economia, lavoro, partito democratico

«Caso Fiat, l’appello di Napolitano «Ritrovare un dialogo costruttivo»", di Marzio Breda

«Ci attendono prove molto impegnative. Occorre uno scatto, una mobilitazione. E bisogna soprattutto tenere aperta la linea di comunicazione con le generazioni più giovani, i cui problemi sono esattamente quelli del futuro dell’Italia» . Giorgio Napolitano torna al cuore del suo messaggio di Capodanno e usa ancora il linguaggio della verità. Esprime cioè senza illusioni o vaghezze i termini del proprio ragionamento, nel quale ripropone l’urgenza di una missione collettiva mirata sui giovani— «perché le loro ansie diventino l’assillo di tutti» —, fondata sulla coesione nazionale e su un diverso approccio alle emergenze che ci stanno davanti. La prima delle quali, per ragioni di calendario, riguarda la prova di forza sul destino dello stabilimento di Mirafiori. Il capo dello Stato ne parla a Napoli (dove si è concesso un po’di riposo a Villa Rosebery), in risposta ai cronisti che lo intercettano al termine di una visita al Pio Monte della Misericordia. Presidente — gli viene chiesto — il debutto della «doppia Fiat» in Borsa è stato premiato dal successo, ma resta assai discusso dai lavoratori: lo vedono come un’ulteriore incognita sulla vertenza con l’azienda. «C’è un rapporto difficile, un confronto che è diventato molto duro, e ne ho fatto cenno nel mio messaggio del 31 dicembre… Mi auguro che sulle relazioni industriali, oggetto di contenzioso alla Fiat, si trovi un modulo più costruttivo di discussione» . E’una replica che sembra fermarsi alla certificazione dello stato delle cose, ma Napolitano va oltre. Infatti, affronta subito il nodo posto dall’amministratore delegato Fiat, Sergio Marchionne: quello dei livelli produttivi, bilanciando le responsabilità. «Credo che nessuno possa negare che esiste un problema di bassa produttività nel lavoro. Però non è questione che sia legata esclusivamente al rendimento lavorativo delle maestranze. La produttività dipende in larga misura anche dall’innovazione tecnologica, dalle scelte di organizzazione del lavoro e quindi ci deve essere un confronto, si deve assumere questo obiettivo» . Come riuscirci? Nel modo più semplice e che oggi tuttavia pare impraticabile, secondo il presidente. Vale a dire senza sottrarsi al confronto, con un atteggiamento positivo per cui nessuno escluda nessuno o, peggio, si autoescluda. «Tutte le parti in causa devono riconoscere l’essenzialità di questo impegno e aumentare la produttività d e l l a v o r o a i f i n i d e l l a competitività internazionale delle nostra economia. Poi, il modo di affrontare questo problema, e specialmente il punto delle modifiche che ne possono derivare nella relazioni industriali, sono oggetto di contenzioso…» . La realtà è che sembrano ormai finiti i tempi della concertazione — ribattono i reporter — e al riguardo citano un intervento ad hoc del ministro del Lavoro. Il capo dello Stato definisce «un aspetto importante» l’affermazione di Sacconi secondo la quale «nell’accordo del ’93 erano sanciti diritti che bisogna fare salvi» . E, ricordando come in quell’aspro momento di 18 anni fa il coinvolgimento di tutte le parti sociali consentì di uscire dal tunnel, aggiunge: ammesso pure che «siano cambiate le cose e si possa vedere quanto dell’accordo del ’93 rimanga valido, vi sono comunque dei punti importanti che riguardano senza dubbio il diritto di rappresentanza… tutta una materia che ormai va affrontata» . E’una posizione che i vertici Fiat conoscono: Napolitano l’ha argomentata di recente in un incontro con il presidente John Elkann. E ieri ne ha parlato con il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso. Impegnata in un impervio chiarimento con la Fiom, non ha rinunciato a telefonargli.

da www.corriere.it

******

«La legge mancata per tutelare i sindacati», di Pietro Gasperoni

Le vicende di Pomigliano e Mirafiori ripropongono il tema della mancanza di regole sulla rappresentanza e la rappresentatività sindacale e sull’efficacia generale degli accordi sindacali. È utile ricordare che nel luglio del 1999 la Camera dei Deputati approvò con il consenso di Cgil-Cisl-Uil, 9 articoli su 12 di un testo di legge unificato da me redatto in qualità di relatore di maggioranza, su Rappresentanza, Rappresentatività sindacale ed efficacia erga omnes dei contratti di lavoro. Quella legge non fu approvata per l’ostinata opposizione di tipo ideologico di Confindustria e del centro-destra, che adottò le forme di opposizione più intransigenti, fino all’abbandono dell’aula parlamentare. Se quel testo di legge, ripresentato alla Camera e al Senato, fosse stato approvato, il tema che oggi divide il Paese non esisterebbe, in quanto la regolamentazione lì prevista definiva le condizioni attraverso le quali un accordo sindacale era valido e quindi efficace per tutti i lavoratori interessati, oppure non lo era, quindi scompariva concettualmente l’idea di accordo separato.
Erano previste un insieme di procedure democratiche che favorivano la ricerca di percorsi unitari ma alla fine, in caso di contrasti, il principio di maggioranza, ne sarebbe stato l’elemento risolutore.
Quel testo di legge fissava i criteri e le modalità di elezione delle Rsu in azienda e a livello territoriale per le piccole aziende, veniva definito il metodo di misurazione della rappresentatività di ciascun sindacato utilizzando un sistema misto legato sia agli iscritti accertati che ai voti riportati nelle elezioni delle Rsu.
Erano considerati sindacati rappresentativi coloro che riscuotevano almeno il 5% a livello nazionale e il 10 a livello aziendale ed in quanto tali, titolari di diritti di agibilità sindacale e di negoziazione, limitando la frammentazione sindacale e combattendo la microconflittualità che tanto nuoce soprattutto nei trasporti. Espletate queste procedure e indicati alcuni percorsi di verifica democratica, gli accordi che riscuotevano il consenso del 50% più uno della forza sindacale rappresentata assumevano valore di legge come prevede l’articolo 39 della Costituzione, ancora inattuato.
Quella legge va ripresa e con l’accordo delle forze sociali va approvata dal Parlamento per dargli forza di legge, diversamente verrebbe da sostenere che in mancanza di tale normativa universale ciascun sindacato tratta per i propri iscritti, come avviene in Germania, ma lì vi è di fatto un solo sindacato, tale scelta in una realtà come la nostra, di marcato pluralismo sindacale, sarebbe un guaio grosso per i lavoratori e per le aziende, e in contrasto con il dettato costituzionale.

da l’Unità del 5.1.2011