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"Quegli incroci pericolosi tra stampa e TV", di Sergio Rizzo

Bene ha fatto Giorgio Napolitano a imporre di correggere la piega indecente che aveva preso il decreto Milleproroghe. Bene ha fatto, anche se non era difficile immaginare quanto la sua iniziativa sarebbe stata mal digerita dal presidente del Consiglio, indispettito dal fatto che «quando il governo decide di fare una legge» , parole sue, «lo staff» del presidente della Repubblica «intervenga puntigliosamente su tutto» .
Così «puntigliosamente» , in questa circostanza, da avere però determinato forse involontariamente un risultato paradossale, del quale proprio l’editore Silvio Berlusconi non potrebbe non rallegrarsi. Alludiamo alla norma che consentirà a chi possiede più di una rete televisiva di sbarcare nella carta stampata a partire dal prossimo primo aprile. Le cose sono andate nel modo seguente. La legge Gasparri prevede il divieto di incrocio fra televisioni e stampa quotidiana fino al 31 dicembre 2010. Due giorni prima della scadenza, con il decreto Milleproroghe, viene deciso uno slittamento di quel termine che non piaceva alle opposizioni: ma fino al 31 marzo 2011. Perché soltanto tre mesi? Il governo dice che vuole prendere un po’ di tempo in una materia tanto controversa. Per l’opposizione, invece, non può che trattarsi di una pistola carica in mano alla maggioranza in vista di probabili elezioni. Solo una certezza: la decisione se far scattare o meno quel grilletto il primo aprile è nelle mani di Berlusconi. La norma che allunga di tre mesi il divieto è infatti seguita da un’altra che dà al presidente del Consiglio la facoltà di stabilirne, con un proprio decreto, «l’ulteriore proroga fino al 31 dicembre 2011» . L’opposizione s’infiamma, urlando contro il conflitto d’interessi del premier. E anche l’Autorità per le comunicazioni di Corrado Calabrò fa presente che proprio perché la materia è così delicata bisogna andarci con i piedi di piombo: se ci dev’essere uno slittamento, che almeno sia serio. Ne viene così fuori un emendamento del governo che sposta tutto al 31 dicembre 2012. Dove si precisa che il divieto di comprare giornali deve riguardare «qualunque piattaforma» , vale a dire anche le tivù satellitari. Una sottolineatura perfino ovvia nel mercato ormai globale delle comunicazioni. Che però si traduce in una pillola avvelenata per il principale concorrente del magnate televisivo Berlusconi: Sky di Rupert Murdoch. L’emendamento sta per andare in porto quando il Quirinale ferma tutto, ma per ben altre ragioni. Il fatto è che sul carretto del Milleproroghe sono state caricate cose assolutamente estranee alla funzione originaria di quel provvedimento, ovvero mettere una pezza a scadenze previste dalle leggi che per ragioni tecniche non possono essere rispettate. Per dirne una, è finito lì dentro anche l’aumento del numero degli assessori per le grandi città. Una schifezza fra altre schifezze, che va epurata. Ma il tempo stringe: l’esecutivo rimette mano al provvedimento in fretta e furia e lo fa approvare proprio sul filo di lana. Il Quirinale «prende atto che governo e Parlamento hanno provveduto a espungere dal testo molte delle aggiunte sulle quali erano stati formulati rilievi da parte del capo dello Stato» . Aggiungendo però che «restano comunque disposizioni in ordine alle quali potranno essere successivamente adottati gli opportuni correttivi» . Per la serie: qua nessuno è fesso. Anche perché, nella concitazione della ripulitura chiesta dal Colle, sono rimaste nel piatto pietanze indigeribili come l’ennesima scandalosa sanatoria per i manifesti elettorali abusivi. Mentre invece la modifica che rimandava al 2013 la possibilità per i proprietari di più reti tivù di acquistare giornali è saltata. E il boccino torna così nelle mani di Berlusconi. Tanto basta per alimentare nuovi rancori, nuovi veleni, nuovi sospetti su piani di conquista dei grandi giornali da parte delle reti televisive del premier. Viene da chiedersi: in un momento come questo, con il mondo in fiamme, l’economia che arranca e le riforme al palo, c’era bisogno di altra benzina sul fuoco?

dal Corriere della Sera del 1° marzo 2011