attualità, politica italiana

«Tremonti-Berlusconi, restano le distanze», di Marco Galluzzo

Doppio no alla riduzioni delle tasse e quoziente familiare

MILANO – Berlusconi sogna di intercettare la ripresa, di irrobustirla, ripete che la Confindustria ha le sue ragioni, che bisogna dare ossigeno alle imprese, e anche alle famiglie, a tutti insomma, perché oggi finalmente si può fare, il peggio della crisi è alle nostre spalle e si scorgono i primi segnali di una stabilizzazione verso l’altro delle curve dei prodotti interni.

Berlusconi compulsa i dati economici e sofferma l’attenzione su quelli positivi. Tremonti no. O non solo. Riconosce i segnali ma sottolinea anche quelli negativi: l’occhio puntato dei mercati internazionali, la nostra condizione di eterno osservato speciale, l’impossibilità di dare alibi a chi può giocare brutti scherzi al nostro Paese. Il Cavaliere definisce «chiacchiere» dei media le indiscrezioni sulle frizioni con il suo ministro. E magari anche di questo avranno parlato ieri pomeriggio, in una telefonata che è parsa agli staff conciliante, eppure nessuno dei due fa mistero di pensarla in modo opposto sulle capacità della nostra finanza pubblica, su quello che Palazzo Chigi può fare per sostenere il Pil, per immettere maggiori risorse in circolazione, stimolare i consumi. Non ne fanno mistero in privato, sono obbligati a negarlo in pubblico. Si diceva mesi fa che il Cavaliere e Fini fossero destinati a fare la pace, ad essere alleati nonostante tutto; sembra oggi, dopo il divorzio con il leader di An, che l’unica relazione che il capo del governo non può abbandonare sia quella con il suo ministro più accreditato fuori confine. Può immaginarlo forse, ma non può farlo, è il concetto che ogni tanto si ascolta anche fra le osservazioni del secondo, convinto di non avere sostituti, se mai l’argomento fosse all’ordine del giorno, almeno adatti a farci fare bella figura in Europa, a presentare i nostri conti all’estero. Anche sulla riforma fiscale la pensano in modo diverso: per il premier dovrebbe portare ad un alleggerimento del carico tributario, ma i primi conti fatti al dicastero dell’Economia sembrano lasciare gettito e pressione invariati, si cambiano i fattori ma non la somma finale, si semplifica ma non si alleggerisce, non c’è spazio al momento per il quoziente familiare e nemmeno per la vagheggiata riduzione delle tasse.

Il sogno del Cavaliere resta tale. Non solo: negli ultimi giorni il ministro dell’Economia ha cominciato anche a mettere in dubbio la grande riforma del fisco. Da lui immaginata epocale, bipartisan, concertativa; pensata come il fiore all’occhiello della sua azione politica; oggi invece al centro di uno sconforto, perché convinto che i numeri in Parlamento, che sono e resteranno a suo dire precari, anche in caso di slalom intorno al voto anticipato, mettono seriamente a rischio un lavoro di così ampio respiro; pensato, nei suoi aspetti salienti, anche come frutto del dialogo con l’opposizione e con le parti sociali. E se uno vede nero e l’altro vede rosa c’è ben poco da aggiungere. Il nero si declina, senza reticenze, in privato, con l’analisi sulla reale forza di Palazzo Chigi dopo l’uscita di Fini: molto bassa, incapace di sostenere le riforme che servono al Paese, di regalare all’esecutivo quella serenità che serve per governare senza galleggiare. Sono riflessioni meno telegrafiche, più raffinate, ma simili a quelle che ogni tanto si ascoltano in bocca al leader della Lega. L’approdo è uno solo, il voto anticipato. Il rosa invece vede per fine gennaio l’arrivo di una nuova pattuglia di deputati alla Camera, vede un nuovo gruppo a Montecitorio che cambia gli equilibri nelle commissioni, vede la ripresa economica e persino la fine della legislatura. Se non hanno litigato, come assicura il presidente del Consiglio, comunque lui e il suo ministro sono e restano, al momento, due centri di analisi diversa.

da www.corriere.it

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«Il sospetto della congiura», di Amedeo La Mattina

Attento Umberto, non ascoltare Giulio». Berlusconi non si fida di Tremonti. Lo considera il vero «ideologo» delle elezioni anticipate che può condizionare le mosse di Bossi e far commettere un grave errore a tutta la Lega.

Il Cavaliere si tiene stretta la sua poltrona e cerca di convincere il Senatùr che il ministro dell’Economia stia giocando una partita tutta sua per arrivare a Palazzo Chigi. «Tremonti pensa solo a se stesso», confida un ministro di rango che avverte il pericolo di un Carroccio trascinato alle urne senza il consenso del premier. Il quale nei colloqui telefonici di questi giorni ha chiesto al leader leghista di stare alla larga da certe tentazioni. «Dimmi se la pensi come Giulio, ma ricordati che se si va al voto te ne assumi la responsabilità». Il tutto ovviamente condito dall’assicurazione che il federalismo fiscale verrà approvato, che i numeri ci sono. Ci sono 10 deputati pronti al salto della quaglia nella maggioranza. A questi se ne potrebbero aggiungere altri 10 che sarebbero i subentranti a quei ministri-deputati che si dovrebbero dimettere dalla Camera.

Operazione complicata, quest’ultima, alla quale Bossi non crede. E dei nuovi arrivi da Fli e Udc non c’è ancora traccia anche se ieri il premier ha detto di essere «sicuro che entro la fine di gennaio in Parlamento ci saranno le condizioni per portare a termine la legislatura. L’Italia ha bisogno di tutto, tranne che di elezioni anticipate». Ha bisogno di «stabilità che ci viene richiesta da tutti i protagonisti più importanti della nostra società, dall’industria alla Chiesa cattolica». Tensioni, contrasti con Bossi e Tremonti? Macché: «Solo chiacchiere al vento, non c’è nulla di vero».

Intanto, per dimostrare che solo di chiacchiere si tratti il Cavaliere avrebbe dovuto accettare l’invito alla «cena degli ossi». Un invito calibrato proprio per svelenire il clima e far vedere che si va d’amore e d’accordo. Cosa per niente vera. Berlusconi ha un problema grande come una casa con la Lega e soprattutto con Tremonti che, a suo dire, sparge veleno e cerca di convincere Bossi a staccare la spina perché con una maggioranza raccogliticcia non si può andare avanti. La tesi non peregrina dell’inquilino di via XX Settembre è che «tirare a campare costa». Costa perché i nuovi arrivi nella maggioranza di Noi Sud, i siciliani di Romano e Mannino e quant’altri parlamentari meridionali chiedono maggiori spese. Lo stesso decreto Milleproroghe rischia di uscire da Camera e Senato con un fardello di milioni in più. Per non parlare dell’Udc. Secondo Tremonti la trattativa con Casini, che insiste sul quoziente familiari (costa una decina di miliardi), finirebbe per cambiare veramente gli equilibri della coalizione a scapito non solo delle casse dello Stato ma anche del Carroccio. Argomento al quale Bossi è molto sensibile, ovviamente.

C’è un altro argomento che Tremonti mette in campo per convincere il Senatùr a mollare Berlusconi. Ed è il «Patto Romano». Il ministro dell’Economia sostiene che ci sia un accordo sotterraneo che lega Gianni Letta, Pierferdinando Casini, ambienti papalini, finanziari, editoriali e imprenditoriali romani. Il loro obiettivo sarebbe portare Casini a Palazzo Chigi e Letta al Quirinale. A farne le spese sarebbe Berlusconi. «Veleni, solo veleni di Tremonti – sostengono i presunti “congiurati romani” – che ce l’ha a morte con Letta. Figuriamoci se Gianni tradisce Silvio». Ecco perché Berlusconi ripete a Bossi «non ascoltare Giulio». Ecco perché ieri sera non poteva salire sul Cadore. Ora il Senatùr frena, dice di essere ottimista, che a marzo non ci saranno elezioni. E che mai Tremonti farebbe «uno sgarbo» al Cavaliere. Al quale concede tempo. Gli dà fiducia, mostra di credere nei numeri di Silvio («non ha mai detto balle»). Ma lo avverte: mai l’Udc al governo. «Allargare sarebbe una continuazione della palude». È questo il paletto che Bossi condivide pienamente con Tremonti: è l’argine al «Patto romano», vero o presunto che sia. Uno stop comunque al partito della spesa che affonda le sue radici al Sud.

da www.lastampa.it