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«I nodi irrisolti della rappresentanza e della democrazia sindacale», di Pippo Frisone

Quella della rappresentanza e della democrazia sindacale che lascia l’ultima parola decisiva, non solo consultiva ai lavoratori, è l’unica vera “riforma” senza la quale i nuovi modelli contrattuali rischiano di essere delle scatole vuote

L’ultimo documento unitario di CGIL-CISL-UIL è del 2008 e risale alla Piattaforma sui nuovi assetti contrattuali che aveva l’ambizione di riformare l’oramai obsoleto accordo di luglio del 93 , patrocinato e fortemente voluto all’epoca da Carlo Azelio Ciampi.
Bisognava passare dalla lotta all’inflazione al recupero salariale, con nuovi assetti di contrattazione mantenuti su due livelli sia pure integrati da loro, alla durata triennale dei contratti , al nuovo indice di calcolo dell’inflazione.
Poi tutti sappiamo come è andata a finire. Accordo separato e mancata firma della CGIL, cui seguirono altri accordi separati di categoria, compreso quello del secondo biennio economico 08-09 del comparto scuola che videro la FLC-CGIL non firmataria di quell’accordo.
Per arrivare all’era Marchionne, con la Fiat a Pomigliano e a Mirafiori che mette fuori gioco la Fiom-Cgil , il sindacato dei metalmeccanici più rappresentativo ( 26,3% ) e più intransigente.
A Pomigliano l’accordo fu validato con un referendum dal 60% di si e 40% di no. A Mirafiori ci sarà un altro referendum che dovrà convalidare, come molto probabilmente avverrà,un accordo ancora più significativo non soltanto per l’esclusione della Fiom ma perché riguarderà la fuoriuscita della nuova Fiat auto dalla Confindustria, dal contratto nazionale e più in generale dal sistema delle relazioni industriali per come l’abbiamo conosciuto fino al 2010.
E’ questa la sfida lanciata da Marchionne ai sindacati, alla Confindustria e alla stessa politica. Ma sappiamo anche che la Fiat non può uscire dalla crisi solamente scaricando sulle spalle dei lavoratori i maggiori oneri e restringendone i diritti. La perdita di quote di mercato, i modelli di auto che non incontrano più il gradimento degli italiani (meno del 30%) chiamano in causa le responsabilità del management e non si possono imputare solo alla bassa produttività degli operai Fiat o alla Fiom che non firma gli accordi capestro né si possono recuperare le quote perse a colpi di referendum, prendere o lasciare.
Sono le scelte strategiche, i piani industriali di questi anni che devono far riflettere prima ancora di addossare tutte le colpe ai sindacati italiani, alla rigidità dei contratti nazionali o ai troppi diritti degli operai in fabbrica.
E’interesse di tutti e a garanzia degli investimenti che verranno fatti nel nostro paese, risolvere una volta per tutte il nodo della democrazia sindacale assieme a quello della rappresentanza , che non va più rinviato come invece è stato fatto finora. Tornare alle RSA e ad una lettura rigida dell’art.19 dello Statuto, cancellando l’accordo sulle rappresentanze sindacali (RSU) del 1.3.1991 o far scegliere al datore di lavoro i rappresentanti dei lavoratori, credo che non possano costituire l’orizzonte strategico da perseguire per Cisl e Uil ma nemmeno per Confindustria e la stessa Fiat.
E allora, occorre ripartire da lì, da quell’ultimo documento unitario del 2008 sulla rappresentanza e sulla democrazia sindacale, andando ad una generalizzazione delle RSU in tutti i luoghi di lavoro sulla falsariga di quanto è stato fatto nel Pubblico Impiego col dlgs.n.165/01. In gioco non c’è soltanto la ricomposizione unitaria del fronte sindacale o la rimessa in gioco della Fiom. Se non si arriva ad un accordo tra tutte le parti sociali, allora sia una legge del Parlamento a intervenire sulla rappresentanza sindacale e sulla validazione dei contratti. Siano poi il CNEL o l’INPS a convalidare e a certificare il grado di rappresentanza delle OO.SS. nel privato, dopo aver ben definito gli ambiti e i parametri di misurazione ( dato associativo+ dato elettorale categoria per categoria).
La lezione di Pomigliano e Mirafiori però deve rimanere un punto di non ritorno per tutti.
Gli accordi nazionali o aziendali, da oggi in poi, devono essere sottoposti a referendum vincolanti per tutti i soggetti firmatari e non.
Solo così si potranno superare discriminazioni e veti paralizzanti. Quella della rappresentanza e della democrazia sindacale che lascia l’ultima parola decisiva, non solo consultiva ai lavoratori, è l’unica vera “riforma” senza la quale i nuovi modelli contrattuali rischiano di essere delle scatole vuote. Non a caso è una riforma temuta da alcuni sindacati e per questo motivo sempre rinviata ma che oggi è più che mai necessaria per nuove e più moderne relazioni sindacali che la stessa globalizzazione ci impone…

da ScuolaOggi