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"Tra i quattro "vizi" indicati dal Colle i sussidi regionali voluti dalla Lega", di Alberto D'Argenio

Ecco la lettera a Berlusconi: attuare le promesse sui fondi. Il testo prevede che il 10% degli assegni sia riservato a chi vive nella regione sede dell´università. Quattro punti specifici e due richiami generali di grande portata, come la richiesta di aumentare le risorse a disposizione degli atenei e la necessità di «confrontarsi» con tutte le parti interessate nella lunga fase attuativa che la riforma Gelmini dovrà superare prima di diventare realtà. Sono queste le «criticità» contenute nella lettera che il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha inviato al premier Berlusconi firmando la tanto contestata riforma dell´università. Missiva che contiene anche un bacchettata – per quanto ammantata da rilievo tecnico – alla Lega che, a gran voce, aveva ottenuto (articolo 4) di destinare il 10% delle borse di studio ai residenti nella regione in cui si trova l´ateneo.
Una norma che vista dal Colle «appare non pienamente coerente con il criterio del merito». La battaglia del Carroccio era stata aperta dal governatore del Piemonte Roberto Cota, spalleggiato dal pasdaran Mario Borghezio che accusava: «I ragazzi del Sud ottengono le borse perché presentano dichiarazioni false». Detto fatto, e il governo aveva accontentato l´azionista padano rendendo più difficile la vita ai fuorisede già penalizzati – come tutti gli agli altri studenti – dal taglio dei fondi destinati alle borse (da 100 a 75 milioni). «Il provvedimento va contro la Costituzione (articolo 34) e in senso opposto alla necessità di internazionalizzare l´università», chiosa la deputata Pd Manuela Ghizzoni. La seconda osservazione di Napolitano riguarda l´articolo 6, quello che riforma lo status di professore aggregato. Il problema nasce da una svista della maggioranza che alla Camera ha approvato due articoli contraddittori (uno modifica e l´altro abroga la norma prevista dalla precedente riforma Moratti). Un punto sul quale al Senato c´era stata bagarre, con il Pd che accusava il governo di non volere rimettere mano al testo per approvare la legge in fretta e furia e saltare un ritorno dell´articolato a Montecitorio. Pur non essendoci «dubbi interpretativi» sulla reale volontà del legislatore, osserva il Capo dello Stato, il governo dovrebbe risolvere l´incongruenza con «la soppressione» del primo dei due articoli.
Il terzo punto evidenziato dal Quirinale è l´articolo 23 sui contratti di insegnamento riservati agli esperti. «Appare di dubbia ragionevolezza nella parte in cui aggiunge una limitazione oggettiva riferita al reddito ai requisiti soggettivi di carattere scientifico e professionale». In sostanza la riforma Gelmini, su richiesta del Pd, prevede che per poter diventare professore a contratto si abbia un reddito esterno da quello universitario di almeno 40 mila euro lordi. L´idea, spiega il democratico Giovanni Bachelet, era quella di mettere fine alla prassi per cui i contratti gratuiti vengono usati non per assicurarsi le eccellenze, «ma per precarizzare i ricercatori».
Il quarto ed ultimo punto sollevato dal presidente della Repubblica riguarda l´articolo 26 sui lettori in madre lingua, una figura da anni al centro di polemiche, ricorsi, condanne Ue e pronunciamenti della Consulta. Ai quali la Gelmini dà un colpo di spugna inquadrando i lettori come ricercatori (e non come professori) e dichiarando estinti tutti i contenziosi in corso. Mossa che non è piaciuta al Colle: «È opportuno», scrive Napolitano, l´articolo sia formulato «in termini non equivoci e corrispondenti al consolidato indirizzo giurisprudenziale della Corte Costituzionale». Infine il richiamo al rispetto degli ordini del giorno Rusconi (Pd) e Valditara (Fli) sui quali il governo si era impegnato. Il primo per facilitare l´approdo dei ricercatori alla cattedra, il secondo con 12 impegni sui fondi, peraltro citati espressamente da Napolitano. Per la gioia dell´opposizione che ricorda come dal 2008 per finanziare taglio dell´Ici e salvataggio Alitalia il governo abbia tagliato 1,35 miliardi dei sette a disposizione dell´università. E nel 2011 le risorse scenderanno di altri 250 milioni.

La Repubblica 31.12.10

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“Il presidente ha saputo ascoltarci soddisfatti delle sue osservazioni”, di Corrado Zunino

Questo governo non dialogherà mai con noi, non vuole ascoltare. Ma siamo una delle poche opposizioni reali nel Paese, e dopo aver risvegliato diverse coscienze vogliamo andare avanti. C´era anche lei nello studio del presidente della Repubblica, dopo la marcia del 22 dicembre. All´uscita dal Quirinale, però, è rimasta fuori dalle foto di gruppo. Elena Monticelli, 23 anni, secondo anno di specialistica alla facoltà di Economia della Sapienza di Roma, militante della Rete Link. Delusa, per la firma di Napolitano?
«Ce lo aspettavamo. Il presidente della Repubblica non è chiamato a sostituire il governo, è stato l´esecutivo ad accelerare i passaggi alla Camera e al Senato senza tener conto che fuori c´erano migliaia di studenti a manifestare. Solo il fatto che Napolitano abbia sottolineato le criticità della legge per noi è una soddisfazione: le nostre indicazioni sono state ascoltate».
C´è il passaggio sulle borse di studio regionali, a rischio costituzionale.
«Il presidente ha sottolineato come quella norma, un emendamento della Lega Nord, sia razzista e incoerente con una legge che dice di favorire il merito. Ora il governo deve cancellarla dai decreti attuativi. Fin qui la Gelmini ha consentito un inedito attacco al diritto allo studio: il taglio alle borse, in un primo tempo, era arrivato al 90 per cento».
Il ddl, però, è legge dello Stato.
«Noi non lo consideriamo ancora una legge, continueremo a combatterlo sperando che venga abrogato, cancellato e si rimetta in piazza un grande dibattito sul futuro dell´università italiana. Questa riforma non parla ai nostri bisogni, mai».
Andiamo con ordine: combatterla. Come?
«Contestando i singoli decreti attuativi e costruendo dal basso proposte di statuti, ateneo per ateneo. Chiediamo a tutti i rettori di disobbedire, daremo battaglia negli organi collegiali e coltiveremo la nostra specialità: le mobilitazioni in piazza».
Quando si riparte?
«Direi metà gennaio, con i nostri percorsi: prima assemblee di facoltà, poi di ateneo».
Gennaio è un mese difficile: storicamente con l´inizio dell´anno i movimenti ripiegano dopo le impennate autunnali.
«Il fatto che a tre giorni da Natale a Roma ci fossero ventimila persone a manifestare ci dà la forza per credere nella tenuta del movimento. Certo, abbiamo l´ansia di non disperdere quello che abbiamo fatto, ma rispetto all´Onda del 2008 siamo più consapevoli».
Gennaio è anche mese d´esami.
«Noi studiamo, altroché fuoricorso. Fate un controllo: gli studenti più impegnati sono quelli che studiano di più. Sentono la responsabilità del loro impegno. Vorrei dire una cosa, poi…».
Prego.
«Questo movimento è fatto di tante ragazze, tante donne, e in questo paese non è una cosa scontata».
I verdi hanno chiesto l´abrogazione della legge Gelmini con un referendum, Idv e Sel ci stanno pensando.
«Il referendum è una delle possibilità, ma per noi resta primaria la mobilitazione».
Perché siete contro il prestito d´onore? Ci si è laureato anche Barack Obama.
«Per un Obama che ce la fa, ci sono mille studenti che non riescono a ripagare il debito. A noi piace un modello da Nord Europa: studiare dovrebbe essere un investimento dello Stato, non un debito per lo studente».
Napolitano ha chiesto al governo di tornare a parlare con tutti. Anche con chi si oppone alla “Gelmini”.
«Questo governo non lo farà mai. Da quattro mesi protestiamo e loro prima ci hanno ignorato, poi definito bamboccioni e black bloc. Non vogliono ascoltare, preferiscono andare avanti comprando i voti in Parlamento».
Quindi?
«Abbiamo dato una parola come generazione: siamo una delle poche opposizioni reali nel paese e dopo aver risvegliato diverse coscienze vogliamo andare avanti».

La Repubblica 31.12.10

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“Borse di studio e contratti Ecco i punti contestati”, di Raffaello Masci

La legge sotto la lente d’ingrandimento degli esperti del Colle. E dunque la riforma Gelmini va. Infatti il Capo dello Stato non ha «ravvisato nel testo motivi evidenti e gravi per chiedere una nuova deliberazione alle Camere». Tuttavia i tecnici del Quirinale hanno fatto una attentissima lettura di questa legge – il cui testo occupa 37 pagine della Gazzetta Ufficiale e si snoda in 29 articoli – e hanno rilevato quattro elementi di criticità sui quali il Presidente Napolitano chiede al Governo di intervenire nel momento in cui la legge verrà declinata nella massa (circa una cinquantina) dei decreti attuativi, attesi da qui a giugno prossimo.

Venendo al dettaglio, il Capo dello Stato evidenzia delle criticità negli articoli 4, 23 e 26 della legge, ma ricorda anche una svista della quale il governo aveva già preso atto ma che, tuttavia, permane nel testo all’articolo 6.

Cominciamo da quest’ultimo punto. L’articolo 6 si riferisce allo stato giuridico dei professori e dei ricercatori di ruolo. Il comma 5 introduce una modifica a una norma citata nella riforma Moratti del 2004, ma poi abrogata. Si parla, dunque, di qualcosa che non esiste più nella legislazione italiana. La cosa fu fatta notare al governo e il ministro Gelmini si impegnò, il 21 dicembre scorso in Senato, a rimuovere il contestato comma. Il Capo dello Stato si limita a ricordare questo impegno.

Più di merito le altre questioni. «Per quanto concerne l’art. 4 relativo alla concessione di borse di studio agli studenti – dice il Quirinale – appare non pienamente coerente con il criterio del merito nella parte in cui prevede una riserva basata anche sul criterio dell’appartenenza territoriale». In effetti il testo, al punto 3 comma O, riporta una norma di evocazione leghista, secondo cui almeno il 10% delle borse di studio debbano essere riservate agli studenti della Regione, e questo – rileva il Presidente – stride con un principio di meritocrazia.

«Inoltre – dice sempre il Quirinale – l’art. 23, nel disciplinare i contratti per attività di insegnamento, appare di dubbia ragionevolezza nella parte in cui aggiunge una limitazione oggettiva riferita al reddito». La norma, infatti, dice che i professori a contratto debbano avere, oltre ai titoli scientifici, anche un reddito non inferiore a 40 mila euro: un dato ritenuto dal Quirinale incongruo rispetto alla funzione didattica.

Infine Napolitano fa riferimento all’articolo 26, che riguarda i lettori stranieri di lingue, e osserva che il testo non tiene conto di alcune indicazioni della Corte costituzionale: in sostanza va riscritto.

Il Presidente della Repubblica conclude la sua lettera, facendo osservare al governo che ci sono una serie di ordini del giorno dei quali occorre tenere conto. In particolare ne cita due, uno firmato dal senatore Antonio Rusconi del Pd, che impegna le università, nel momento in cui fanno un contratto a un ricercatore (3 anni più 3 più 2) ad accantonare fin dall’inizio le risorse necessarie, affinché non si dia il caso che un contratto non venga onorato solo perché i soldi sono finiti.

L’altro, firmato dal senatore del Fli Giuseppe Valditara, è quasi un progetto di legge, tant’è che consta di 16 articoli e tocca materie rilevanti come l’eliminazione del blocco del turn over per gli atenei virtuosi, l’abolizione del 3+2 per quelle facoltà che ne facciano richiesta, l’istituzione di un fondo per le eccellenze, eccetera.

Il ministro Mariastella Gelmini ha accolto con il rispetto del caso le indicazioni del Quirinale: «La promulgazione – ha sottolineato – è un fatto positivo. Insieme al governo e al presidente Berlusconi certamente terremo conto delle osservazioni del Colle».

Quanto agli studenti protagonisti della grande protesta e ricevuti al Quirinale, hanno preso bene la lettera ma non demordono: «Il fatto che il presidente abbia promulgato il ddl non ci stupisce – afferma Luca Cafagna, di Uniriot Roma – perché nonostante sia stato l’unica figura istituzionale ad aver cercato di relazionarsi con il movimento studentesco, c’è una scelta generale di non farsi carico della proposta e dell’iniziativa politica degli studenti». Per questo, aggiunge Elena Monticelli, di Link-Coordinamento universitario, «riteniamo che la mobilitazione debba continuare».

La Stampa 31.12.10

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Cosa non va, dai prof aggregati alle borse di studio “territoriali”, di Alessandra Migliozzi

Soprattutto il governo dovrà impegnarsi a trovare le risorse. Gli articoli 4, 6, 23 e 26 della riforma dell’università sono da rivedere con successivi provvedimenti perché presentano “criticità”. E, soprattutto, anche dopo che saranno state sanate le incongruenze e gli errori formali contenuti nel testo, il governo dovrà impegnarsi a trovare le risorse per dare attuazione concreta alla legge Gelmini. Così come ha promesso quando ha consentito il via libera al Senato a due ordini del giorno, uno del Terzo Polo, l’altro del Pd, che chiedevano garanzie sui soldi per dare seguito alle novità contenute nella legge. In particolare quelle che riguardano i giovani, dal diritto allo studio ai nuovi contratti a termine dei ricercatori. Napolitano consegna la sua ‘road map’, le sue richieste al governo in poche ma decisive righe. Le sue sono osservazioni, sollecitazioni, ma il ministro Gelmini ha già promesso che ne terrà conto.
L’attuazione della legge, scrive il Capo dello Stato, «è demandata a un elevato numero di provvedimenti, a mezzo di delega legislativa, di regolamenti governativi e di decreti ministeriali», in tutto oltre quaranta. In questo processo, che richiederà mesi, Napolitano invita a affrontare le “criticità” indicate. Si tratta di rimettere mano a quattro questioni: il titolo di professore aggregato (la legge lo modifica e lo abolisce al contempo), le borse di studio “territoriali” volute dalla Lega, i criteri per diventare professori a contratto, gli stipendi dei lettori madrelingua. Alla Camera, durante un tormentato dibattito, sono entrati nel testo alcuni errori e incongruenze.
Ad esempio all’articolo 4, che istituisce un apposito Fondo per il merito degli studenti, la legge, spiega Napolitano, appare «non pienamente coerente con il criterio del merito nella parte in cui prevede una riserva basata anche sul criterio dell’appartenenza territoriale». Cosa è accaduto? Alla Camera la Lega ha voluto far passare un emendamento che prevede che il 10% delle borse erogate per merito devono andare a giovani che studiano nel territorio di residenza. Ma che c’entra il merito con l’indirizzo di casa? Il Colle chiede un ravvedimento. All’articolo 6 va poi sanata l’incongruenza, emersa con forza durante il dibattito al Senato, con l’articolo 29. Si parla di professori aggregati: il titolo viene attribuito, in base ad una legge del 2005, a ricercatori, assistenti del ruolo e tecnici laureati che tengono dei corsi nelle università e che hanno già insegnato per almeno tre anni. La riforma Gelmini, all’articolo 6, modifica questa disposizione, all’articolo 29 abolisce i professori aggregati. Una incongruenza a cui il ministro ha già promesso che sarà posto rimedio. All’articolo 23, si parla di professori a contratto, il Colle fa notare che la legge «nel disciplinare i contratti per attività di insegnamento, appare di dubbia ragionevolezza nella parte in cui aggiunge una limitazione oggettiva riferita al reddito ai requisiti soggettivi di carattere scientifico e professionale». La riforma prevede che per l’accesso ai contratti sia necessario avere un reddito «annuo non inferiore a 40mila euro lordi». Il riferimento al reddito appare improprio.
L’ultima bacchettata riguarda l’articolo 26 e i lettori madrelingua presenti nelle università. La legge Gelmini dà un’interpretazione autentica del decreto con cui nel 2004 si intervenne sui loro compensi: vengono garantiti gli arretrati, anche se in misura minore a quelli richiesti dai lettori, e si cancellano, con un colpo di spugna, i contenziosi in atto nei tribunali. Napolitano chiede che si intervenga sul tema in termini «non equivoci e corrispondenti al consolidato indirizzo giurisprudenziale della Corte Costituzionale». Il Capo dello Stato fa riferimento anche a due ordini del giorno approvati al Senato tesi a garantire le risorse per dare seguito alla riforma. Resta “importante”, dice, l’iniziativa del governo per far fronte agli impegni presi. Il Pd aveva chiesto garanzie economiche per la copertura dei nuovi contratti a termine dei ricercatori. Il Terzo Polo soldi per coprire novità come il Fondo per il merito degli studenti e le iniziative per innalzare la qualità degli atenei.

Il Messaggero 31.12.10

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“Napolitano firma la riforma dell’Università, ma chiede lumi su tre punti”, di A.G.

Nel promulgare la legge approvata in terza ‘lettura’ al Senato, il Capo dello Stato chiede di tener conto dei punti critici, nella realizzazione dei decreti attuativi, e di ascoltare le parti interessate. Per il ministro Gelmini sarà posta la massima attenzione ai rilievi posti, anche se non sono elementi portanti e qualificanti. Di diverso avviso gli studenti, che tornano a dare battaglia: costruiremo proposte di statuti universitari in grado di bloccare la riforma. Anche la promulgazione della riforma universitaria, avvenuta il 30 dicembre, diventa terreno di polemiche: nel firmare la legge, infatti, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha rilevato alcune criticità, raccolte in una lettera di osservazioni indirizzata al premier Berlusconi, da correggere attraverso gli oltre 50 decreti attuativi, da approvare nelle prossime settimane, anche attraverso un “costruttivo confronto con tutte le parti interessate”.
Tre i punti contestati dal Colle, posti all’interno degli articoli 4, 23 e 26. Uno, in particolare, è destinato a far discutere: riguarda il 10% delle borse di studio, voluto dalla Lega, che in base al testo di legge ogni ateneo dovrà assegnare necessariamente agli studenti residenti. “Per quanto concerne l’art. 4 – scrive lo stesso Napolitano al premier – relativo alla concessione di borse di studio agli studenti, appare non pienamente coerente con il criterio del merito nella parte in cui prevede una riserva basata anche sul criterio dell’appartenenza territoriale”. Sull’art. 23, nella parte che disciplina i contratti per attività di insegnamento, il presidente della Repubblica ha delle perplessità “nella parte in cui aggiunge una limitazione oggettiva riferita al reddito ai requisiti soggettivi di carattere scientifico e professionale”. Secondo Napolitano è inoltre “opportuno che l’art. 26, nel prevedere l’interpretazione autentica dell’art. 1, comma 1, del decreto legge n. 2 del 2004 sia formulato in termini non equivoci e corrispondenti al consolidato indirizzo giurisprudenziale della Corte Costituzionale”.
Il ministro dell’Istruzione ha accolto con soddisfazione la firma di Napolitano, assicurando anche estrema attenzione per i rilievi posti che pure, sottolinea, non toccano “elementi portanti e qualificanti. La promulgazione – ha aggiunto Gelmini – è un fatto positivo. Insieme al governo e al presidente Berlusconi certamente terremo conto delle osservazioni del Colle”.
Dal conto loro, le opposizioni prendono atto della decisione del Colle ma chiedono al governo di ascoltare le osservazioni poste e l’appello al confronto: secondo Manuela Ghizzoni, capogruppo Pd in commissione Istruzione e Cultura della Camera ora il “Governo dovrà mettere in campo” non poche energie “per ottemperare precisi impegni contenuti negli ordini del giorno approvati alla Camera e al Senato”. Per il leader Idv, Antonio Di Pietro, “il rispetto istituzionale che abbiamo verso la Presidenza della Repubblica ci impone di prendere atto della decisione di Napolitano: resta il fatto che riteniamo questo provvedimento ingiusto, iniquo ed incostituzionale”.
Molto severo anche il giudizio degli studenti: “non siamo sorpresi – commentano le studentesse e gli studenti di Link-Coordinamento Universitario – Il presidente Napolitano ci ha ricevuto e ascoltato con rispetto, ma non ci aspettavamo che fosse lui a dare battaglia al posto nostro. A bloccare la riforma Gelmini dovranno essere gli studenti, i dottorandi, i precari, i ricercatori, i tecnici-amministrativi, tutti coloro che vivono sulla propria pelle la schiavitù della precarietà e il furto di futuro operato da questa riforma”.
Il piano della mobilitazione, ora, si sposta dal Parlamento verso il Governo, con l’attesa dei decreti attuativi, e verso gli atenei, con l’adeguamento degli statuti universitari alla nuova legge: “Chiediamo fin da subito a tutti i rettori di disobbedire, e su questo daremo battaglia – continuano gli studenti – costruendo proposte di statuti universitari in grado di bloccare la riforma e cambiare l’università dal basso. Daremo battaglia in tutti gli organi collegiali e in tutte le piazze, perché la privatizzazione dell’università, lo smantellamento del diritto allo studio e la precarizzazione della ricerca non passino nei nostri atenei. La comunità universitaria ha il diritto e il dovere di ribellarsi.”
Dello stesso avviso è Giorgio Paterna, coordinatore nazionale dell’Unione degli universitari, secondo cui “il presidente della Repubblica ha rilevato quei limiti della riforma che il ministro Gelmini in quasi due anni non ha voluto vedere. Cercheremo di far capire alle istituzioni che non può far parte di un Paese moderno e democratico l’assegnazione del 10% di borse di studio a chi risiede nella regione dove è situato l’ateneo frequentato. Come il fatto che si tagli il 95% di assegni agli studenti meritevoli e bisognosi. Continueremo la nostra mobilitazione per raccogliere, come abbiamo fatto in questi mesi, lo sdegno verso un Governo autoreferenziale e autoritario”.

Da Tecnica della Scuola 31.12.10