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Battisti: Appello del Pd al Presidente Lula

Il testo della lettera che Piero Fassino, Emanuele Fiano e Andrea Orlando, presidenti, rispettivamente, dei forum Esteri, Sicurezza e Giustizia del Partito Democratico, hanno inviato questa mattina all’Ambasciatore brasiliano a Roma Josè Viegas Filho: “Chi ha scelto la violenza e l’omicidio come strumento di lotta contro le istituzioni democratiche e contro inermi cittadini deve saldare il proprio conto con la società. Le vittime del terrorismo non siano private del loro diritto ad avere giustizia”
“Ci rivolgiamo al Presidente del Brasile Lula, che, come dirigenti del Partito democratico e militanti da sempre del fronte progressista in Italia, abbiamo sempre apprezzato e sostenuto.Mentre prosegue l’assordante silenzio del nostro governo, ci rivolgiamo a Lula, uomo di sinistra, perché pensiamo che nessun principio garantista e nessuna salvaguardia dei diritti universali dell’uomo può giustificare l’eventuale non concessione dell’estradizione per il terrorista Cesare Battisti, condannato in Italia all’ergastolo per quattro omicidi compiuti negli anni di piombo. In Italia esiste un ordinamento che prevede tre gradi di giudizio, garantisce il diritto alla difesa, assicura il pieno rispetto delle garanzie della persona, anche quando questa è giudicata in contumacia. Il movimento terroristico, del quale Battisti faceva parte, ha seminato morte, dolore e sofferenza, contribuendo a interrompere un processo di crescita civile e sociale, e ha avuto come bersagli principali le istituzioni, le forze democratiche, le organizzazioni dei lavoratori. Per questo ci auguriamo che il Brasile non assuma la decisione di non concedere l’estradizione di Battisti, scelta che contrasterebbe con fondamentali principi di diritto e di giustizia. Chi ha scelto la violenza e l’omicidio come strumento di lotta contro le istituzioni democratiche e contro inermi cittadini deve saldare il proprio conto con la società. Le vittime del terrorismo non siano private del loro diritto ad avere giustizia”.

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“Lo Scempio dell’ipocrisia”, di Benedetta Tobagi

Attendiamo oggi, con preoccupazione, l´ultimo atto del presidente uscente Lula, che deve decidere se negare (secondo il parere già espresso dall´avvocatura di Stato brasiliana) l´estradizione del terrorista pluriomicida Cesare Battisti, un criminale comune “politicizzatosi” in carcere, dopo l´incontro col militante dei Pac Arrigo Cavallina, e condannato in contumacia con una sentenza la cui correttezza – con buona pace di Fred Vargas – è stata riconosciuta anche dal Tribunale supremo federale del Brasile.
Il pensiero corre ai famigliari dei quattro uomini per i cui omicidi Battisti è stato condannato: il maresciallo degli agenti di custodia Antonio Santoro, 52 anni, del poliziotto 25enne Andrea Campagna, il gioielliere Torregiani, 43 anni, il macellaio Lino Sabbadin, 46 anni, assassinati tra il ‘78 e il ‘79. La concessione dell´asilo politico a Battisti sarebbe l´ennesima ferita, per loro e per la giustizia italiana.
Nell´attesa, profondo è lo sconcerto per le cronache e i retroscena politici emersi negli ultimi giorni. La pagina nera della gestione vergognosa di questa vicenda di estradizione va ad aggiungersi alle gaffes collezionate dal premier Silvio Berlusconi all´estero, oggetto di scherno (per gli stranieri) e profondo imbarazzo (per buona parte dei cittadini italiani), che negli anni hanno degradato l´immagine dell´Italia e della sua diplomazia. E sì che la vicenda è antica, e si sa quanto sia delicata, su molteplici fronti. Nel campo dei rapporti bilaterali, la legittima domanda della giustizia italiana si scontra con la Realpolitik, nutrita dai fortissimi interessi economici che legano Italia e Brasile: basti ricordare che Lula l´altroieri stava inaugurando un nuovo stabilimento Fiat in Brasile, oppure Telecom, che considera il Brasile “una seconda patria”, o l´accordo di partnership militare, 5 miliardi di forniture militari da Finmeccanica e Fincantieri (che imporrebbe al ministro della Difesa La Russa un imbarazzato silenzio, anziché dichiarazioni ammiccanti a un generico boicottaggio). Sul fronte interno del Brasile, dove si profila una frattura tra il Tribunale supremo federale e il presidente con i lobbisti pro-Battisti del Partito dos Trabalhadores, legati da vecchie amicizie e interessi più o meno inconfessabili. In Italia, non si tocca solo una ferita aperta: il no di Lula significherebbe essere bollati davanti all´opinione pubblica internazionale dal leader di un partner strategico nonché decima potenza economica del mondo come una specie di dittatura fascista con tribunali inaffidabili e carceri stile Guantanamo, dove l´”eroico combattente politico” redento rischierebbe la vita. La mancata estradizione sarebbe un oltraggio allo stato di diritto in Italia.
Tempo ce n´era, gli incontri non sono mancati. Il Parlamento aveva dato nel novembre 2009 una rara prova di serio impegno bipartisan, a dimostrazione dell´importanza politica del caso Battisti. Invece si è lasciato esplodere il bubbone. Ora i politici di centrodestra si affannano a ostentare atteggiamenti intransigenti e stracciarsi pubblicamente le vesti – almeno sulla scena – ma cos´hanno fatto, nella sostanza, per cercare di gestire, politicamente, diplomaticamente, una crisi che si trascina da anni? Proprio la classe di governo che non perde occasione di agitare in maniera intimidatoria e falsificante lo spettro di un ritorno degli “anni di piombo” (risuona ancora l´eco delle “parole in libertà” di Gasparri che disserta di “7 aprile” senza sapere di cosa si tratti, e sbagliando persino l´anno), ha dimostrato di essersi mossa in modo goffo e ipocrita in una questione concreta, una ferita aperta lasciata dalla stagione dei terrorismi italiani. Abbiamo appreso, peggio!, di rassicurazioni e “garanzie” offerte in privato da Berlusconi che il no all´estradizione non avrebbe creato problemi. Se si può dubitare della buona fede del senatore brasiliano Eduardo Suplicy, fiero sponsor di Battisti, altrettanto triste scetticismo suscitano le smentite da Palazzo Chigi da parte di un premier che è uso invalidare dichiarazioni battute dalle agenzie e riprese dalle telecamere. Sarà stato “frainteso” ancora una volta?
È la Realpolitik, il diritto che si scontra con la ragion di Stato. Ma i cittadini hanno diritto di pretendere che venga risparmiato loro lo scempio dell´ipocrisia, il disprezzo esibito per la giustizia. Questo teatrino è sale sulle ferite aperte nella carne della verità storica, continuamente sfregiata, dalla visione fantapolitica dei brasiliani, dalle ricostruzioni sentimentali di Carla Bruni Sarkozy, che come ex modella e cantante non pare persona titolata a offrire ricostruzioni perspicue sul terrorismo diffuso di fine anni Settanta.
Dopo il no dell´avvocatura ci sono poche speranze. Vedremo cosa farà, concretamente, il governo, per dar seguito alle dichiarazioni di sdegno della notte scorsa. Intanto, ancora una volta, la sua condotta sciatta nella gestione del caso Battisti torna a ricordarci quanto poco la legge sia uguale per tutti, e sempre vacilli davanti agli interessi economici. Sarebbe davvero un brutto modo di chiudere il 2010.

La Repubblica 31.12.10

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“Quel pasticciaccio brutto di Battisti”, di Miguel Gotor

Sono ore decisive per la richiesta di estradizione di Cesare Battisti, una brutta storia da qualunque angolazione la si guardi.
È brutta la vicenda del protagonista, un assassino che ha travestito di ragioni ideologiche la propria pulsione di morte sperando furbescamente di nobilitarla.
È stato condannato all’ergastolo per quattro omicidi commessi tra il giugno 1978 e l’aprile 1979, quando militava nei Proletari armati per il comunismo, una di quelle sigle “mordi e fuggi” nate durante il movimento del 1977 per concorrenza ed emulazione con la “ditta” originaria, le Brigate rosse, come tanti satelliti impazziti dentro la galassia del cosiddetto “partito armato”. Estetismo, giustizialismo, ribellismo, superomismo sono i tratti dominanti di un’azione terroristica che ha preteso di fare la rivoluzione uccidendo un gioielliere come Pierluigi Torregiani, un macellaio come Lino Sabbadin o esponenti delle forze dell’ordine come Antonio Santoro e Andrea Campagna. Una storia di morte e di dolore, come quello che non ha tregua di Alberto Torregiani, figlio del gioielliere assassinato e finito su una sedia a rotelle per un colpo sparato dal padre durante il conflitto a fuoco con gli attentatori.
L’ideologo delle Brigate rosse Enrico Fenzi polemizzò duramente con questa area sovversiva e con l’idea di volere rifare la storia della sinistra extraparlamentare senza le Br, elaborando una contrapposizione teorica postuma e fittizia tra i corpi “visibili” cattivi – le Br e lo Stato – dediti rispettivamente alla lotta armata e alla sua repressione, e i cosiddetti “invisibili”: i giovani buoni, innocenti e libertari del movimento del 1977, i quali sarebbero rimasti schiacciati da uno scontro tra apparati contrapposti che non li avrebbe minimamente riguardati. Una bella favola, buona per addormentarsi negli anni 80 senza troppi rimorsi per poi risvegliarsi, nel decennio successivo, dall’altra parte: indifferenti, qualunquisti, inquieti, annoiati, indignati, di destra o, al massimo pensionati baby da 19 anni, sei mesi e un giorno.
La storia di Battisti è brutta perché anche nel suo caso è stata applicata la cosiddetta dottrina Mitterrand, in base alla quale la Francia ha negato negli anni 80 l’estradizione a quanti avessero abiurato la violenza e fossero perseguiti per crimini di natura politica diretti contro qualunque Stato, a patto che non fosse quello francese. Inutile girarci intorno: l’argomento formale che ha motivato tale pratica non scritta è stato quello di omaggiare un’antica tradizione di ospitalità risalente ai tempi della Rivoluzione francese, ma la ragione sostanziale è che la Francia, nell’inedito ruolo di terzo giocatore fra i due blocchi principali in cui era diviso il mondo della guerra fredda, e alla perenne ricerca di una grandeur perduta, ha preferito garantire l’impunità a soggetti politici funzionali a destabilizzare l’Italia attraverso la lotta armata per favorire gli interessi nazionali transalpini nello scacchiere mediterraneo.

La vicenda di Battisti è brutta anche per l’atteggiamento di un certo milieu culturale transalpino: il fatto è che il terrorista si è trasformato in scrittore di successo durante la latitanza, e dunque uno scrittore di successo non può essere privato della libertà, perché la sua libertà vale di più di quella dei comuni mortali. In Francia si è così sviluppato un movimento di sostegno in suo favore che ha sciaguratamente contaminato anche settori, per quanto minoritari, del Partito socialista: nulla più di questa campagna misura la distanza culturale e civile intercorrente tra l’Italia che ha combattuto e vinto il terrorismo nel rispetto della Costituzione, a differenza di quanto avvenuto in Francia con la guerra di Algeria, e quel misto di supponenza, radicalismo e ipocrisia che troppo spesso caratterizza la parte peggiore del gauchismo d’oltralpe.

Ma la storia è brutta poiché certamente oggi Battisti è un altro uomo rispetto a quello fuggito nel 1981 e la sua eventuale estradizione riproporrebbe il drammatico contrasto tra l’inestinguibilità di un reato come l’omicidio e l’assurdità di una pena tanto differita nel tempo: è stata l’Italia con Cesare Beccaria ad avere insegnato al mondo che punire non è solo risarcire la vittima, ma anche rieducare il colpevole, una possibilità oggi preclusa.
Infine, questa vicenda è brutta perché coinvolge un presidente dalla storia prestigiosa come quella di Lula, che, nel caso in cui concedesse il diritto di asilo, sbaglierebbe confondendo la sua biografia di militante socialista e di perseguitato da un regime dittatoriale con quella di un delinquente dalla penna affilata, che in Italia ha goduto allora e godrebbe oggi di tutte le garanzie democratiche. Sarebbe il modo peggiore per concludere un’esperienza di governo di grande spessore politico e civile.

Il Sole 24 Ore 31.12.10