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"Sesso e soldi, ecco le nuove carte del Rubygate", di Giuseppe D'Avanzo

Il comodo con Berlusconi è che non ti delude mai. Per giorni e settimane ha ripetuto, con il petto gonfio, che non vedeva l´ora che il processo – quel processo che lo umilia e l´angoscia, il «processo Ruby» – avesse inizio.
Che avesse inizio per dimostrare dinanzi al Paese, al popolo che lo ha voluto a capo del governo, al mondo che sempre lo ammira, la sua innocenza, l´inconsistenza di «accuse allucinanti», la barbarie di un´eversiva inquisizione togata. «Andrò a tutte le udienze». Gliela avrebbe fatta vedere lui, sempre presente in aula, vigile e parlante, a quella «certa magistratura politicizzata», l´avrebbe screditata in diretta tv. Gli ingenui credono alle sue parole. Pensano che ancora una volta il Cavaliere ce la farà – ed è tutto un vivamaria – a venir fuori dall´angolo in cui lo hanno cacciato caotiche abitudini. I creduloni si convincono che davvero il capo del governo voglia difendersi nel processo e non dal processo, come ha sempre fatto affatturandosi cavilli, pretesti, legittimi impedimenti, legge ad personam, immunità.
La faccia feroce del Cavaliere non dura molto. Qualche ora, diciamo. Il tempo di dare uno sguardo all´esito delle indagini supplementari consegnate dal pubblico ministero di Milano ai suoi avvocati e il collegio di difesa chiede subito e in gran fretta il rinvio della prima udienza fissata per il 6 aprile. In realtà, un´udienza tecnica: un presidente di sezione assegna a uno dei suoi tre collegi il processo, ma tutto torna buono per prendere tempo e cercare altre vie – politiche, parlamentari, legislative – per venir fuori da guai che gli hanno cancellato dal viso ogni sorriso e ribalderia. Ci si deve chiedere allora che cosa c´è in questi atti istruttori integrativi che lo hanno costretto a gettarsi a corpo morto in pubblico, accettando addirittura qualche domanda, incontrando nientemeno quel che egli considera un ostinatissimo “nemico” come Repubblica che ha documentato le sue ragioni in un colloquio: «per parlare con la mano sul cuore e spiegare come stanno davvero le cose».
Il Gran Venditore sa come vanno queste faccende. Non deve imparare nulla. Le mosse gli nascono d´istinto, come per un riflesso immediato. Meglio anticipare i passi dell´avversario, organizzare una «narrazione» diversa e contraria per neutralizzare il racconto e i documenti che teme. Al peggio, ne nascerà una confusione che renderà indifferente l´opinione pubblica. Ecco allora sciorinare l´intera gamma della fenomenologia della menzogna. Nasconde il vero dissimulandolo («Io in questura ho chiesto solo informazioni di Ruby, nessuna pressione sui funzionari»). Modifica la natura del vero («Hanno messo in piazza 33 ragazze che passeranno il resto della loro vita con il marchio della prostituta»). Deforma la realtà rimpicciolendone il formato (altro che «bunga bunga», «cene spensierate, eleganti. Le ragazze facevano quattro salti in discoteca, Da sole, perché a me non è mai piaciuto ballare. Niente di più»). Dice l´assoluto contrario del vero («Non ho mai pagato una prostituta e poi può mai essere possibile che uno paghi con dei bonifici bancari una prestazione sessuale?»). Infine, non maschera soltanto la realtà, la inventa di sana pianta («Ho sempre avuto vicino a me la mia fidanzatina che per fortuna sono riuscito a tenere fuori da questo fango. Se avessi fatto tutto quello che dicono, mi avrebbe cavato gli occhi. E assicuro che ha anche le unghie lunghe).
Ora per comprendere l´ansia che agita il presidente del Consiglio bisogna scorrere, anche rapidamente, gli atti d´indagine integrativi, gli esiti dell´istruttoria – ora conclusa – contro Lele Mora, Emilio Fede, Nicole Minetti. Si scoveranno immagini, parole, ricordi, resoconti che sbriciolano il racconto del Cavaliere svelandone menzogne che non potrebbero reggere con decenza a una verifica processuale. Si possono vedere fotografie di ragazze mascherate da poliziotte seminude con le manette bene in vista. Si apprenderà delle istruzioni cui bisognava attenersi, ai travestimenti necessari (in un caso, «come un giocatore del Milan»), a quel che bisogna fare, come e con chi e in quale occasione. Naturalmente questi convegni possono essere «eleganti», come dice il Cavaliere, ma ammesso che ci sia stata anche grazia e distinzione, non si elimina il nocciolo della questione: decine di ragazze venivano retribuite per fare sesso con il Sultano e tra di loro una minorenne. Le ragazze ne parlano tra di loro, discutono di quanto «hanno preso», si invidiano l´attenzione del Cavaliere perché maggiore interesse significa maggiori ricavi. Per dire, si legge in un sms: «Sappiamo che uno dei venti uomini più potenti del mondo ti muore dietro e ti ha pensato tutta la sera…». Alcuni documenti liquidano l´argomento principe del capo del governo. Questo: «Può mai essere possibile che uno paghi con dei bonifici bancari una prestazione sessuale?».
È utile dare uno sguardo alle carte degli accertamenti bancari sul conto corrente di Berlusconi, il numero 1.29 presso la banca del Monte dei Paschi di Siena. Sappiamo, dalle testimonianze raccolte dal pubblico ministero, che le ragazze ricevevano i loro emolumenti in moneta sonante, in buste di 500, 1000, 2000, 5000 euro in fogli da 500. Sappiamo che da quel conto si muovono bonifici di dieci, ventimila euro a favore delle «ragazze». Dice a Repubblica Berlusconi: «Io sono come una Caritas quotidiana. Pago interventi chirurgici, il dentista, le tasse universitarie a tutti coloro che ne hanno bisogno. Alcuni di questi bonifici servivano a pagare il mutuo ai genitori di una ragazza. Dei signori in difficoltà». Tuttavia, se si guarda a quanto denaro contante ogni mese muove Silvio Berlusconi si rimane stupiti. Non usa troppi bonifici, il Cavaliere. Forse non se ne fida. Nemmeno negli assegni o nelle carte di credito ha fiducia. Il Cavaliere firma al suo ragioniere, Giuseppe Spinelli, un assegno e Spinelli nello stesso giorno lo negozia con un´operazione «cambio assegni». Le cifre sono importanti e, se nel 2009 hanno raggiunto i sette milioni 675 mila euro, nel 2010 hanno superato i 12 milioni e 880 mila euro. Le tranche mensili sono molto variabili. Oltre il milione in gennaio, aprile, maggio. Vicino al milione in luglio, settembre e ottobre. Meno di ottocentomila euro in febbraio, marzo e giugno. Un modesto 344 mila euro in agosto e un´impennata a fine anno: un milione e 496 mila euro a novembre e addirittura 2 milioni e 555 mila in dicembre. Assegni per 250 mila, 300 mila euro. Per sedici volte incassato il lunedì; in cinque occasioni il martedì; in quattordici e undici occasioni il mercoledì e giovedì e per tredici volte il venerdì, dunque alla vigilia del week end abitualmente destinato ai bunga bunga. Questo denaro contante palesemente non è tutto destinato alle feste «eleganti» per la retribuzione delle ragazze. È legittima una domanda (forse): ma perché il capo del governo ha bisogno di tanto contante? A chi lo consegna e per quali ragioni? Che cosa deve comprare o finanziare con il cash che non possa essere sostenuto con un pagamento che lascia una traccia (assegno, bonifico)? Ognuno avrà la sua congettura (forse ne avranno anche i pubblici ministeri), soprattutto se si scrutinano gli assegni e le cifre trasformate in contante nel dicembre del 2010, in quel mese orribile che ha visto Berlusconi, a un passo dalla bocciatura parlamentare, combattere voto su voto per sopravvivere. Vale la pena darne conto. In dicembre ci sono undici «cambi assegni» in quattordici giorni, a cavallo del 14 dicembre quando la Camera vota la fiducia al governo. Due soli negoziazioni sono trascurabili , il 21 dicembre per 40 mila euro e il giorno successivo per 14.687 euro. Al contrario, i restanti nove «cambi assegni» sono rilevanti. Ecco la sequenza. 9 dicembre, 270 mila. 10 dicembre, 274 mila. 13 dicembre, 250 mila. 14 dicembre, 250 mila. 15 dicembre, 250 mila. 16 dicembre, 250 mila. 21 dicembre, 350 mila. 22 dicembre, 350 mila. 23 dicembre, 257 mila. A chi sono finiti questi soldi? È anche di questo che ha paura il presidente del Consiglio? Si raccolgono anche qui le ragioni che gli impediscono di affrontare il processo?
Nel “carnevale permanente” dell´Italia di oggi – un mondo rovesciato dove gli ipocriti recitano da iconoclasti, la menzogna diventa verità e la realtà s´adultera in quinta di cartapesta – si agita un bizzarro argomento: chi s´azzarda a raccontare le patologiche abitudini del capo del governo è soltanto un voyeur anche quando quelle disordinate pratiche si mostrano come un reato. Anzi come due reati. Il premier si riempie la casa di prostitute. Nulla quaestio, fatti suoi, se non lo rendessero pericolosamente ricattabile come suggeriscono le parole rassicuranti dedicate nel colloquio con Repubblica alle 32 ragazze. Tra le prostitute però dal febbraio al maggio del 2010, per tredici volte, c´è anche una minorenne e non è più un fatto suo, privato, ma un reato (sfruttamento della prostituzione minorile). Per nasconderlo, una notte di maggio il presidente del Consiglio è costretto a giocare tutta la sua influenza nella questura di Milano per liberare la ragazza minorenne accusata di furto e troppo linguacciuta. È il secondo reato (concussione). La storia è tutta qui, se di guarda all´affare penale. Ma c´è anche una questione politica che accompagna l´affare penale e impone al capo del governo di rendere disponibile la verità perché «chi mente – non importa su che cosa – è un pericolo per la libertà e la democrazia» (Gustavo Zagrebelsky, Quando il potere teme la verità, 17 luglio 2009). C´è stato un tempo che anche Berlusconi fingeva di essere d´accordo. Era il 2 marzo 1994 e il Sultano così ammoniva il popolo: «La gente deve fidarsi solo di chi dice la verità».

La Repubblica 17.03.11