attualità, politica italiana

"Tripoli brucia e il Cavaliere se la ride", di Francesco Lo Sardo

«Martedì tutte da me per il bunga bunga…», gongola a Montecitorio circondato dalle sue deputate.
«Anche la sinistra vuole venire a fare il bunga bunga…», ripete ilare più tardi in conferenza stampa a palazzo Chigi.
«Presidente, per favore, parliamo del tema della conferenza stampa», lo richiama un imbarazzato Gianni Letta. Ma dov’è, esattamente, la testa di Silvio Berlusconi? Difficile dirlo a giudicare dalla sequenza di battute tra l’avanspettacolo, la vanagloria («Nessuno può governare meglio di me»), il cattivo gusto di una citazione franchista («“Al fuego”, come diceva il dittatore Francisco Franco») che hanno fatto da contrappunto, a Roma, all’ennesima giornata di combattimenti e di lutti nella Libia in rivolta contro Gheddafi e a Tripoli tenuta in scacco dal colonnello-dittatore legato da «grande amicizia personale» al Cavaliere.
Ancora una volta la narrativa proposta dalla propaganda berlusconiana (a partire dai pomposi comunicati sulle due telefonate del Cavaliere con Obama e col britannico Cameron, i quali hanno ringraziato per l’uso della base di Sigonella per evacuare i civili angloamericani) fa a pugni con la triste realtà.

Non mi pento
Quella di un premier italiano che, nelle stesse ore in cui Tripoli è in un bagno di sangue, è scosso da moti d’indignazione che lasciano sbigottiti : «Ora basta, dobbiamo reagire, la situazione è inaccettabile e io sono stufo, stufo». Di cosa? Della corte costituzionale che «ci impedisce di lavorare, e prova a ostacolarmi in ogni modo». Per non parlare dei pm che vogliono processarlo: «Ma io non ho commesso alcun reato e non mi pento.
Anzi, sarei venuto meno ai miei doveri se non avessi chiamato quella sera in questura a Milano». Passeranno otto ore prima che il portavoce del Cavaliere, lo sconfortato Paolo Bonaiuti, cerchi di smentire alcune delle frasi, in particolare quelle contro la Consulta. Nessuno crede alla smentita, considerato il noto animus di Berlusconi per la Consulta.
Destano maggiore inquietudine i toni ridanciani del Cavaliere in una giornata di sangue come quella di ieri. Non meno “smaglianti”, si fa per dire, sono apparse ieri le performances dei ministri-chiave di questa sorta di sottocrisi italo-libica che si consuma all’ombra di quella del Maghreb: La Russa e Frattini.
Il ministro della difesa, impegnato a tamponare la maggioranza al lumicino nel voto di fiducia sul Milleproroghe (passato con 309 voti rispetto ai 316 che la maggioranza avrebbe sulla carta) ieri non s’è presentato alla riunione convocata dal segretario generale della Nato Rasmussen a Budapest con i ministri della difesa Ue sulla crisi in Libia. «Ho chiesto all’ambasciatore italiano di partecipare al mio posto… Anche Rasmussen è partito da Bruxelles all’ultimo momento, nulla lasciava prevedere un incontro…
». Già, nulla: salvo quella guerra civile in Libia che, per l’Italia, è questione di cruciale importanza cui si dovrebbe dare precedenza assoluta.

Smentisco tutto
Frattini, a sua volta, ha aperto la giornata con una smentita di un’intervista al quotidiano tedesco Financial Times Deutschland: «Sì, sì, smentisco tutto».
Nell’articolo, titolato “L’Italia continua a puntare sulla tribù di Gheddafi” il giornale riferiva che l’Italia «non esclude di accettare un nuovo governo guidato da Gheddafi o uno dei suoi figli».
Ma ieri la giornata non è stata delle migliori neppure per Roberto Maroni.
Il ministro dell’Interno leghista è tornato a prendersela con l’Unione europea: «Uno dei problemi che sto sperimentando è che lo stato italiano non ha gli strumenti per governare le emergenze come quella che sta accadendo sulle nostre coste.
C’è stata una cessione di sovranità all’Europa che però in cambio non ci dà una risposta adeguata».
Perché mai il governo italiano non avrebbe gli strumenti per svolgere un adeguato controllo delle nostre coste? Tra marina militare, capitanerie, carabinieri, guardia di finanza e polizia di frontiera non disponiamo di mezzi sufficienti per il loro pattugliamento? O c’è un problema di insufficienti aiuti economici all’Italia in vista di un’esodo biblico di profughi in arrivo dalla Libia che però, allo stato, ancora non si vede? Il presidente della repubblica Napolitano che pure auspica «una forte solidarietà » di tutta l’Europa» e «un intervento «più consistente del Frontez» ieri ha dato un bell’altolà a Maroni: «Di fronte all’emergenza profughi non bisogna cedere ad allarmismi e a vittimismi », ha detto Napolitano da Berlino dov’è in visita di stato. Uno stop al gioco allo scaricabarile e alla fuga di responsabilità di chi nella maggioranza, come la Lega, ha già avviato una campagna politica di propaganda basata sulla denuncia di una presunta «vergognosa ostilità dei paesi nordeuropei» a «dare aiuti» e «partecipare alla gestione dei flussi». Un fermo altolà allo scomposto e sgangherato gridare “al lupo al lupo” che getta ulteriore discredito su un’Italia già macchiata dalla sua poco onorevole pagina di rapporti con la Libia di Gheddafi.

da Europa Quotidiano 26.02.11

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“Ecco cosa rischia la Gheddafi Spa”, di Raffaella Cascioli
Il congelamento dei beni del dittatore libico Muammar Gheddafi, chieste nei giorni scorsi sia da Berlino che da Parigi e ieri proposte dall’Onu, dovrebbe riguardare almeno in Europa decine di miliardi di dollari. Una misura su cui ieri hanno trovato l’accordo i paesi dell’Unione europea che hanno deciso l’embargo delle vendite di armi e di materiale usato per la repressione oltre al congelamento dei beni e al divieto di ingresso in Ue per il rais e la sua famiglia.
Le sanzioni dovrebbero essere approvate all’inizio della prossima settimana, mentre si segnalano i tentativi degli ultimi giorni del colonnello di trasferire gran parte delle sue ricchezze in Venezuela. E ieri mentre il dipartimento del tesoro Usa ha fatto sapere di aver chiesto alle istituzioni finanziarie e alle banche a stelle e strisce di essere particolarmente vigili riguardo ai movimenti di capitali dei responsabili libici, il ministro degli esteri Franco Frattini è stato al centro ieri di polemiche per il contenuto dell’intervista rilasciata al quotidiano tedesco Financial Times Deutschland dal titolo «L’Italia continua a puntare sulla tribù di Gheddafi ». Frattini, che ha smentito il contenuto dell’intervista, avrebbe detto fra l’altro al giornalista, di essere contrario alla proposta di congelamento di beni all’estero appartenenti al regime libico: «Non ritengo che in Francia, Germania o Italia si trovino investimenti finanziari o proprietà». Nonostante la smentita la casa editrice del Financial Times Deutschland ha confermato i contenuti dell’intervista del ministro sostenendo di essere in possesso della registrazione della conversazione che pone il ministro italiano in rotta di collisione con Germania e Francia.
Contrariamente a quanto avrebbe dichiarato Frattini il congelamento colpirebbe ingenti affari del rais sparsi nel Vecchio continente a cominciare dalla city londinese ai caveau delle banche svizzere fino al cuore nevralgico della Gheddafi Spa, che si può rintracciare in Italia. E, questo, sia per i rapporti personali di Gheddafi con Silvio Berlusconi, sia per quel passato di paese amico che l’Italia ha sempre vantato nei confronti di Tripoli.
Le partecipazioni finanziarie della ditta Gheddafi & figli in Italia sono molteplici e, secondo una stima riportata in questi giorni da Il Sole 24 Ore, il loro valore a prezzi correnti di Borsa dovrebbe aggirarsi intorno ai 3,6 miliardi di euro: a cominciare dalla partecipazione del 5% della banca centrale libica in Unicredit a cui si aggiunte il 2,5% del capitale di Piazza Cordusio in mano al fondo sovrano Lia, come caldeggiato in autunno dal figlio prediletto di Gheddafi, Saif Al Islam. A questo si aggiunge l’1% detenuto in Eni con una partecipazione per 700 milioni, il 2% in Finmeccanica per 100 milioni e il 7,5% della Juventus per 13 milioni di euro.

da Europa Quotidiano 26.02.11