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"L'Arroganza sconfitta", di Stefano Rodotà

L´anno si chiude con un significativo segnale istituzionale e civile. Il presidente della Repubblica ha firmato la legge sull´università (non oso definirla “riforma”), e ciò conferma il suo scrupolo nell´esercizio del delicatissimo potere di dare il definitivo via libera alle leggi, sottolineando che nel testo approvato dal Parlamento non ha ravvisato «motivi evidenti e gravi per chiedere una nuova deliberazione alle Camere». Ha, però, accompagnato questa sua decisione con una lettera al presidente del Consiglio nella quale non solo si mette in evidenza che nella legge sono presenti “criticità” che dovranno essere affrontate e risolte, ma si richiama il governo all´osservanza di ordini del giorno approvati dal Senato «contenenti precise indicazioni anche integrative» su contenuti e risorse. E soprattutto Napolitano ha concluso la lettera auspicando che, «su tutti gli impegni assunti con l´accoglimento degli ordini del giorno e sugli sviluppi della complessa fase attuativa, il governo ricerchi un costruttivo confronto con tutte le parti interessate».
Proprio da queste ultime parole bisogna partire. Il lungo iter legislativo è stato caratterizzato dalla “disattenzione” del Governo per ogni forma di confronto e di dialogo, disattenzione poi sfociata in vere e proprie dichiarazioni di disprezzo per chi manifestava – professori fannulloni e studenti vagabondi. A questa assenza istituzionale, a questo clima di spocchiosa chiusura, ha reagito il solo presidente della Repubblica, incontrando gli studenti, mostrando quali debbano essere i doveri di chi ha responsabilità pubbliche e riaprendo così quell´indispensabile canale di comunicazione tra istituzioni e cittadini senza il quale la politica muore. Chi ha manifestato nei mesi passati, e ha deciso di mantenere il suo impegno in quelli a venire, trova nelle parole del presidente della Repubblica sostegno e conforto. E anche una ragione per essere più esigenti. Il confronto, sottolinea Napolitano, deve avvenire con «tutte le parti interessate», dunque anche con gli studenti, finora espropriati, insieme alle altre componenti dell´università, del diritto di intervenire in una vicenda che riguarda il futuro dell´insegnamento e della ricerca, e della loro stessa vita.
Questa ferita non è stata sanata. Ma possiamo ben dire che hanno vinto gli studenti perché, nella partita fortemente simbolica che si sta svolgendo, hanno fatto via via risaltare arroganza e debolezza di chi ha voluto tenerli lontani, e ora si vedono riconosciuti come interlocutori indispensabili. In un bel documento scritto da professori dell´università di Torino si mette in giusta evidenza come «gli studenti vadano ringraziati perché con la loro mobilitazione hanno supplito all´inerzia e all´irresponsabilità della classe accademica per non dire dell´acquiescenza della Conferenza dei Rettori». E dagli studenti è venuto un segno di grande intelligenza politica quando, reagendo alle violenze del 14 dicembre, hanno compreso di dover riguadagnare la fiducia dell´opinione pubblica, e così sono andati tra la gente e hanno lasciato nella loro timorosa solitudine i politici prepotenti, rovesciando il meccanismo di esclusione rivolto contro di loro.
Napolitano mette in evidenza che «quel che sta per avviarsi è un processo di riforma», che richiederà un numero elevatissimo di decreti delegati, regolamenti governativi, decreti ministeriali, provvedimenti delle singole università. Viene così individuato il terreno concreto sul quale dovrà svolgersi il confronto, non soltanto formale. I protagonisti della sacrosanta protesta sono ora chiamati, da una parte, a tener viva la tensione intellettuale e politica; dall´altra, ad individuare le questioni aperte, nelle quali intervenire per cercare di ridurre i danni della legge Bisognerà impedire, ad esempio, che i nuovi statuti prevedano una composizione dei consigli di amministrazione che consegni le università agli esterni, violando la norma costituzionale sull´autonomia universitaria e riducendo l´università alla sola efficienza mercantile, negandone l´alta e disinteressata funzione culturale. L´intollerabile cultura, oggi colpita ovunque perché da qui nasce il vero potere dei cittadini – il sapere critico.

La Repubblica 31.12.10