economia, lavoro

"Marchionne non fa tendenza. Parola di Emma Marcegaglia", di Giuseppe Vespo

Marchionne? Fra gli industriali non fa tendenza. Parola di Emma Marcegaglia, secondo cui il modello voluto dal manager Fiat per governare gli stabilimenti del Lingotto non è stato ripreso da nessuna altra impresa italiana. Edi conseguenza, non avrà nessun impatto sulle future relazioni industriali. La leader di viale dell’Astronomia lo assicura a Susanna Camusso, insieme alla quale è intervenuta al Festival «Manifutura» a Bologna. Alla segretaria della Cgil, invece, Marcegaglia chiede di rilanciare il tavolo sulla produttività e di trovare un «accordo complessivo » con i sindacati. Perché Fiat è Fiat, sostiene l’industriale mantovana, ha delle sue specificità che vengono dal passato, come l’assenteismo di alcuni stabilimenti. Ma il resto del mondo industriale è un’altra cosa, e quindi altrove va cercata la soluzione all’impasse delle attuali relazioni tra imprese e sindacati. «Non bisogna più ragionare con vecchie logiche perché la competizione è durissima – dice Marcegaglia alla Camusso – dobbiamo lasciare l’ideologia da parte, rispettandoci reciprocamente, ma lo dobbiamo fare». Va bene, sembra rispondere la segretaria di Corso Italia: lavoriamo a un tavolo di discussione sulla produttività, purché «le parti si riconoscano e si rispettino», nel solco di quanto già fatto insieme in tempi meno rigidi. Certo, «non si possono cambiare i rapporti e i pesi» quando si affrontano «alcune materie», ma ci sono «tutte le condizioni per discutere, a patto che si fermino i guastatori». Ma in attesa che riparta il confronto con gli industriali, la Cgil guarda al governo e prepara per la primavera lo sciopero generale: unica via per indurre l’esecutivo a cambiare rotta, dice anche Guglielmo Epifani, che avalla la scelta di chi ha preso il suo posto. «Il tasso di disoccupazione aumenta e il Sud è lasciato a se stesso – spiega l’ex segretario di Corso Italia – il Paese cresce poco e mancano stimoli per gli investimenti e lo sviluppo: serve una scossa che non si vede». Intanto chi pare averla data una scossa, ma solo al Lingotto, sono i russi: dopo appena una settimana dall’interruzione delle trattative con Sollers, per definire una joint venture soffiata all’ultimo minuto da Ford, Fiat ha deciso di puntare da sola alla Federazione. La casa torinese ha presentato al ministero dello Sviluppo di Mosca un progetto per produrre e distribuire in Russia 300mila auto e veicoli commerciali all’anno.

L’Unità 26.02.11

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“Il disgelo Confindustria-Cgil”, di Marco Alfieri

Proclamare lo sciopero generale è una scelta di responsabilità. Il governo sta affossando il Paese», scandisce Susanna Camusso. Ma sulla data la leader della Cgil continua a glissare. «Si farà quando servirà a dare il segno che il governo e il Paese devono cambiare passo». «Sciopero generale? Più utile unire le forze», replica Emma Marcegaglia. «Lo sciopero naturalmente è un diritto. Solo che in un momento come questo credo sia più utile lavorare insieme per far valere le ragioni di chi lavora».

Eppure dietro i rituali del discorso pubblico le due signore del lavoro italiano continuano a parlarsi. Lo hanno fatto anche ieri a Bologna, al Manifutura Festival organizzato dalla fondazione Nens. Il disgelo è in corso dopo la stagione degli accordi separati e del ciclone Marchionne. Camusso agita l’arma dello sciopero ma in fondo non vorrebbe arrivare a farlo. Marcegaglia lo sa e la sprona. «Su dei punti ci possono essere diversi interessi, non si può essere uniti su tutto – abbozza – ma sui grandi temi dello sviluppo e della crescita, cara Susanna, siamo dalla stessa parte». Insomma si capisce che Cgil e Confindustria, nella terra incognita della produzione globale che rischia di spazzare via relazioni industriali codificate, vogliano puntellarsi a vicenda mettendo da parte diffidenze e retropensieri.

Non tutti in casa loro sono per il disgelo (Fiom come alcuni big confindustriali), ma le due signore ci provano. Marcegaglia ieri è stata molto dura sulla Libia: «prima di pensare all’economia ci vuole una condanna chiara del genocidio, si gioca la credibilità delle istituzioni». Così come sulla riforma dell’art. 41 varata dal governo: «la modifica potrà avere effetti nel medio termine, ma ricordiamoci che il boom degli Anni 50-60 c’è stato con questa Costituzione». A sua volta Camusso ha avallato Confindustria sulla semplificazione amministrativa: «aumentiamo la qualità dei controlli, ma è giusto voler eliminare la burocrazia inutile». In sostanza ripartire dal patto per la crescita si può. «La premessa è che le parti si riconoscano e si rispettino», mette i paletti Camusso.

«Ci sono tutte le condizioni per discutere, ma bisogna fermare i guastatori». Chiaro il riferimento al Lingotto. Il metodo Marchionne non diventerà un modello di relazioni industriali, tampona Marcegaglia. «Quante altre aziende hanno fatto questa cosa? Zero. La Fiat aveva una specificità, le relazioni non hanno funzionato, basti pensare che c’era un assenteismo altissimo. Ma moltissime imprese hanno trovato la propria via in un altro modo», precisa.

Tuttavia per Viale dell’Astronomia ci vuole un passo avanti: «la competizione è durissima. Dobbiamo lasciare l’ideologia da parte, rispettandoci reciprocamente». Peraltro nella crisi, «sul territorio siamo stati uniti, abbiamo gestito accordi con l’impegno e la responsabilità di tutti».

Uno spirito che si potrebbe ripetere sulla riforma fiscale, «che va fatta perché oggi le tasse le pagano solo le imprese e i lavoratori». Come finanziarla? Bisogna fare una lotta all’evasione fiscale vera. «Noi siamo favorevoli alla tracciabilità anche più spinta, con pagamenti in contanti fino a 500 euro», concede Marcegaglia. «Siamo favorevoli ad aumentare la tassazione sulle rendite finanziarie, e a ritoccare l’Iva». Camusso di fianco annuisce. Poco prima il suo predecessore, Guglielmo Epifani, chiudendo una tavola rotonda aveva detto che «oggi ci vuole cooperazione tra imprese e lavoro, non conflitto». Parole che somigliano al Marcegaglia pensiero di questi giorni: «non è più tempo di accordi separati…». Chissà. Nel mezzo, forse, c’è lo spazio per riscrivere il tanto atteso patto fra produttori.

La Stampa 26.02.11