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"Test di italiano per i migranti fra vessazione e opportunità", di Fabrizio Dacrema

Nato come un’ulteriore vessazione del governo nei confronti degli immigrati, il test di lingua italiana obbligatorio per ottenere il permesso di soggiorno può diventare un’opportunità di integrazione e di potenziamento dell’offerta formativa per gli adulti. A condizione che il sistema formativo pubblico sia messo in grado di gestire i test e di assicurare i percorsi formativi necessari. I migranti sono i primi ad essere consapevoli dell’importanza di conoscere la lingua italiana, i diritti e i doveri di cittadinanza per integrarsi positivamente nella nostra società: infatti, la domanda di formazione, in particolare linguistica, proveniente dai migranti è già oggi ampiamente superiore all’offerta pubblica. In particolare i CTP (Centri Territoriali Permanenti per l’Educazione degli Adulti) nella maggior parte dei casi non riescono a far fronte alle richieste formative e devono ricorrere a liste di attesa, riduzione dei tempi scuola, smistamento ad altri enti e associazioni. Ora che la conoscenza della lingua al livello europeo A2 (livello pre-intermedio o «di sopravvivenza») diventa obbligatoria per legge, occorre un salto di qualità degli interventi per garantire la formazione linguistica certificata a tutti gli immigrati che chiedono il permesso di soggiorno. L’accordo quadro tra Ministero dell’Interno e Ministero dell’Istruzione del 17 novembre, applicativo decreto del Ministero degli Interni del 4 giugno 2010, attribuisce ai CTP il compito di svolgere i test di lingua italiana per gli immigrati interessati a un permesso di soggiorno di lungo periodo. La prima cosa da evitare è che il tutto si risolva in un accordo burocratico tra amministrazioni ministeriali, con il risultato facilmente prevedibile di scaricare tutta l’operazione sui CTP, le cui capacità gestionali e organizzative sono oggi palesemente inadeguate a fronteggiare una domanda la cui consistenza si prevede molto ampia (gli interessati alla richiesta di soggiorno lungo sono circa 400.000). Occorre invece avviare immediatamente tavoli di confronto e coordinamento, regionali e provinciali, in cui siano presenti, oltre alle istituzioni interessate, le organizzazioni sindacali e le rappresentanze dei CTP. L’obiettivo è di progettare gli interventi, definire le modalità didattiche e organizzative, realizzare la formazione specifica dei docenti, garantire le condizioni professionali dei docenti e la retribuzione del loro impegno aggiuntivo, verificare la presenza nelle sedi individuate degli spazi e delle strumentazioni informatiche necessarie, monitorare le attività avviate. Un effettivo “Piano integrato di interventi”, come previsto dall’Accordo Quadro, volto ad assicurare le attività necessarie per lo svolgimento del test di conoscenza della lingua italiana necessita di questi tavoli di concertazione, senza i quali non si possono attivare le sinergie necessarie, né avvalersi delle competenze utili per un’operazione delicata come quella della certificazione di competenze. Occorre innanzi tutto verificare se le risorse disponibili, quelle del FEI (fondo europeo per l’integrazione) sono sufficienti, visto che consentono in prima battuta di soddisfare una richiesta di circa 125 mila stranieri (i fondi arriveranno alla istituzione scolastica da cui dipende il CTP direttamente dalle prefetture). Non ci sono invece risorse “per agevolare l’acquisizione dei livelli di istruzione per l’orientamento civico”, anche questo previsto dall’Accordo Quadro, ma che evidentemente rischia di rimanere lettera morta. La stessa mancanza totale di risorse disponibili riguarda l’attivazione di corsi di formazione per la preparazione degli immigrati al superamento del test. Eppure solo pochi immigrati possono presentarsi direttamente al test, la maggior parte ha bisogno di acquisire competenze linguistiche mediante corsi che tengano conto del livello di partenza (vi sono anche casi di analfabetismo nella lingua originaria). La progettazione dei corsi dovrà quindi tener conto dell’attestazione delle competenze in ingresso e, sulla base di questa, definire la durata e i contenuti necessari. È del tutto evidente che le esigenze prospettate da questi nuovi provvedimenti del governo sono in palese contraddizione con i tagli che in questi due anni hanno ridotto gli organici del CTP. Urge una immediata inversione di tendenza per evitare che gli immigrati siano obbligati a conoscere la lingua italiana e contemporaneamente siamo impossibilitati ad apprenderla. Anche per evitare che un investimento, ormai realizzato per attivare i test, si riduca a mero adempimento formale, senza produrre lo sviluppo di competenze utile a migliorare le condizioni di integrazione e di convivenza interculturale della società. Per questo occorre cambiare il Regolamento dei prossimi CPIA (Centri Provinciali per l’Istruzione degli Adulti), in fase di approvazione definitiva: dopo la “cura Tremonti-Gelmini” non prevede più l’insegnamento agli immigrati dell’italiano come seconda lingua, ma un’offerta formativa esclusivamente finalizzata all’acquisizione di titoli di studio. Nell’immediato i tavoli territoriali, oltre a rivendicare nuove risorse e il cambiamento del regolamento dei CPIA, dovranno ricercare tutte le possibili integrazioni e sinergie tra le diverse offerte formative del territorio al fine di garantire il più alto livello possibile di risposta alla domanda formativa degli immigrati

da ScuolaOggi 27.12.10