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"Fratelli d´Italia un Paese in cerca dell´età adulta", di Eugenio Scalfari

Anzitutto i personaggi e gli obiettivi che si proponevano. Mettendo in chiaro questi due elementi sapremo che cosa è stato il Risorgimento, se sia un fenomeno storico da tempo concluso e archiviato oppure ancora vitale per i sentimenti che lo suscitarono e che sono tuttora operanti.
Il grosso della popolazione che abitava l´Italia di allora era composto da contadini. Dovunque, dalle Alpi alla grande pianura dove scorrono il Po e i suoi affluenti, alla dorsuta catena degli Appennini fino al tacco delle Puglie e alla punta delle Calabrie, alle isole di Sicilia e Sardegna.

Contadini braccianti che lavoravano novanta giorni l´anno e si sfamavano con un tozzo di pane, cipolle, fagioli, polenta, cetrioli e peperoni. Il resto dell´anno vivevano in tuguri e borghi arrampicati, spesso malarici, dispersi nei latifondi dei padroni.

Parlavano i loro dialetti, lingue incomprensibili al di fuori del loro circondario. «Una d´arme, di lingua, di altare» scrisse Manzoni, ma non era vero né per le armi (salvo il coltello) né per la lingua. Per l´altare sì, era vero, ma ogni paese aveva i suoi santi, le sue liturgie, le sue superstizioni, i suoi dei locali, invidiosi degli altri.
I contadini erano a loro modo un popolo per il fatto stesso di lavorare la terra con la pala, la zappa e il chiodo dell´aratro, ma questo era il solo elemento comune.
L´Italia era per loro parola sconosciuta.
Nelle città era diverso. C´erano tradizioni civili e c´era una storia comune; mille comuni, mille storie. C´erano commerci, contatti con altri paesi e c´era, al di là del dialetto, una seconda lingua, una lingua “franca”, quella di Dante, dei poeti, degli scrittori, dei maestri di scuola, dei giornali. C´era insomma una pubblica opinione.
Il ceto superiore era fatto di nobili famiglie e poi d´una cattolicità colta, una professionalità di medici, avvocati, ingegneri, magistrati, commercianti, imprenditori. Alla base della piramide sociale gli artigiani e i bottegai.
Il popolo era questo e conosceva il senso della parola Italia. Una parte numerosa voleva che a quella parola corrispondesse una realtà, un´altra parte l´avversava.
Sembra che molti garibaldini dei Mille che sbarcarono a Calatafimi avessero le mani callose. Erano artigiani, operai, che forgiavano il ferro, tessevano la lana e la seta, fabbricavano scarpe, mattoni, armi da guerra. E poi c´erano gli studenti e i loro maestri.
Questo popolo voleva anzitutto un´Italia indipendente dagli austriaci e voleva che le monarchie fossero costituzionali.
Molti volevano anche l´unità e alcuni la volevano repubblicana. C´erano anche molte donne nel movimento italiano e non soltanto le madri e le spose.
Dunque fu un fatto di popolo, ma quel popolo era una esigua minoranza rispetto ad una massa estranea e assente che viveva a livello della sopravvivenza e non ad altro pensava fuorché di sopravvivere.
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In ogni città c´erano persone che pensavano, agivano, diffondevano informazioni e idee. Alcuni nomi avevano raggiunto notorietà nazionale.
Se vogliamo concentrare l´attenzione sulle persone di riferimento decisive, i nomi stanno sulle dita delle due mani: Mazzini, Garibaldi, Cattaneo, Settembrini, Manin, Minghetti, Giusti. Cavour fu il protagonista politico e diplomatico, Gioberti un ideologo cattolico di notevole spessore, Giuseppe Verdi una bandiera.
Questi uomini erano molto diversi tra loro salvo due che misero il loro talento al servizio della causa italiana senza pregiudizi o litigiose appartenenze. Verdi, il cui nome e la cui musica divennero gli elementi unificanti dell´intero movimento; il linguaggio di quella musica unì repubblicani, monarchici e federalisti, cattolici e liberali. Garibaldi, la cui spada, la camicia rossa, il “poncho”, il cavallo, l´audacia, l´entusiasmo, dettero un volto al sogno italiano.
Cavour ebbe il talento e l´ardore politico di saper utilizzare tutti e al momento opportuno. Utilizzò anzitutto il suo re accompagnandone e spingendone le decisioni, utilizzò Garibaldi, utilizzò Napoleone III, utilizzò la guerra di Crimea e tentò perfino di utilizzare Mazzini, ma non ci riuscì e fece dell´uomo che per primo aveva risvegliato la coscienza del popolo un nemico da perseguitare.
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È ancora vitale il Risorgimento?
Se non ci fosse stato, se l´Unità non fosse stata realizzata saremmo ancora un´espressione geografica.
D´Azeglio disse che dopo aver fatto l´Italia bisognava fare gli italiani. Ci siamo riusciti?
Gli italiani, come tutti i popoli, hanno vizi e virtù che derivano dalla loro storia. Una grande storia artistica, tra le più grandi del mondo. Ed anche una grande storia politica dalle Repubbliche marinare e dai Comuni alle grandi Signorie. Ma non la storia d´una nazione.
La nazione è nata quando è nato lo Stato, appena 150 anni fa, con un ritardo di almeno due secoli rispetto alla Francia, alla Spagna, all´Inghilterra, all´Austria, alla Polonia, all´Ungheria, alla Svezia, all´Olanda.
Per certi versi siamo ancora all´infanzia, per altri versi siamo già decrepiti e questo significa che non siamo mai stati maturi. Siamo civilmente immaturi, anarcoidi, politicamente cinici, generosi, laboriosi, bugiardi, malleabili, intransigenti. Anime belle e anime morte. Siamo tutti così, chi più chi meno. Adesso è arrivata l´ora di maturare. La scommessa è questa. La memoria del Risorgimento ci può aiutare ma tutto dipende da noi, qui e ora.

La Repubblica 17.03.11