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"Quel silenzio in aula per salvare la scuola", di Carlo Galli

Nelle sue recenti esternazioni sulla scuola Silvio Berlusconi è riuscito ad argomentare nelle modalità più disparate e apparentemente sconnesse. Da una parte, in un contesto di “cattolici riformisti” (ma forse “contro”-riformisti), ha abbracciato tesi sanfediste. Si è cioè esibito in un’incredibile polemica contro la scuola di Stato. La scuola pubblica che sottrae i figlioli alle famiglie, per educarli a valori opposti a quelli in cui sono nati e in cui devono essere cresciuti – e che quindi in realtà “non educa” – . Era, questo, l’argomento portato dal cattolicesimo reazionario – in Francia e in Italia – contro lo Stato moderno nel momento del suo insediarsi e consolidarsi. Un argomento oscurantista, figlio di una visione chiusa e organicistica della società come di un corpo naturale di famiglie, tenute insieme dalla fede. Rispetto a questo scenario, lo Stato moderno, che attraverso la scuola statale pubblica porta i giovani fuori dalle chiusure localistiche e li educa ai principi civici razionali di cittadinanza universale – per quanto timidamente applicati nella pratica – , è un’intollerabile minaccia, un’inaccettabile sopraffazione.

D’altra parte, per correggere i soliti fraintendimenti della stampa di sinistra, Berlusconi ha sfoderato, il giorno dopo, una impostazione ultraliberale. Ha cioè sostenuto che le famiglie hanno il diritto di avere a disposizione un’ampia gamma di scuole pubbliche, sia statali sia
private, fra cui scegliere liberamente l’istruzione dei loro figli. Come il primo scenario era ostile allo Stato con modalità per dir così premoderne e organiche, quest’altro lo è in altro modo, cioè con abuso di argomenti individualistici e mercatistici. Il primo faceva appello alla continuità tra famiglia e scuola in nome della tradizione, il secondo invece esplicitamente richiama l’idea che l’educazione dei figli sia un affare privato delle famiglie, le quali – pagando – si possono permettere di scegliere il “modello” preferito. Il primo allude a un Paese compattamente cattolico, il secondo promuove – al di là della retorica patriottica a cui ogni tanto il governo indulge – un Paese frammentato lungo linee molteplici (censo, ideologia, e naturalmente religione e “cultura”), e non ricomponibili: anzi, la frammentazione sociale va coltivata amorevolmente nelle scuole differenziate.

Nella prima prospettiva la scuola statale è delegittimata senza appello – e proprio la sua radicalità ha spinto le gerarchie ecclesiastiche a prenderne almeno formalmente le distanze – ; nella seconda, invece, è più astutamente equiparata, in quanto “pubblica”, ad altre tipologie di scuola altrettanto ‘pubbliché – perché rivolte al pubblico degli utenti – , che sono in realtà le scuole “private” (non importa se religiose e o laiche, ma prevalentemente le prime). Insomma, lo Stato e la sua scuola, con la sua opera di socializzazione paritaria alla cittadinanza democratica, è un’opzione fra le tante, un’opinione come un’altra: almeno sotto il profilo teorico, che è sempre quello decisivo. Una volta fatta passare la tesi che sarebbero tutte ugualmente scuole “pubbliche” – tesi peraltro già condivisa dal centrosinistra – , è poi semplice per chi sta al governo togliere finanziamenti alla scuola di Stato (e compiangere al tempo stesso i professori sottopagati! Un autentico virtuosismo comunicativo), e darli a quelle private, e così dequalificare le prime e invogliare chi appena se lo può permettere a iscrivere i figli nelle seconde, al riparo dal degrado. Che è infatti il risultato del cosciente e deliberato operare di questo governo verso tutte le scuole, e anche verso l’Università, per una scelta ideologica che, come è stato osservato su queste pagine, non è né nella lettera né nello spirito della Costituzione che non a caso privilegia, dal punto di vista logico e normativo, la scuola di Stato.

Una scelta ideologica antistatale, di una destra che rinnega e rovescia il proprio passato (da Casati a Gentile); e che non ha nulla a che fare col liberalismo, se non con una sua interpretazione casereccia, particolaristica, qualunquistica. Una scelta declinata in due modalità diverse e opposte, come una sagace offerta commerciale rivolta a target elettorali distanti fra di loro (ultras cattolici, e individualisti postmoderni) che solo in lui, nel Cavaliere proteiforme come Zelig, trovano coerenza e credibilità. Proprio perché è stato capace di presentare le sue posizioni sulla scuola nel più gradito e dolce dei modi, cioè come una polemica sacrosanta contro l’indottrinamento di sinistra che sarebbe impartito nella scuola pubblicostatale dagli ormai attempati professori sessantottini. È cavalcando questo pregiudizio benpensante di fondo, questo rancore di lungo periodo, questo fantasma politico che terrorizza i suoi molti antipolitici elettori, che la destra di Berlusconi vince; è attraverso questa vittoria postuma sull’odiatissimo Sessantotto che passa la vittoria di oggi su ciò che resta della scuola di Stato e della sua funzione in senso lato politica – non partitica, ovviamente, né ideologica – . Che è di formare i giovani, con fermezza e rigore, allo spirito pubblico e critico, e di non lasciare che in questo Paese la democrazia repubblicana si trasformi, anche in conseguenza dello smantellamento della scuola di Stato, in una democrazia a’ la carte, senz’anima e senza futuro.

La Repubblica 02.03.11

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Napoli. Scuola pubblica, la rabbia dei presidi. ‘Berlusconi vieni a Scampia’, di Anna Laura De Rosa

Manifestazioni in alcuni istituti della città. L’indignazione dei dirigenti scolastici già alòle prese con i pesanti tagli della finanziaria. “Un potere traballante perde lucidità. Le frasi del presidente Berlusconi sono dettate dalla disperazione, o c’è il subdolo disegno di affossare l’istruzione pubblica per altri interessi. La scuola è un insieme di teste pensanti ed è questo che si vuole colpire. Si mostra insicurezza in un momento critico per la vita italiana”. Pasquale Malva, dirigente scolastico dell’istituto superiore Mazzini del Vomero, risponde duramente alle parole del premier. La sua voce si confonde con quella dei presidi più in vista della città. Dirigenti, professori e studenti dell’Umberto, del Genovesi, del Mercalli e del Vico difendono il lavoro che ogni giorno svolgono “con sacrificio nonostante i tagli”. Dicono basta “alla chiara volontà del Governo di distruggere la scuola per interessi personali”. Non basta. Da Scampia i dirigenti invitano il premier a vivere un giorno con i professori del quartiere a rischio per vedere la passione con cui lavorano per salvare i ragazzi. E la protesta nata in classe corre veloce dalla rete ai cellulari, preparandosi a scendere in piazza.

Oggi i docenti del Mazzini hanno manifestato contro il premier osservando un minuto di silenzio in aula. Ieri era toccato ad alcuni professori del Pansini. Nei prossimi giorni dovrebbe essere la volta del Genovesi, del Mercalli e dell’Umberto. I prof si stanno organizzando lanciando sms ai colleghi. Ma la protesta pulsa anche nelle case dei precari del Coordinamento precari scuola Napoli, che stanno organizzando con i colleghi romani un sit nella capitale per il 17. “Il minuto di silenzio non basta – ribadisce Giuseppe Vollono del coordinamento – Servono azioni forti, siamo pronti a rivolgerci persino alla Corte europea per far valere i nostri diritti”.

C’è fermento nella sede Cgil di via Torino, dove domani si incontreranno gli studenti medi della Uds (Unione degli studenti). I ragazzi hanno già programmato incontri nelle scuole di tutta la regione per raccogliere adesioni e scendere in piazza. Gli universitari sono pronti a partecipare alla manifestazione romana del 12, mentre l’Uds pensa di organizzare a Napoli un’assemblea pubblica. Anche i rappresentanti Cgil discuteranno in mattinata sul da farsi. Da quando il premier ha parlato di istruzione, arrivano 150 mail di protesta al giorno ai pc della sede: “Le dichiarazioni del presidente feriscono i docenti più dei tagli e delle umiliazioni precedenti – spiega Alessandro Aienzo, segretario regionale Scuola, università e ricerca della Flc Cgil – Queste frasi fanno montare rabbia e frustrazione anche nei professori meno attivi. Manifesteremo in strada e ne parleremo alla città il 15 marzo con Susanna Camusso e Domenico Pantaleo, durante un’assemblea pubblica sulla difesa del sistema pubblico”.

C’è di più. Tra il 9 e il 10 l’associazione onlus “Tutti a scuola” sfilerà nelle strade di Napoli: “Siamo arrivati a un punto di non ritorno – protesta il presidente della Onlus Antonio Nocchetti – scenderemo in piazza per ricordare alla politica che la Costituzione esiste e che la scuola pubblica aiuta anche e soprattutto le persone svantaggiate come i diversamente abili”. Dall’istituto alberghiero Vittorio Veneto di Scampia il dirigente scolastico Anna Maria Carrieri vorrebbe invece far vivere a Berlusconi “il contesto in cui lavorano i docenti per fargli capire con quanta dedizione cercano di recuperare i ragazzi del quartiere a rischio. I professori vanno oltre i propri compiti per avvicinare i giovani a famiglie a volte assenti”. Insomma il fronte compatto è pronto al contrattacco.

La Repubblica 02.03.11