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"8 marzo, cresce in Italia la disuguaglianza tra uomo e donna", di Manuela Ghizzoni

Cento anni ci separano dall’incendio (25 marzo 1911) nella camiceria “Triangle Shirtwaist”, a New York, nel quale morirono centoventinove ragazze, perlopiù immigrate. Da quel sacrificio discende la “giornata della donna”, celebrata l’8 marzo. e in questi cento anni certo le conquiste politiche, civili e sociali delle donne sono state tante, eppure… Eppure, in Italia la strada da percorrere è ancora lunga: siamo il fanalino di coda per il divario di genere, in Europa e a livello internazionale, addirittura al 72esimo, posto dopo il Kazakhistan e il Ghana. E le scelte del Governo Berlusconi hanno fatto compiere un ulteriore, gigantesco passo indietro alle politiche di welfare, alla partecipazione femminile al mercato del lavoro, alla dignità della donna: ma chi regredisce, in questo modo, non è solo la condizione femminile, bensì il tasso di civiltà e di democrazia dell’intero Paese”, lo dichiarano i deputati Manuela Ghizzoni, Ivano Miglioli, Giulio Santagata e Ricky Levi.
I dati parlano chiaro. Dai 727 milioni di euro in 3 anni stanziati dal Governo Prodi nel 2007 per la costruzione di nuovi asili nido si è passati all’azzeramento delle risorse per i servizi all’infanzia. Il Fondo per le politiche sociali può contare quest’anno solo su 273 milioni contro i 929 del 2008, per non parlare delle politiche per la famiglia, i cui stanziamenti sono ridotti a 52 milioni contri i 346 di tre anni fa. Zero euro quest’anno per i non autosufficienti che solo l’anno scorso potevano contare su 400 milioni, mentre il Fondo per le politiche giovanili è passato dai 94 milioni del 2008 ai 32 per il 2011.
Mentre il Partito Democratico ha continuato a sostenere gli investimenti in questi settore, in coerenza con quanto attuato nel corso della legislatura precedente, il Governo Berlusconi ha colpito in maniera specifica il sistema di welfare, che sostiene in primo luogo le donne, la loro possibilità di occupazione e di una vita autonoma.
Non è quindi un caso se nel 2009 sono state ben 18.000 le donne che hanno lasciato volontariamente il lavoro nel primo anno di vita del bambino (tasso di abbandono del lavoro del 27,%), per il mancato accoglimento al nido del neonato e la impossibilità a conciliare tempi di cura e tempi di lavoro. Per la verità non è possibile sapere quante delle 18.000 lavoratrici sono state costrette a firmare le dimissioni; è certo che, dopo l’abrogazione voluta dal Governo Berlusconi della legge n.188 del 2007, il fenomeno delle dimissioni in bianco è esploso nuovamente, soprattutto tra le piccole e medie imprese, dove, alle donne, al momento dell’assunzione vengono fatte firmare le dimissioni da utilizzare in caso di eventuale maternità della lavoratrice.
In queste condizioni non deve meravigliare se in Italia il numero delle donne occupate si arresta al 46,4 % contro il 60 %, che si sarebbe dovuto raggiungere ben due anni fa, secondo gli obiettivi stabiliti dall’Unione Europea, e se a parità di mansioni con i colleghi uomini le donne guadagnano di media il 25-30% in meno.
Nel mondo del lavoro è poi la precarietà a colpire le donne. Secondo una recente ricerca, la quota di donne iscritte alla gestione separata dell’Inps si aggira intorno a 480 mila, eppure la quasi totalità, pari a 430 mila, intrattiene rapporti di collaborazione con un solo committente. La loro permanenza nei contratti atipici ha effetti devastanti sui salari e sulle tutele economiche e sociali. Il Partito democratico ha presentato diverse proposte di legge per estendere al personale precario ammortizzatori sociali, diritto alla maternità e congedi parentali. Tutte iniziative bocciate dal Governo che si è limitato soltanto a misure una tantum e per una platea ristretta di beneficiari.
La maternità non deve essere un ostacolo per le donne che lavorano, pertanto occorre intervenire sull’indennità (che ora varia secondo il tipo di contratto) e sul congedo parentale. Il PD chiede che l’indennità di maternità sia uguale per tutte le donne, cioè pari al 100% della retribuzione a carico della fiscalità generale e a 5 mesi di congedo per tutte le lavoratrici, e che almeno per un tempo minimo, il congedo parentale sia obbligatorio per i padri, e che ne sia elevata anche la percentuale di salario percepita. Ma altrettanto necessario è poter usufruire di forme lavorative flessibili. In questo senso l’art. 9 della legge 53/2000 per il sostegno alla maternità e paternità è stata una grande conquista: forme flessibili di orario, banca delle ore, telelavoro, contributi ai datori di lavoro per incentivare la conciliazione tra tempi di lavoro e i tempi di vita. Anche in questo caso, nonostante le forti pressioni del gruppo del PD, il Governo Berlusconi non ha stanziato un euro per sviluppare e diffondere queste importanti misure. Ma non è l’unico caso di colpevole disattenzione nei confronti del lavoro femminile: infatti non sono stati rifinanziati né il Fondo per la finanza d’impresa in favore dell’imprenditoria delle donne, né il credito di imposta per le aziende del Sud per ciascuna lavoratrice assunta con contratto a tempo indeterminato. Nonostante le ipocrite dichiarazioni del ministro Carfagna, quanto di positivo il Governo Prodi aveva varato in favore dell’occupazione femminile è stato totalmente disatteso. Analogo atteggiamento si deve registrare per le politiche di contrasto alla violenza alle donne. Nel mondo 1 donna su 3 è stata, o è destinata ad essere, vittima di violenza fisica, sessuale o psicologica mentre il 70 % delle donne assassinate muore per mano di parenti. L’Italia non fa eccezione. L’approvazione della legge sullo stalking (molestie insistenti), promossa dal PD, rappresenta un indiscutibile passo in avanti, ma del tutto insufficiente perché non si accompagna ad un profondo processo culturale di sanzione sociale della violenza alle donne, di prevenzione del fenomeno e di tutela e assistenza delle vittime. Peraltro, tutti aspetti estranei alla nuova legge sulla violenza sessuale promossa dal ministro Carfagna, che dopo l’approvazione alla Camera è ferma alla commissione Giustizia del Senato da più di 18 mesi. Evidentemente, la tutela della donna è superata, in priorità politica, dalle norme a tutela di una sola persona, il Premier. Inoltre, la riduzione dei trasferimenti di risorse pubbliche dallo Stato sta mettendo a rischio la funzionalità di molti centri antiviolenza, da sempre in prima linea in difesa delle donne che hanno subito violenza, fisica e psicologica.
Il Partito Democratico è fortemente impegnato per recuperare il tempo inutilmente perduto e per impedire ogni altro arretramento nella condizione femminile. Lo farà insieme alla donne che il 13 febbraio, a migliaia, hanno pacificamente invaso le pizze d’Italia per rivendicare la dignità del Paese e reclamare quel protagonismo da troppo tempo a loro sottratto.