attualità, politica italiana

«I tre "corpi" del Cavaliere», di Ilvo Diamanti

TRA Silvio Berlusconi e i magistrati, ormai, è un corpo a corpo. L´attività del governo e del Parlamento, infatti, ruota intorno a un solo problema. Immunizzare il premier. Impedire che venga indagato, giudicato. Intercettato. D´altronde, oggi l´opposizione è afona e l´attacco portato dall´antico alleato, Gianfranco Fini, in Parlamento, pare neutralizzato.
L´unico vero “nemico” sembra essere rimasto il “partito dei Pm”, alla guida della “Repubblica Giudiziaria”. Tuttavia, non è stato sempre così. Anzi.
La “discesa in campo” del Cavaliere non sarebbe stata possibile senza Tangentopoli. Senza la “tabula rasa” prodotta da Mani Pulite nel sistema partitico e nella classe politica della Prima Repubblica. È in quel “vuoto” che si è imposto Silvio Berlusconi, insieme al suo “partito personale”, Forza Italia.
La magistratura, all´epoca, più che la giustizia rappresenta il Grande Giustiziere, a cui gli italiani affidano il compito di affondare la Prima Repubblica, ormai delegittimata – e, dunque, di fondare la Seconda.
In quella fase paga un prezzo pesante. Falcone, Borsellino e la loro scorta cadono vittime dell´attacco della mafia contro l´unica istituzione che ancora rappresenti lo Stato legittimo. Per questo Berlusconi, al tempo del suo primo governo, nel 1994, cerca di reclutare la figura simbolo del pool di Milano: Antonio Di Pietro. Inutilmente. Anzi, la magistratura diviene rapidamente il Nemico, più che l´avversario. Soprattutto dopo l´opposizione espressa, lo stesso anno, contro il decreto del governo che blocca la custodia cautelare per i reati di Tangentopoli. E dopo l´inchiesta nei confronti del premier, annunciata sui giornali in coincidenza con il G8 di Napoli.
Gli effetti di questa “rottura politica” si riflettono, evidenti, nella percezione degli elettori. La fiducia nei magistrati, dopo il 1994, crolla: dal 67% (dati Ispo) scende al 41% nel 1997. E negli anni seguenti calerà ancora, fino al minimo del 34% (dati Demos). È spinta in basso dagli elettori di centrodestra. Ma diminuisce anche nella base del centrosinistra. Perché le inchieste giudiziarie colpiscono tutti gli attori politici. Di tutti gli schieramenti.
Tuttavia, la magistratura appare – ed esercita – un potere “autonomo” e politicamente sempre più rilevante. In quanto influenza la credibilità degli attori politici. In primo luogo perché nella “democrazia del pubblico e dell´opinione” l´ideologia conta poco. Conta invece – sempre più – la fiducia nella persona. Misurata dai sondaggi, rilanciata e legittimata dai media. Soprattutto dalla tivù. Di fronte all´opinione pubblica, i magistrati diventano i “custodi della convivenza e della virtù” (per usare le parole di Alessandro Pizzorno). Le loro inchieste e le loro iniziative possono de-legittimare un leader, un partito, un attore pubblico.
La seconda ragione riguarda la “presidenzializzazione” che, di fatto, si afferma in Italia (e non solo). E riunisce i “due corpi del Re” (per riprendere la “teologia politica” di Ernst Kantorowicz). In quanto il “corpo politico” si identifica nel “corpo” (naturale) del leader (come osserva Mauro Calise nella nuova edizione de “Il partito personale”, pubblicata da Laterza). Per cui non c´è più distanza tra sfera politica e personale. I fatti privati diventano pubblici. E viceversa. Per un verso, esibiti, per l´altro, spiati e riprodotti sui media.
Così, Silvio Berlusconi si trova costantemente esposto e “minacciato”. Il Cavaliere, d´altronde, non ha solo due corpi. Oltre al suo corpo naturale e a quello politico-statale (leader di partito e premier), ha un corpo mediale (e imprenditoriale). Il che moltiplica le interferenze e le connessioni fra privato e pubblico. E rende politicamente “sensibile” ogni iniziativa dei magistrati nei confronti del premier. Perché ne danneggia la fiducia personale e la legittimazione pubblica. Così, i magistrati vengono percepiti come il principale, se non l´unico, oppositore.
Tutti, perché Berlusconi generalizza all´intera magistratura le accuse e le polemiche che, in realtà, (come ha osservato Nando Pagnoncelli) riguardano principalmente le inchieste della procura di Milano. Trasformando i “suoi” problemi con la giustizia in un progetto di riforma della giustizia. Le sue questioni personali in una Questione Nazionale.
Peraltro, i livelli di fiducia verso i magistrati si dissociano, fra Destra e Sinistra, a partire dalla campagna in vista delle elezioni politiche del 2006. Ma la forbice si allarga a dismisura soprattutto dopo il ritorno di Berlusconi al governo, nel 2008. Da allora, infatti, il consenso verso la magistratura cresce sensibilmente, fino a sfiorare (nel 2011) il 50% degli elettori nell´insieme. Ma nel centrosinistra il grado di fiducia supera il 70%, mentre, nel centrodestra, scende quasi al 20%.
A questa tendenza concorrono alcune ragioni, in parte collegate.
a) La polemica costante condotta da Berlusconi contro i magistrati, volta a dare significato politico a ogni inchiesta lo riguardi.
b) L´indebolirsi dell´opposizione, in particolare dopo la fine del governo Prodi.
c) Il significato politico assunto da ogni inchiesta che riguardi la vita “privata” del premier.
d) L´importanza crescente attribuita dal Pd e, insieme, dal centrosinistra alla questione “legale” (e al tempo stesso “morale”).
e) L´affermarsi dell´Idv. Cioè, il partito di Antonio Di Pietro. Che personalizza il ruolo della Magistratura – e della legalità – in politica. Ciò, ovviamente, non significa che la Magistratura si faccia “rappresentare” da Di Pietro. Ma è, comunque, vero che il 75% degli elettori dell´Idv sostiene i magistrati. E una quota simile di elettori del Pd esprime lo stesso sentimento. Mentre solo il 22% della base del Pdl dichiara fiducia nei magistrati e nella giustizia.
Così si delinea un´alternativa bipolare fra Berlusconi e i magistrati, trattati come “soggetto politico”. Al Cavaliere non interessa “distinguere”, ma generalizzare. Perché il suo intento è cambiare le regole e il sistema per “salvare” se stesso.
È un corpo a corpo, si diceva all´inizio. Berlusconi lo vorrebbe risolvere, a proprio favore – e in modo definitivo – scindendo il corpo della giustizia. Attraverso la separazione delle carriere e del Csm. Per non separare i “tre corpi del Re”, che egli riassume nella propria persona.

da La Repubblica