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«Il cambiamento partirà dal voto nelle città», intervista a Vasco Errani di Andrea Bonzi

Bologna, Torino, Milano, Napoli: sono sfide che possiamo vincere. E partire da lì per interpretare il progetto alternativo che faccia finalmente cambiare strada al Paese». Vasco Errani, presidente della Regione Emilia-Romagna, reduce dalla due giorni milanese dedicata agli amministratori Pd, fa suo l’invito del segretario Pier Luigi Bersani a sotterrare «picconi e picconcini». E rilancia il ruolo di un Pd che deve mettere da parte «la dialettica spesso ripetuta» fra le varie componenti, se vuole davvero diventare «il partito del nuovo secolo».
Presidente Errani, il sindaco uscente di Torino, Sergio Chiamparino, ha detto che «questo Pd non ha futuro».
«Conosco Sergio, la sua è una battuta. Non serve discutere così, ma guardare avanti. Altrimenti rischiamo sempre di tornare al punto di partenza, invece di rafforzare il nostro ruolo di riferimentoper il Paese».
Ma tra vent’anni, esisterà ancora il Pd?
«Abbiamo detto che vogliamo fare il partito del nuovo secolo, no? Abbiamo bisogno di affermare un nuovo
modello fatto di coesione sociale, lavoro, merito, in grado di superare la frattura fra le generazioni e fra il nord e il sud: questo è quello che sta già facendo il Pd di Bersani».
L’impressione di tornare al punto di partenza, nella discussione interna al partito, ogni tanto affiora. Sulla alleanze, per esempio, nel partito ci sono posizioni diverse.
«Non dobbiamo fare un ragionamento politicista, ma legarlo a un progetto. Il berlusconismo è in una fase di crisi senza ritorno: non vogliamo certo creare un’improbabile fronte che metta insieme tutti coloro che si oppongono al premier, ma dispiegare la nostra strategia riformista, capace di guardare ai problemi del Paese. Non cerchiamo né una spallata, né una scorciatoia, ma chiarezza nella proposta di governo».
Lei vede un Pd aperto anche al Terzo Polo, in particolare ai finiani?
«Quando andremo alle elezioni, vedremo chi ci starà, e chi invece si assumerà la responsabilità di dare
un’altra chance a Berlusconi».
Intanto a maggio si voterà in capoluoghi importanti.
Comesi affrontano queste sfide?
«Cercando di interpretare quanto dicevo: le alleanze sono legate alla necessità di governare bene nelle città. A Bologna partiamo da Virginio Merola e dal Centrosinistra, con un progetto di riformismo “civico” che è quello che io ritengo importante, non solo sotto le Due Torri. Anche a Milano, ad esempio, che può fare il salto di qualità».
Sono sfide che si possono vincere?
«Secondo me, sì. La destra non ha più una prospettiva, e gli elettori se ne stanno rendendo conto: gli studenti, i lavoratori, i pensionati stanno tutti peggio. Le promesse elettorali della destra si sono rivelate vane».
Si dice: caduto Berlusconi, ci resterà il berlusconismo. Quali anticorpi ha il nostro Paese per affrancarsi definitivamente da questo periodo?
«Lavorando su alcune riforme fondamentali a partire da quelle istituzionali. E ripartendo dal tema della partecipazione: penso alle forze dell’economia, del lavoro, della cultura. Vanno ritrovate le ragioni della politica e dell’unità del Paese, per cambiare un’idea di governo fondato sul motto “ciascuno faccia per sé, che al resto pensa il capo”. Servono scelte nette, nuove regole. In Emilia-Romagna abbiamo varato e vareremo
provvedimenti contro le infiltrazioni della criminalità organizzata negli appalti e nel tessuto produttivo;
abbiamo tagliato i costi della politica, abolendo, tra l’altro, i vitalizi dei consiglieri».
A Bologna il principale sfidante del
candidato del Centrosinistra, Virginio Merola, potrebbe essere un esponente leghista. Secondo lei è un’insidia in più?
«La destra, che sotto le Due Torri è in uno stato di grande confusione, sceglierà: certo per la Lega non sarà facile rispondere della contraddizione tra quello che proclama sul federalismo e quello che effettivamente realizza».
Ad esempio?
«In parlamento la Lega Nord sostiene tutte le iniziative di questo governo, dalle leggi per la “cricca” ai problemi personali del premier, e invece penalizza le Regioni e i territori che, a livello locale, dice di voler difendere. Io credo che anche gli elettori del Carroccio se ne stiano accorgendo».

L’Unità 13.03.11