scuola | formazione

"La buona educazione", di Marco Lodoli

Nel campo della pedagogia spicciola, lo slogan oggi più diffuso è senz´altro “Non autoritarismo, ma autorevolezza”, che vorrebbe spingere insegnanti e genitori a mollare lo sgabello e la frusta da domatori e a conquistare i loro tigrotti grazie alla forza dei discorsi e delle lezioni più affascinanti. Non si deve gridare, non si deve minacciare, sospendere, punire, bisogna ammansire e ammaestrare le giovani belve con le nostre parole cariche di seduzione: noi insegnanti dobbiamo essere una via di mezzo tra Umberto Eco e Roberto Benigni, colti e spiritosi, profondissimi pozzi di scienza circondati dalla meringa della simpatia. Noi genitori dobbiamo far capire la ragionevolezza kantiana dei nostri ordini, che mai devono nascere dal nervosismo, dall´impazienza, dalla sopraffazione, ma dall´armonia cosmica, da un Bene assoluto che il pargolo non può non capire. Giuro: io ci provo, sia in classe che a casa, con gli studenti e con i miei bambini. Ce la metto tutta per essere carismatico, per ottenere senza pretendere, per convincere senza imporre. Spiego e scherzo, provo a essere un buon professore ma anche un buon intrattenitore, provo ad arrivare a qualche risultato senza annoiare troppo.Ma purtroppo non sempre riesco ad arginare il caos. “Senti un po´, professò, devo annà ar bagno”, mi dice una ragazza. “Non darmi del tu, impara a rivolgerti agli adulti con più rispetto. E aspetta dieci minuti, il cambio d´ora”. Mi guarda stupita: “A professò, nun me poi fa così, io me sto a piscià sotto, io esco.” E se ne va, anche se io ripeto aspetta, e se provo a trattenerla se ne va sbattendo la porta. Scene di questo tipo accadono di continuo. A volte spiego e due studenti mi danno le spalle, sono a mezzo metro, ma a loro non importa, non cercando nemmeno il sotterfugio, il bigliettino, il bisbiglio: chiacchierano tranquillamente con i compagni seduti al banco di dietro. “Professò, io so´ sincero, sta cosa nun me interessa, la storia è roba vecchia, noi c´abbiamo da fa oggi pomeriggio, se dovemo organizzà”.
Una palese maleducazione impera, al punto tale che non viene nemmeno intesa come maleducazione, semplicemente come libertà, sincerità, naturalezza. Il linguaggio è spesso sbracato, i modi villani, i toni da mercato. Io resisto, cerco di dimostrare che la gentilezza d´animo è una qualità necessaria per avvicinarsi al sapere, che il bruto è tagliato fuori dalla società, che la volgarità non paga. Ma ricordo anche quella frase di Freud, esplicita e dolorosa: “L´educazione è una lunga opera di repressione”. Per educare bisogna anche comprimere la bestialità, i desideri scomposti, la prepotenza egoista, l´avidità infantile.
Noi cinquantenni – cresciuti in una scuola severa, ma sbocciati grazie al vento libertario – temiamo che qualcosa di buono si perda durante il processo educativo, e questo timore ci rende deboli, esitanti, inascoltati. Non ce la facciamo a castigare, dunque ci deprimiamo di fronte all´insolenza. Crediamo che sia colpa nostra, di non essere capaci a spiegare Dante come la coppia Eco-Benigni. E a casa non è poi così diverso. I bambini sembrano iscritti da subito al Club dei Diritti Assoluti: “Papà, perché hai comprato un giornaletto a Giordano e a me no?”. E io, calmo, ragionevole, kantiano, rispondo: “A te ho comprato le figurine”. Scuote la testa, Tobia: “Il giornaletto costa due euro e ottanta, le figurine uno e venti, così non va bene papà, mi dispiace ma proprio non va bene”. Io non raccolgo e allora scatta il pianto, si alzano gli strilli, partono le convulsioni nervose. I nostri padri ci avrebbero rifilato un ceffone, ma noi sappiamo che i bambini non si toccano, che il Telefono Azzurro è pronto a recepire ogni denuncia.
A dire il vero, i nostri padri difficilmente mollavano sganassoni: bastava uno sguardo per ricordare al ragazzino che c´è un ordine e c´è una legge, che i piccoli devono obbedire alla volontà dei genitori, i quali agiscono seguendo una logica non sempre chiara, ma tesa al bene del figliolo.
Il guaio è che anche come genitori crediamo assai poco a quella legge invisibile e un po´ stupida, vorremmo essere più comprensivi perché da bambini nessuno ci ha compreso, vorremmo essere più buoni perché in quelle case del dopoguerra i sentimenti gelavano, si doveva solo ubbidire e tacere. Insomma: la frusta non la vogliamo più, però non vorremmo nemmeno gli sputi in faccia. E allora che fare? Nonostante tutto, nonostante qualche delusione, credo che l´amore alla fine sia più fecondo della caserma, che produca persino risultati migliori.
Studenti e bambini sono istintivamente disordinati e chiassosi, vogliono esistere contro ogni regola, a volte straripano oltre i margini: però resto convinto che la loro energia sa riconoscere la voce buona del maestro, la vitalità del bene, che non è inermità e insulsaggine. Bisogna avere pazienza, insistere, non essere pietre severe e immobili, ma guidare con mano ferma e calda i nostri figli, continuare a vivere insieme a loro: insegnare e imparare.

La Repubblica 25.02.11

******

Professori e genitori riscoprono la disciplina. Per ragazzi sempre più aggressivi, un mix di ordini categorici e maniere forti. E un pizzico di yoga

VERA SCHIAVAZZI
Basta con le pacche sulla spalla, l´amicizia su Facebook, il perdono a oltranza e la comprensione ad ogni costo. A casa e a scuola, gli adulti cercano di recuperare il tempo (e l´autorità) perduti da trent´anni a questa parte e di riaffermare le proprie regole. E la voglia di un ritorno alla disciplina percorre un po´ tutto l´Occidente, dopo il Grido di battaglia della mamma tigre di Amy Chua, autobiografia di un´inflessibile mamma sino-americana e dopo che anche Barack Obama ha strigliato gli studenti statunitensi colpevoli di restare troppo in basso nelle classifiche internazionali. In Italia, si moltiplicano i gruppi di genitori in crisi, mentre le scuole rilanciano le punizioni di un tempo, ma rivedute e adattate al clima del momento. Alle elementari, l´obiettivo è relativamente facile da raggiungere. Come a Turano, nel Livornese, dove alla “De Amicis” si è inaugurato l´angolo della tranquillità, uno spazio separato da una tenda dove i bambini più indisciplinati vengono invitati a ritirarsi per recuperare calma e controllo. Non troppo diverso dall´angolo tout court di un tempo, ma certo più gentile: «Nessuno è obbligato né messo all´indice davanti ai compagni» hanno spiegato le maestre.«Ma qualche volta – hanno aggiunto le insegnanti – i problemi in classe si possono risolvere solo isolando chi in quel momento è più agitato». E a Milano, del resto, lo yoga era già arrivato da tempo nelle materne più esclusive: «Favorisce la concentrazione e aiuta i bambini a convivere». Alle medie il gioco si fa duro: una settimana fa, un´insegnante di Arezzo ha denunciato gli allievi che l´avevano messa su Facebook e pubblicato commenti ingiuriosi, la polizia postale li ha individuati ed ora si parla di una bocciatura di massa. Al liceo, le cose si complicano. E se il milanese “Parini” ha aperto la strada mettendo ai “lavori forzati” già nel 2005 gli studenti-vandali che lo avevano allagato, ad Avezzano (L´Aquila) il preside dello scientifico “Vitruvio”, esasperato dal rifiuto di molti ragazzi di rispettare il divieto di fumo, ha sostituito la multa con la “condanna” a pulire i bagni: «Prima avevamo adottato il sistema della multa, qualcuno pagava e qualcun altro no, ma nessuno cambiava atteggiamento».
Perfino John Beer, pseudonimo di un pubblicitario veneto e dei suoi due fratelli che nel 2006 lanciarono “setteincondotta”, fortunato blog sulla disciplina a scuola (www. notadisciplinare. it), ammette che c´è bisogno di una svolta: «Ho iniziato alla vigilia della maturità, pubblicavo le note che i professori mi mettevano dopo i miei scherzi, e hanno cominciato a rispondermi in centinaia. Adesso però se vai su YouTube trovi cose davvero pesanti, professoresse messe alla berlina, minacce … non voglio confondermi con loro». Ma ricorrere alle denunce penali non è la soluzione. La leva del voto in condotta è la più gettonata: diecimila i cinque assegnati agli scrutini del giugno 2010 nella sola provincia di Roma, mentre sono ormai numerosissimi i regolamenti di istituto che promettono un giorno di sospensione dopo cinque ritardi, due per chi esce dalla classe senza permesso, tre giorni per chi insulta il professore. Tabelline bene ordinate, che denunciano però la fine di qualunque tentativo di mediazione, il desiderio di usare la clava anziché la moral suasion. Dopo Françoise Dolto, la madre della pedagogia francese accusata di lassismo, anche Maria Montessori sembra avviata alla condanna.
Una tendenza che il ministero dell´Istruzione sembra incoraggiare ma che già suscita la reazione di un´altra parte degli insegnanti. «Non bisogna confondere la disciplina con lo studio, e usare la prima per stimolare il secondo non funziona – dice Domenico Chiesa, uno dei fondatori del Cidi, il Centro di iniziativa democratica degli insegnanti – I problemi ci sono e sono seri, in alcune scuole raggiungono livelli da ordine pubblico, al punto da spingere gli insegnanti a chiedere alle famiglie di tenere a casa i figli ribelli almeno qualche giorno… Ma la risposta “minacciosa” scelta in molte scuole non farà crescere la voglia di studiare dei ragazzi». Conferma Anna Salerni, docente di didattica e pedagogia alla Sapienza di Roma e autrice di una ricerca sul tema pubblicata da Carocci: «Gli insegnanti sembrano dividersi in due scuole di pensiero, quelli che credono nelle maniere forti e quelli che si rifiutano di usarle. Ora le nuove regole sembrano dare ragione ai primi, ma la verità è che i messaggi che arrivano dal mondo esterno non incoraggiano nessuno a studiare e a comportarsi bene».
Tra le mura domestiche il clima non sembra diverso. Da nord a sud nascono gruppi di genitori – le madri per prime, i padri subito dopo – che si incontrano per trovare insieme le risposte all´aggressività di figli apparentemente fuori controllo. Qualcuno cede e, se può permettersi un costo tra i dieci e i ventimila euro, ripercorre vecchie strade: il 2009/2010 è stato un anno da record per i collegi svizzeri che, come il Rosenberg, hanno da sempre una sezione italiana. Per gli altri ci sono gruppi come Genitori Insieme (genitorinsieme. it) che da quest´anno propongono vere e proprie scuole: nato a Genova oltre dieci anni fa, ora si è organizzato in dieci gruppi diversi e utilizza il modello degli alcolisti anonimi: ognuno racconta la sua storia, un´ora e mezza la settimana, e cerca di imparare dalle esperienze degli altri. A Piacenza è nata una scuola dal Centro psicopedagogico diretto da Daniele Novara che già si occupava di conflitti, e in un anno 250 genitori hanno chiesto aiuto, a Pinerolo, in provincia di Torino; dall´esperienza dell´Ama (auto-mutuo aiuto) sono nati due nuovi gruppi. E sempre a Torino un nuovo sportello comunale accoglie i genitori in crisi e li accompagna in caso di separazione o difficoltà: «Sentiamo tante storie di ragazzini tirannici che non rispondono a nessuna regola. In casi come questi, non si possono che suggerire regole chiare e severe da sottoscrivere insieme», racconta Giulia Facchini, avvocato familiarista. Ma non ci sono solo genitori impauriti. In sottofondo, il ruggito della mamma tigre cresce di intensità e stimola l´autoironia delle italiane, da sempre in cima alle classifiche del buonismo. Su mammaoggi.it, Luisa, medico, 40 anni, ha chiosato: «Io sono tutt´al più una mamma coniglio». Amy Chua, docente a Yale, ha invece rivelato di aver costretto la figlia di sette anni a passare sei ore al pianoforte e gettato nella spazzatura un cartoncino di auguri fatto all´asilo, colpevole di sciatteria. La mamma tigre, dunque, si batte perché a scuola i voti restino bassi e si contrappone alla mamma-canguro che, invece, predica un´educazione amorevole e naturale, sostenendo il divieto per legge delle sculacciate. «Di una nuova disciplina si sente molto la mancanza – conclude Giorgio Chiosso, docente di pedagogia generale a Torino – ma per ottenerla ci vogliono insegnanti più bravi, in grado di attirare l´attenzione anche senza minacciare sanzioni. E un patto con le famiglie, a cui tocca sostenere il rigore dei professori». «Per risalire le classifiche – conferma Daniele Checchi, economista politico e studioso dei sistemi scolastici – l´Italia deve fare come i paesi che stanno ai primi posti, prendere sul serio i test internazionali». Le mamme tigre lo sanno, in Corea come negli Stati Uniti accompagnano personalmente i figli alle valutazioni. Su mammaoggi qualcuna ammette di essere sulla stessa strada: «Ho punito Mattia – cinque insufficienze in seconda media – non lasciandolo uscire per un mese. Ora ci prepariamo assieme al liceo». Si attendono altre confessioni.

La Repubblica 25.02.11