ambiente, politica italiana

«Solare, il governo fa marcia indietro», di Gianni Del Vecchio

Contrordine, il decreto sulle energie rinnovabili è da rifare.
Alla fine il governo s’è arreso e ha fatto marcia indietro sul decreto che affossa la green economy. Durante un’audizione al senato, il ministro dello sviluppo economico, Paolo Romani, s’è impegnato a integrare il provvedimento-killer delle rinnovabili con un altro, che dovrebbe dare certezza a banche e imprese che investono nel fotovoltaico.
E ha anche fissato una data precisa: venerdì ci sarà un incontro con le associazioni di settore per ascoltare le critiche sul primo decreto e tutto sarà chiuso al massimo entro due settimane.
Ovviamente non è tutto rose e fiori per chi lavora con i pannelli solari. Romani ha sì detto che le tariffe incentivate verranno confermate ma ha anche aggiunto che ci sarà una diminuzione delle risorse messe a disposizione e che verranno spalmate su più anni.
Arriva così a una svolta una vicenda che dalla settimana scorsa ha gettato nel panico un intero settore produttivo. Un settore che conta 10mila aziende e 120mila posti di lavoro, impattando per l’uno per cento sul pil nazionale. Giovedì scorso, infatti, il governo approva un decreto legislativo che toglie ogni certezza a chi investe nel fotovoltaico, limitando gli incentivi al 31 maggio e rimandando ogni ulteriore decisione su cosa debba accadere dal primo giugno in poi a un ulteriore e indefinito provvedimento. Il decreto, così com’è formulato, blocca subito l’intero settore del fotovoltaico: le banche mettono in stand-by i finanziamenti, le multinazionali elettriche (come Enel Green Power o Edf) congelano le firme sui progetti in corso, i proprietari delle terre su cui costruire gli impianti vedono sfumare la possibilità di affittare i suoli, le società di ingegneria si ritrovano con un pugno di mosche.
Non a caso venerdì le associazioni di settore, dalla Aper alla Gifi, lanciano un appello al presidente Napolitano perché rispedisca al mittente il decreto. Un appello che però cade nel vuoto, visto che il Quirinale firma, gettando nello sconforto gli imprenditori della green economy. Almeno fino all’audizione di Romani di ieri pomeriggio.
Aspettando che le parole del ministro divengano realtà, le associazioni di settore possono intanto tirare un primo sospiro di sollievo, anche se restano sul piede di guerra. L’Aper è infatti partita all’attacco del governo promettendo una mobilitazione permanente.
Ieri sono partite due lettere, inviate al titolare dello Sviluppo economico e al collega dell’Agricoltura Giancarlo Galan, mentre per domani è prevista una manifestazione a Roma in cui le associazioni intendono spiegare ai cittadini gli effetti nefasti del decreto-killer e illustrare le proprie proposte di modifica.
Assieme all’Aper e le altre, in parlamento c’è chi può intestarsi il dietrofront governativo.
Sicuramente l’opposizione, con in testa il Pd, che ha urlato in tutte le sedi la propria contrarietà al primo decreto Romani. Ancora ieri mattina, l’ecodem Ermete Realacci ha chiesto ufficialmente al governo di riparare all’errore e modificare subito l’iniquo provvedimento. Ma anche nella maggioranza di centrodestra c’è chi si è mosso a tutela della green economy. In primis Forza del Sud, che ha addirittura minacciato la crisi di governo.
«Se i ministri competenti non accetteranno di rivedere il provvedimento, – ha fatto sapere Gianfranco Micciché, fondatore del partito – Forza del Sud finalmente farà valere la sua forza e andiamo a votare subito. Il partito nasce per questo, nasce per condizionare le scelte del governo, così come la Lega». Minaccia vera o bluff, sta di fatto che Romani ha abbassato la testa. Almeno a parole.

da www.europaquotidiano.it