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"Gelmini, ministra impreparata", di Enzo Costa

La ministra Gelmini, da Fazio, si applica ma non è preparatissima: dice che nella sparata contro la scuola pubblica lui è stato frainteso (e fin qui, la lezioncina l’ha imparata), però Fazio la interroga su “inculcare”: non è verbo sbagliato, grondante imposizione e non educazione, sia se riferito ai valori (negativi, per il Premier) trasmessi dai professori, sia se relativo a quelli (positivi, sempre per il Premier) proposti dalla famiglia? Ovvero: un capo del governo che, nel giudicare malamente la scuola pubblica, si esprime malamente, non dimostra – al di là del contenuto – di non essere all’altezza di giudicare la scuola pubblica? La ministra non risponde: fa finta di non capire, o – peggio – non capisce? Sarò fazioso: propendo per la seconda ipotesi. Però ha imparato altro: dire “piuttosto che” in senso disgiuntivo, per intendere “oppure”, “o anche”, è trendy, e perciò lo dice. Ma non sa che dirlo in quel senso è sbagliato. E’ sbagliato, ma lo dicono in tv, lo dicono molti anche di sinistra (figli di quelli che dicevano “nella misura in cui”?), e pure i radical chic: se la ministra scopre che parla come loro, avrà uno choc. E poi ha imparato a memoria, è il suo “argomento a piacere” preferito, quella del ‘68 origine di tutti i mali scolastici, fonte di qualsiasi disgrazia (dis)educativa, primo motore immobile di ogni sciagura (d)istruttiva. Qui va in automatico: lo dice e lo ripete. E quando Fazio – a proposito dei tagli agli insegnanti di sostegno – osserva che al ‘68 (controverso come tutti i movimenti complessi, ambiziosi, travolgenti e stravolgenti) si deve anche il fatto che oggi non sia più concepibile l’idea di classi o scuole differenziate per i disabili, lei non capisce. Non capisce o non sa cosa fosse la scuola italiana prima del ’68, quale attrezzatissima palestra di discriminazioni culturali, quale laboratorio scientifico di emarginazioni sociali, quale produttiva fabbrica di epurazioni di menti e corpi imperfetti. Non sa o non capisce che, più odiosi e spaventosi degli eccessi dell’egualitarismo, ci sono stati gli eccessi del “differentismo”, e che antiche forme di privilegi permangono, anche come progetto nella mente di alcuni. Non sa o non ricorda che Berlusconi, nell’ultimo faccia a faccia con Prodi delle elezioni 2006, gli imputò di volere una società in cui i “figli degli operai” siano uguali ai “figli dei liberi professionisti”. Un Premier che, a parte la forma di cui scrivevo all’inizio, si esprime con concetti simili, è – fra l’altro – la prova vivente del disastro della scuola pre-’68.

L’Unità 18.03.11

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