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Nucleare: Pd non partecipa a votazioni in commissione su decreto del governo

“Inaccettabile assenza Prestigiacomo e Romani”. “I deputati democratici in commissione Ambiente e Attività produttive non hanno partecipato alla discussione e alla votazione del parere sul decreto legislativo per la individuazione dei siti dove realizzare le centrali nucleari. Dopo settimane che i ministri competenti, Prestigiacomo e Romani, non si sono fatti vedere sono venute meno le minime condizioni di serietà per confrontarci su un tema così delicato”. Lo dicono i capigruppo Pd in commissione Ambiente, Raffaella Mariani, e Attività produttive, Andrea Lulli.

“Solo ieri sera – proseguono Mariani e Lulli –, precettato all’ultimo momento, è venuto il sottosegretario Saglia. Non ci possono chiedere di partecipare ai lavori in commissione di fronte all’assenza dei ministri competenti, entrambi però presenti oggi alla Camera, alla fretta per l’avvicinarsi della scadenza della delega a causa dei ritardi del governo e del pressapochismo della maggioranza. Il dibattito su un tema del genere è delicato e per questo i ministri dovrebbero essere presenti e confrontarsi con il Parlamento. È grave che il governo non dica una parola chiara e univoca sul futuro del piano nucleare. In questi giorni molti governatori della maggioranza e il sindaco di Roma, hanno espresso perplessità, se non vera e propria contrarietà, alla realizzazione di centrali sul territorio delle rispettive amministrazioni locali. Il decreto che il governo ha presentato, prevede l’obbligatorietà del parere delle regioni sul cui territorio verranno costruite le centrali ma questo parere non è vincolante. La recente sentenza della Corte costituzionale chiede, invece, che il consenso delle realtà locali sia determinante. Siamo fortemente contrari alla scelta nucleare fatta dal governo Berlusconi”.

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“All’Italia l’atomo non piace come prima”, di Gianni Del Vecchio

Sul tema, goffo dietrofront del governo Berlusconi
Fino a martedì pomeriggio la linea del governo italiano era intransigente, facilmente riassumibile in poche battute: l’allarme rosso in Giappone non ci condizionerà, il ritorno al nucleare è stato deciso e andremo avanti, senza se e senza ma. In serata però, ecco che qualche prima crepa è affiorata nel muro nuclearista: il ministro della giustizia, Angelino Alfano, ammette davanti alle telecamere di Ballarò che in fin dei conti non sarebbe un peccato ripensare alla decisione, visti i problemi di sicurezza delle centrali di Fukushima.
Ma è solo da ieri che le crepe hanno cominciato ad allargarsi, prefigurando l’inizio di una ritirata strategica dall’atomo.
Il sottosegretario all’Energia, Stefano Saglia, si è mostrato preoccupato per quello che sta succedendo in Giappone e ha assicurato: la localizzazione dei siti nucleari non si farà quest’anno perché mancano ancora 23 passaggi, fra norme e procedimenti amministrativi.
Ma soprattutto, ha sottolineato il vice di Romani, non verranno costruiti reattori nel territorio di quelle regioni che non sono d’accordo. «Non abbiamo intenzione di ricorrere all’esercito», ha concluso Saglia.
Tuttavia subordinare il nucleare al consenso delle popolazioni locali in Italia equivale a dire addio al programma. Infatti, nessuno dei governatori è disponibile ad accogliere un impianto nei suoi confini. Sul decreto che fissa i criteri per la localizzazioni delle centrali, adesso in parlamento, hanno espresso parere negativo tutte le regioni, ad eccezione di quattro di centrodestra, e cioè Lombardia, Campania, Veneto e Piemonte. Se però si vanno a interpellare i singoli governatori filo-atomo, basta poco per accorgersi che è più un consenso teorico che pratico. Il lombardo Roberto Formigoni esclude che un impianto possa sorgere dalle sue parti perché la regione è già autosufficiente da un punto di vista energetico.
Il campano Stefano Caldoro si dice genericamente favorevole, ma guarda caso la Campania è terra sismica quindi «le condizioni morfologiche non lo consentono ». Il piemontese Roberto Cota proprio ieri fa sapere che la regione non è indicata tra i possibili siti. E il collega leghista Luca Zaia non è da meno, assicurando che fin quando ci sarà lui al comando, in Veneto non entrerà neanche un grammo di uranio nella regione.
Non è un caso che gli ultimi due presidenti siano leghisti.
Il Carroccio infatti non ci sta più ad andare a rimorchio degli alleati del Pdl su un tema che sta diventando pericolosamente impopolare. Il capogruppo alla camera, Marco Reguzzoni, è stato chiaro: «È giusto e opportuno discutere di tutto, anche del nucleare. È importante fare un dibattito sereno.
Le scelte spettano ai territori e devono essere consapevoli ». Parole che seguono di poco quelle di Roberto Castelli, viceministro ai Trasporti, che all’atomo italiano non ci crede affatto: «È una discussione puramente accademica. In Italia non riusciamo a fare neanche un innocuo foro nella montagna del Frejus, figuriamoci se riusciamo a fare centrali».
Sta di fatto, che ormai gli ultrà del nucleare, sia nella maggioranza che nel governo, si sentono sempre più isolati.
A tenere duro rimangono essenzialmente i due ministri competenti: quello dello sviluppo economico Romani («Io sono un convinto nuclearista e non ci sono dubbi né perplessità, ma è da verificare se le centrali europee siano in grado di assicurare la sicurezza») e quello dell’ambiente Prestigiacomo («È sbagliato prendere decisioni sull’onda emotiva»).
Il loro grado di resistenza tuttavia non è alto. Tutto dipende da quello che succede a Fukushima.

da Europa Quotidiano 17.03.11