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«Galan qui, Romani là: il rimpasto dell'impunità», di Claudia Fusani

Vertice a Palazzo Grazioli Tutto al fuoco: ministeri, poltrone, giudici, bunga bunga. “Drammatico” testa a testa Santanchè-Brambilla per la carica di portavoce al posto di Bonaiuti
La riforma della giustizia è solo l’ultimo tassello della strategia del premier contro le toghe e contro i processi. La «provocazione finale» ragionano i tecnici di giustizia nel pd che fanno notare come «il gradimento della magistratura sia tornato ai livelli del -95-96 intorno al 50 per cento» e come questo non sia certo un bene agli occhi del Cavaliere. La riforma, anche, come la creazione di un «grande incidente», l’alibi utile al premier per poter poi dire: «Mi condannano anche perchè io ho fatto quello che l’Italia chiede da vent’anni». Illuminante il titolo di Libero ieri a pag.3: «Sciopero ad personam, l’ultimo assalto dei giudici al Cavaliere». Peccato che l’Anm non abbia lo sciopero all’ordine del giorno. «Non lo abbiamo deliberato nè lo stiamo discutendo» precisa Giuseppe Cascini, segretario dell’Anm. «Se poi la riforma cosiddetta epocale dovesse camminare, allora, solo in quel caso, faremo sentire la nostra voce in modo altrettanto epocale». Le toghe, quindi, non abboccano alla provocazione. Saggiamente scansano, per ora, il conflitto.

A poche ore dalla “riforma epocale”, così l’ha definita Berlusconi, le incertezze superano di varie lunghezze i punti fermi. La prima incertezza riguarda il giorno. «Ma siamo sicuri che si farà questo Consiglio dei ministri» si chiedevano ieri intorno all’ora di pranzo gli onorevoli-avvocati del Pdl. La seconda riguarda il testo: ieri sera giravano ancora varie bozze, almeno tre del ministero della Giustizia e un paio di varianti di origine parlamentari. E allora, si chiedeva Donatella Ferranti, capogruppo Pd in Commissione Giustizia, «cosa presenteranno domani in Consiglio dei ministri: una riforma vera e articolata o solo un elenco di titoli di cosa fare con l’indicazione generica di come realizzarle?». Una riforma vera o uno specchietto per le allodole?

La verità è che rimpasto di governo e riforma della giustizia sono le facce diverse di una stessa strategia: dare l’immagine di un governo forte, allargato e che fa. Nulla di meglio, in questo senso, che una riforma costituzionale della giustizia, qualcosa che impiegherà almeno due anni per diventare vera – un tempo biblico per la velocità con cui accadono le cose oggi in politica – e a cui Tremonti non deve dare neppure un euro. Col passare delle ore l’agenda di palazzo Chigi sembra confermare la presenza del premier oggi al Quirinale per il Consiglio supremo di difesa, in serata la riunione finale con lo stato maggiore del Pdl per definire la riforma della giustizia, domani la riunione straordinaria del Consiglio dei ministri. Sempre domani, nel pomeriggio, il Guardasigilli Angelino Alfano dovrebbe salire al Colle per presentare al Presidente Napolitano in cosa consiste «la riforma epocale». Il Colle non ha potere di veto. Ma sarebbe stata cortesia istituzionale informarlo per tempo, e non poche ore prima, sulla natura del testo che sarà adottato dal Consiglio dei ministri.

L’ultima bozza di riforma in circolazione ieri sera, fonte via Arenula, prevede carriera separate per giudici e pm: i primi costituiscono un «ordine autonomo e indipendente da ogni potere e sono soggetti soltanto alla legge»; i secondi sono invece «un ufficio organizzato secondo le norme dell’ordinamento giudiziario che ne assicura l’indipendenza» con l’obbligo di esercitare l’azione penale ma «secondo le modalità stabilite dalle legge». Già questo, i pm ridotti ad «ufficio» e la limitazione dell’azione penale, è di per sè epocale. Figurarsi poi lo sdoppiamento del Csm, quello dei giudici presieduto dal Presidente della Repubblica e quello dei pm dal Pg della Cassazione di nomina, pare, parlamentare. Infine l’Alta Corte di disciplina, quella che dovrà punire i giudici il cui presidente sarà eletto tra i membri nominati dal Parlamento o dal Quirinale. Oltre che una provocazione, la bozza è esattamente la punizione invocata dal Premier.

da l’Unità