lavoro

Bersani a Marchionne:«Errore escludere chi dissente», di Simone Collini

È sbagliato escludere chi dissente. Un principio che deve valere anche per la Fiat. Pier Luigi Bersani stigmatizza l’esclusione della Fiomdalla rappresentanza di Mirafiori, pur riconoscendo la necessità che l’azienda investa. Il leader del Pd nega che il suo partito sia diviso sull’accordo per Pomigliano. E anche se ammette che tra i suoi la «discussione »non manchi (anzi, in generale dà un 6 meno al Pd in fatto di coesione interna, di contro a un 7 in iniziativa politica), dice che sull’operazione di Marchionne non ci sono distinguo di fondo: «Abbiamo una posizione molto chiara e la sosteniamo tutti». Questa. «Primo punto: la questione produttiva, l’investimento e la nuova organizzazione del lavoro. Su questo i lavoratori si pronunceranno, rispetteremo le loro decisioni,ma noi ci auguriamo che l’investimento venga confermato perché è molto importante per Torino e per l’Italia», dice il leader del Pd in un’intervista a Sky Tg24. «Secondo: quell’accordo contiene una cosa che non va e che riguarda la rappresentanza», aggiunge però. «Per noi non è giusto che chi dissente venga tagliato fuori dai diritti sindacali», spiega. «Chi dissente non può impedire che si vada avanti ma non può essere buttato fuori dai diritti sindacali». Il Pd a questo punto auspica che le organizzazioni sindacali lavorino per arrivare a un accordo sul tema della rappresentanza. E incalzerà il governo affinché su questo punto non faccia, per dirla con Bersani, l’«agnostico». «Il governo dovrebbe favorire questo percorso – dice il leader del Pd – voglio sapere cosa pensi di questi meccanismi di partecipazione ». Se chi di dovere non si occuperà di tali questioni, ammonisce, se non verrà corretto questo «andamento», «c’è una palla di neve che può diventare una valanga e consegnarci una situazione assolutamente frantumata del Paese, una cosa che non serve a nessuno».
SFIDA AL GOVERNO Insomma, il caso Pomigliano come questione esemplare di un più generale caso Italia. Per Bersani, se andrà avanti a impegnarsi nella campagna acquisti in Parlamento e a disinteressarsi dei problemi del paese, il governo difficilmente andrà oltre il mese di gennaio. Il leader del Pd esclude l’ingresso dell’Udc nell’esecutivo e rilancia al Terzo polo e a tutti quanti sono interessati ad andare «oltre Berlusconi» la proposta di un patto costituente che preveda una riforma della Repubblica e «un grande patto per il lavoro e la crescita». Bersani sa che alla ripresa dei lavori parlamentari il fronte Pdl-Lega avrà serie difficoltà in Aula (dove andrà discussa la mozione di sfiducia al ministro Bondi) e soprattutto nelle commissioni dove si discute di federalismo: la commissione Bilancio e quella Affari costituzionali. In entrambe l’opposizione, dopo lo spostamento dei finiani, è maggioranza. E pensando anche a questi nuovi equilibri, il leader del Pd rispedisce al mittente l’offerta di Calderoli di un confronto per fare assieme le riforme istituzionali, compresa quella dello Stato: «Noi riteniamo di essere federalisti, abbiamo una nostra proposta. Se ragioniamo sulla nostra bene, altrimenti, se Calderoli si tiene la sua, noi non ci stiamo». Il ministro leghista replica a distanza con toni concilianti, proponendo per i primi dieci giorni di gennaio di lavorare «per dare finalmente concrete risposte al Paese». Parole che il Pd lascia però cadere nel vuoto. Del resto, dice Bersani pensando ai nuovi equilibri parlamentari ed essendo ancora tutt’altro che rassegnato all’idea di non veder nascere un nuovo governo di «responsabilità istituzionale », se la situazione dovesse precipitare il responsabile sarebbe uno solo. «Sulle elezioni io non ci scommetto – dice il leader del Pd – deve scommetterci Berlusconi: se ci arriviamo, però, è la proclamazione del suo fallimento totale».

L’Unità 31.12.10

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Gli operai della FIAT scrivono alla sinistra

Cari Pier Luigi Bersani, Nichi Vendola e Antonio Di Pietro… » inizia così la lettera di 47 operai della Fiat che scrivono ai leader dell’opposizione. La lettera è stata recapitata al Giornale di proprietà della famiglia Berlusconi ed è stata pubblicata ieri dal quotidiano. Sul tavolo la questione degli accordi a Pomigliano e Mirafiori. «Noi abbiamo votato Sì e non accettiamo più la vostra ipocrisia…». Gli operai pongono 10 domande ai tre politici: «Secondo voi, noi siamo contenti di lavorare in fabbrica? Secondo voi, noi che guadagniamo 1.200 euro mensili non vorremmo guadagnare di più lavorando anche meno? Secondo voi, oltre la proposta di Marchionne avevamo altro? Secondo voi, se la Fiom avesse proposto una valida alternativa al piano, invece di limitarsi alla legittimità del referendum ed esortare solo per un No, l’avremmo fatto? Secondo voi, se avessimo avuto una legge che tutelasse i lavoratori sulla malattia (anche i primi tre giorni) non sarebbe stato meglio? Perché non avete riformato la legge quando eravate al governo? Secondo voi, se avessimo avuto una legge che prevedeva più pause durante il lavoro non era meglio? Perché non avete riformato i decreti legislativi quando eravate al governo? Secondo voi, è giusto che ai sindacati di base in Fiat non viene riconosciuto il monte ore permessi per il direttivo e alla Fiom – che non firma nulla – viene riconosciuto tutto? Perché fate due pesi e due misure? Secondo voi, continuando a dire che Cisl e UIl sono i sindacati servi dei padroni aiutate la classe operaia? Secondo voi, gli operai si sono dimenticati di quando avete votato in Parlamento l’inizio del precariato attraverso il pacchetto Treu? Secondo voi, difendendo le soli ragioni della Fiom state portando il giusto rispetto a quegli operai non iscritti al sindacato del metalmeccanici della Cgil? Credeteci – conclude la lettera – che il contratto nazionale di lavoro non è morto a Pomigliano e neanche a Mirafiori, credeteci che i diritti non sono caduti a Pomigliano o a Mirafiori…».

Stefano Fassina – responsabile economia del PD
«L’accordo? Strappo alla democrazia»
Consente l’avvio di investimenti, ma il prezzo è insostenibile Abbiamo indicato un percorso alternativo e praticabile E non abbiamo mai distinto fra operai buoni e cattivi

La lettera a “Il Giornale” di alcuni operai di Pomigliano esprime un punto di vista noto al Pd. Noi, sin dall’avvio di “Fabbrica Italia”, non abbiamo semplificato, non abbiamo distinto tra operai a schiena dritta per il «no» e operai piegati per il «sì». Chi scrive è figlio di operaio e ha incrociato negli occhi paterni la tensione tra lavoro e dignità. Il Pd ha sottolineato il dramma comune dei lavoratori e delle lavoratrici e delle organizzazioni sindacali impegnate a rappresentarli, divise tra resistenza ideologica e rassegnazione pragmatica: la drammatica asimmetria nei rapporti di forza tra capitale finanziario, libero di fare shopping di lavoro low cost nella dimensione globale dell’economia e soggetti riformisti, politici e sociali, prigionieri della dimensione nazionale. La sinistra non è stata immobile al governo. Il precariato non è colpa di Tiziano Treu. Purtroppo, nonostante le mitologie giuslavoristiche, le leggi non fermano la storia. Soltanto una tenace azione riformista a tutto campo e la riorganizzazione sovranazionale della politica promuove la dignità del lavoro. Il centrosinistra ha avviato il processo. Nel 1996 ha portato un paese in ginocchio nell’euro, unico porto nella tempesta in corso; nel 2007, con Romano Prodi, ha varato, insieme a tutte le forze economiche e sociali e con il sì di oltre 5 milioni di lavoratori, il “Protocollo per la riforma del welfare” per tenere insieme lavoro e diritti, in particolare per le generazioni di lavoratori più giovani segnate dal precariato. Nella stessa fase, ha anche avviato una vera politica industriale per l’innovazione e la qualità, i diritti, le condizioni del lavoro e retribuzioni decenti.È vero, il centrosinistra non è stato all’altezza della sfida ed il Pd è nato per raccoglierla. Ma le destre populiste procedono in direzione opposta: preservano le rendite in ogni campo e, per compensare, abbattono i diritti dei lavoratori. Su Pomigliano e Mirafiori, gli accordi sottoscritti consentono l’avvio di rilevanti investimenti, ma sul piano della rappresentanza e della democrazia compiono strappi insostenibili. Abbiamo indicato un percorso alternativo e praticabile: per risolvere il problema dell’esigibilità, ossia il pieno rispetto, degli accordi sottoscritti, requisito decisivo per gli investimenti, abbiamo proposto un’intesa interconfederale e poi una legge sulla rappresentanza e la democrazia sindacale per definire le condizioni di validazione dei contratti, chiarire il perimetro dei diritti indisponibili, confermare la piena agibilità sindacale per chi dissente dalle scelte della maggioranza dei lavoratori e delle lavoratrici, promuovere la partecipazione dei lavoratori alla vita dell’impresa. Continueremo a batterci per una Repubblica democratica fondata sul lavoro.

Antonio Di Pietro – leader dell’Italia dei Valori

«Noi vi difendiamo Marchionne no»

Di Pietro agli operai: «Le rivendicazioni scritte nella lettera sono fatti che la politica deve risolvere. Non lo fa certo l’Ad Fiat: vuole smanntellare i diritti e portare l’azienda all’estero»

La lettera aperta di alcuni operai di Pomigliano, pubblicata dal quotidiano Il Giornale, parla delle loro condizioni di lavoro su cui vengono caricate la responsabilità del governo, per le mancate scelte di politica industriale, e della Fiat a causa delle gravi difficoltà finanziarie e di prodotto in cui versa. La Fiat da due anni perde una quota di mercato doppia rispetto alla media europea. Le questioni concrete, e non ideologiche, su cui la politica deve dare risposte sono sui ritmi di lavoro elevati, sugli stipendi da 1200 euro al mese, sull’aumento dell’orario lavorativo, ben oltre quello degli operai tedeschi e francesi, e sulla reale e costante riduzione del potere d’acquisto e dei diritti fondamentali. L’Italia dei Valori ha presentato una proposta di legge volta a regolare la reale rappresentanza dei sindacati nelle aziende, consegnando il potere di decidere ai lavoratori e non alle burocrazie sindacali: il nostro compito principale è quello di ridare la parola, i diritti e la libertà di decisione ai diretti interessati, cioè agli operai e agli impiegati, così come prevede la Costituzione repubblicana, violata in questi giorni da accordi capestro. Comprendiamo e rispettiamo il voto degli operai della Fiat di Pomigliano che sono stati sottoposti ad un vero e proprio ricatto. Proprio quel voto, infatti, ha indotto alcuni sindacati, tranne la Fiom, a siglare un’intesa che noi dell’Italia dei Valori continuiamo a ritenere sbagliata e ricattatoria. Vogliamo ribadire che non lasceremo soli gli operai della Fiat in Italia, a partire da quelli di Termini Imerese ai quali è stata annunciata la chiusura della fabbrica. Continueremo a lottare affinché Marchionne non possa smantellare pezzo dopo pezzo i diritti dei lavoratori al fine di collocare la Fiat fuori dal nostro Paese».

Nichi Vendola – leader di Sinistra e Libertà

«Qui c’è la tragedia del nostro Paese»

Vendola ai «cari amici di Pomigliano»: «In quella fabbrica siete bulloni e numeri, non persone né tantomeno classe. Io sono contro l’arroganza di chi vi vuole rassegnati»

Cari amici di Pomigliano, mi addolora vedervi “usati” così, e su quel quotidiano padronale. Tuttavia la vostra lettera è un documento drammatico: dice di una resa culturale e sociale che dovrebbe scuotere tutta la politica italiana. In questa vostra curiosa e paradossale polemica contro la sinistra e contro la Fiom – rei di non subire il contratto-capestro della Fiat e le sue conseguenze generali sulle relazioni industriali in Italia – voi però non riuscite a rappresentare la strategia di Marchionne come una profezia del moderno. Non potete farlo perché comunque siete ingabbiati in quella fabbrica di cui parlate con cognizione di causa, in quel recinto produttivo in cui diventa problematico ammalarsi, godere della pausa mensa, rivendicare un reddito non inchiodato a quei maledetti 1200 euro. In quella fabbrica in cui siete solo bulloni e numeri, non persone né tantomeno classe. In cui il contratto sarà un negozio privato tra voi, piccoli e soli, e un padrone multinazionale (uno a cui piacciono le imprese americane e gli operai cinesi). In quella fabbrica la lotta e lo sciopero, strumenti sovrani della civiltà e della democrazia, vengono oggi messi al bando. E voi la raccontate per quello che è: dolore e fatica, perdita di diritti e di reddito. Solo che pensate di non avere alternativa. Non c’era via di fuga. Ma è tutta qui la tragedia del nostro Paese. In un potere che rischia di riprodursi, nonostante le sue molteplici indecenze, per assenza di alternativa. Io non sonocontro di voi. Sono contro l’arroganza di chi vi vuole piegati e rassegnati.

L’Unità 31.12.10