa legge toglie autonomia e non consente controlli sulla valutazione e dei docenti. “Dobbiamo condannare la violenza, ma gli studenti vanno ascoltati”.
«Questa non è una riforma, ma solo una legge che tradisce il diritto allo studio. Una pessima norma che ci vogliono far votare a scatola chiusa grazie a una presidenza del Senato che lavora per il governo». Il vicecapogruppo del Pd a Palazzo Madama, Luigi Zanda, boccia il ddl sull´università e punta il dito contro il presidente Renato Schifani.
Senatore Zanda, perché vi opponete a questa riforma?
«Perché prevede il taglio delle borse di studio, favorendo i figli dei ricchi, ed elimina l´autonomia degli atenei dando il potere regolamentare al governo. Per non parlare degli assurdi incentivi ai residenti per farli rimanere nell´università vicina».
Però prevede norme contro le parentopoli.
«Norme che riguardano la gestione e che sono condivisibili. Ma non è una riforma. Al di là degli annunci sulla meritocrazia, questo ddl togliendo autonomia alle università non consente veri controlli sulla valutazione dei docenti e sul merito».
Perché la maggioranza ha tanta fretta di approvare questo ddl?
«Pensano che portare in porto subito questa legge sia un merito, invece norme così delicate che riguardano il futuro del nostro Paese andrebbero discusse e approfondite».
Per questo in aula ci sono stati momenti di tensione?
«Purtroppo, anche grazie alla gestione dell´aula da parte del presidente Schifani, si procede a tappe forzate per venire incontro alle richieste del governo. Ormai siamo diventati un braccio operativo dell´esecutivo».
Dopo gli scontri dei giorni scorsi, gli studenti oggi torneranno in piazza. Per Berlusconi la sinistra «fomenta la violenza».
«Dobbiamo condannare senza esitazione la violenza. Ma gli studenti hanno il diritto a essere ascoltati. Invece governo e maggioranza vogliono solo imporre una riforma che riforma non è».

La Repubblica 22.12.10

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“Madama che voto”, di Matteo Bartocci

L’università costringe la maggioranza agli straordinari. Al senato il ministro Bondi vota per due e la vicepresidente Mauro fa tutto da sola. Approva e boccia emendamenti a raffica, poi Schifani annulla tutto. Gelmini ammette: legge da correggere, slitta l’ultimo sì. C’è un buco nella «matrice» berlusconiana. Anzi, una voragine. In quella che è considerata una roccaforte del governo come palazzo Madama, maggioranza, presidenza del senato e ministra Gelmini inanellano una serie di gaffe, prepotenze e strappi procedurali che solo con la negazione della realtà pura e semplice si può fare finta che niente sia accaduto. Realtà però che – complici la tv e soprattutto internet – non può più essere riavvolta a piacimento. La seduta di ieri passerà alla storia.
Il governo fallisce nel suo intento. La riforma Gelmini delle università sarà approvata molto probabilmente soltanto oggi. Ma è un risultato che il centrodestra deve incassare a caro prezzo.
La giornata era iniziata con l’ostruzionismo, pacatissimo, di Pd e Idv sui primi articoli del ddl Gelmini. Procedure di routine, rallentamento dei tempi, tutto ben collaudato e noioso. Anche perché il regolamento del senato (do you remember l’era Prodi?) è ferreo e non concede troppi margini all’opposizione. L’intento tuttavia è chiaro: modificare anche solo una virgola del testo costringerebbe il ddl a tornare alla camera per la quarta lettura, consegnando agli studenti una vittoria di giornata o almeno una tregua.
Pdl e Lega fanno quadrato. Ma il Pd scova un’incongruenza nel ddl che rischia di diventare il classico granello nell’ingranaggio. C’è una norma sui «professori aggregati» (all’art. 6) che modifica la vecchia legge Moratti del 2005. I democratici fanno notare che lo status di questi professori ibridi viene modificato in due modi diversi e che all’articolo 29 del ddl Gelmini quella parte della legge Moratti viene addirittura abolita. Delle due l’una: o viene modificato dall’art. 11 (e allora decade l’art. 29) oppure viceversa. Si accende la bagarre. Il sottosegretario all’Istruzione Pizza ammette il problema e dice che il governo cambierà il punto contestato solo nel milleproroghe.
Il clima si scalda. Se il problema esiste allora perché non si può intervenire subito?, chiedono le opposizioni. Nel caos, arriva la presidente di turno Rosi Mauro. Come un elefante imbizzarrito legge un parere degli uffici del senato che esclude problemi procedurali. Il Pd si ribella e a quel punto Mauro fa il secondo patatrac. Come un’invasata fa votare l’aula per alzata di mano per ben 17 volte. In 4 occasioni però, evidentemente fuori di senno, annuncia che sono stati «approvati» 3 emendamenti del Pd e 1 dell’Idv. La seduta è sospesa. Due danni in poche ore: c’è un ddl che va avanti con una norma «suicida» sui docenti aggregati e alcuni emendamenti approvati. Governo ko? Qualcuno si immagina già che Napolitano potrebbe non firmare. Passano più di due ore.
Alle 18.50, come un cherubino diabolico, alla guida del senato torna Renato Schifani. Il presidente annuncia subito che le votazioni indette da Mauro vanno ripetute. E che sul «nodo» emendamenti deciderà in nottata un’apposita giunta per il regolamento. Svela però che la richiesta di ripetere il voto è venuta per prima da Pd e Idv in una lunga riunione «informale» dei capigruppo. Finocchiaro, in aula, non nega la richiesta: «Ma tutto il mondo ha visto quello che è successo». Su Internet gli emendamenti sono passati.
Per un’ora la seduta si dilunga sui pro e i contro. Pd e Idv usano ottimi argomenti contro la ripetizione del voto. E a proposito di alleanze: il «terzo polo» Udc, Mpa, Fli e Api si accoda ai desideri del governo. L’opposizione è sola. In mezzo al caos, la ministra Gelmini chiede la parola. Le hanno allungato un testo scritto che lei legge con la faccia più dialogante del mondo: «Cambieremo i punti critici nel milleproroghe». Apriti cielo. Ogni parvenza istituzionale è caduta. «Così la pezza è peggiore del buco», sbotta D’Alia dell’Udc. Non si può cambiare per decreto una norma che non è ancora legge. Dunque sarà fatto nella conversione, tra due mesi. E nel frattempo? Rutelli (Api) propone un «lodo»: ripetiamo le votazioni ma il Pdl approvi il testo del Pd che sana le incongruenze. Schifani alterna scivoloni (chiama Mauro «la mia vicecapogruppo» invece che «vicepresidente») a una certa maestria da avvocato. Pur di non tornare alla camera il governo ha fatto e farebbe ancora carte false. Nella notte si tratta.

Il Manifesto 22.12.10

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