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"La laurea non batte la crisi. Fuga di iscritti all’Università", di Flavia Amabile

L’ università pubblica italiana è in calo costante. Quella privata invece aumenta. Del 2%, qualche centinaio di studenti, ma aumenta. Nelle pubbliche invece non c’è nulla da fare. Diminuiscono gli iscritti, e pure i laureati. La situazione è meno drammatica al Nord e nelle facoltà scientifiche ma tutte le facoltà perdono iscrizioni (-5% nell’ultimo anno, -9,2% negli ultimi 4). E’ quello che risulta da due rapporti presentati ieri, realizzati dal Cun (Consiglio universitario nazionale) e dal consorzio Almalaurea. Calano del 5% le immatricolazioni: 3986 nuovi iscritti in meno nel 2010 rispetto al 2009.

Negli ultimi quattro anni il calo è del 9,2% con 26 mila nuovi studenti in meno. Tutto questo nonostante il numero dei diplomati delle scuole superiori sia aumentato dello 0,9% nell’ultimo anno (sono stati 450.150 i diplomati nel 2010, 445.968 nell’ anno 2009). Nel 2010 hanno scelto di andare all’università il 62% dei neodiplomati. Erano il 66% nel 2009, il 65% nel 2008 e il 68% nel 2007. in quattro anni i diplomati che si sono iscritti all’università sono calati del 6%.

Tutte le facoltà sono in calo. Quelle scientifiche rispondono meglio: assorbono il 33,5% delle immatricolazioni del 2010, erano il 32,6% nel 2009. Nelle facoltà umanistiche va il 16,8% delle immatricolazioni, nel 2009 erano il 17,1%. Le sociali erano il 37,8% nel 2010, il 38,4% nel 2009. Stabili le lauree sanitarie anche perché il loro ingresso è programmato. Anche nei politecnici gli immatricolati calano del 4,9% (ma rispetto al 2007 aumentano del 5,8%), assorbono nel 2010 il 5,1% delle immatricolazioni totali (nel 2007 era il 4,4%).

Ma non è solo un problema di crisi economica. «Manca una efficace politica di orientamento nelle scuole superiori che sventi il rischio di avere una massa di giovani di serie B rispetto agli altri Paesi», denuncia il presidente del Cun Andrea Lenzi.

E sicuramente gli investimenti in istruzione non sono di aiuto: fra i 28 paesi dell’Ocse, infatti – sottolinea il presidente di Almalaurea, Andrea Cammelli – il finanziamento italiano, pubblico e privato, in istruzione universitaria è più elevato solo di quello della Repubblica Slovacca e dell’Ungheria.

Eppure la laurea segna ancora la differenza: i laureati presentano un tasso di occupazione di oltre 11 punti percentuali maggiore rispetto ai diplomati (77 contro 66%) e anche la retribuzione è più elevata del 55% rispetto a quella percepita dai diplomati. Non basta però il titolo di studio per trovare un lavoro, la ricerca è comunque lunga e difficile. E quando si trova le donne risultano penalizzate.

Considerando i laureati del 2009 emerge che la disoccupazione aumenta, seppure in misura inferiore all’anno scorso, fra i triennali: dal 15 al 16% (l’anno precedente l’incremento era stato intorno al 4%). La disoccupazione cresce anche fra i laureati specialistici biennali, quelli con un percorso di studi più lungo: dal 16 al 18% (nel 2009 l’aumento era stato del 5%). Ma sale pure pure fra gli specialistici a ciclo unico: dal 14 al 16,5%.

E aumenta anche il «lavoro nero». I laureati che lavorano senza contratto, a un anno dalla fine degli studi raddoppiano tra gli specialistici biennali raggiungendo il 7%. Per i laureati di primo livello i «senza contratto» passano dal 3,8 al 6%; gli specialistici a ciclo unico (ovvero i laureati in medicina, architettura, veterinaria, giurisprudenza), che registrano da sempre un valore più elevato, passano dall’8 a quasi l’11%.

La Stampa 08.03.11

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“Precari con la laurea Le università perdono iscritti e matricole. Cresce il numero di chi non trova lavoro”, di Lorenzo Salvia

Aumentano i disoccupati, i precari, il lavoro nero. E per l’unico segno meno, triste e solitario, prego vedere alla voce stipendio. Il vento della crisi soffia forte anche sui laureati, che pure hanno qualche carta in più da giocare al tavolo del lavoro. La conferma arriva da Alma-Laurea che è andata a vedere cosa è successo ai nostri laureati un anno dopo la discussione della tesi, gli auguri, le speranze e tutto il resto. Forse non è una sorpresa ma non c’è nemmeno un motivo per sorridere. Rispetto a tre anni fa il numero dei disoccupati aumenta per tutte le categorie di dottori sfornate dalle nostre università. Per chi ha scelto una laurea specialistica a ciclo siamo passati dall’ 8,6%al 16,5%. Certo, molto dipende dal tipo di studi: Medicina, grazie al numero chiuso, un posto lo trova quasi a tutti mentre nell’area geo— biologica a cercare lavoro un anno dopo è ancora un giovane su quattro. Ma il problema non è solo lavoro sì, lavoro no. Bisogna vedere che tipo di contratto si ha in tasca. Il tempo indeterminato è il privilegio di una minoranza, la fetta più grande (e in crescita) è quella dei precari che sfiora il 50%. Ma il dato più preoccupante è l’aumento del lavoro nero che supera il 10%e riguarda soprattutto veterinari e architetti. Lo stipendio, invece, diventa sempre più magro. Rispetto al 2007 chi ha sudato cinque anni per arrivare ad una laurea specialistica è sceso da 1.210 a 1.149 euro. Cifre deprimenti, con il solito contorno ancor più deprimente: la busta paga delle donne è più leggera di quella degli uomini (in media del 30%), chi ha un padre dirigente guadagna più di chi ha un padre operaio, ed in fondo è meglio lasciare l’Italia perché chi qui prende 1.300 euro all’estero arriverebbe a 2 mila. Questo non vuol dire che studiare non convenga. «Se si guarda l’intera vita lavorativa — spiega Andrea Cammelli, direttore di Alma-Laurea — l’università è sempre un buon investimento. Rispetto ai diplomati il tasso di occupazione sale dal 66 al 77%, mentre lo stipendio aumenta del 55%» . Eppure all’università i giovani italiani non sembrano credere più. Nell’ultimo anno — secondo i dati del Cun, il Consiglio universitario nazionale — il numero degli immatricolati è sceso del 5%. Un calo che si fa sentire soprattutto al Sud e salva solo gli atenei privati: «Una tendenza pericolosa — dice il presidente del Cun, Andrea Lenzi — perché rischiamo di avere una massa di giovani di serie B che perderà l’inevitabile competizione con i ragazzi degli altri Paesi europei» . Cosa fare per riannodare i fili che legano università e imprese? Il rettore della Sapienza, Luigi Frati, ha la sua ricetta: «Stiamo introducendo lo stage obbligatorio prima della laurea. La nostra idea è far pesare il giudizio del datore di lavoro sul voto finale» .

Il Corriere della Sera 08.03.11