ambiente, economia

"La pausa obbligata sul dilemma atomico", di Giovanni Valentini

Nel tiro incrociato di cifre, dati, informazioni tecniche o scientifiche, tesi contrapposte e suggestioni emotive sulla questione nucleare, alimentato in questi giorni dagli opposti integralismi che la catastrofe giapponese ha riacceso, c´è una verità fondamentale che la cortina fumogena della guerra mediatica e psicologica tende a occultare o rimuovere. E cioè che il disastro dello tsunami, combinato con l´incubo atomico, preceduto dalla crisi finanziaria globale e coniugato con il caos libico, impone oggi a tutti – e non solo al popolo del Sol Levante – la necessità di modificare uno «stile di vita» che appartiene alla società dell´opulenza e dello spreco.
Non certo, beninteso, per rinnegare lo sviluppo e la modernità. Ma piuttosto per adottare quell´«etica dei consumi» che Zygmunt Bauman, uno dei più noti e influenti pensatori al mondo, invoca contro gli effetti della bomba demografica: a cominciare, quindi, proprio dai consumi energetici che condizionano il sistema economico, quello industriale e purtroppo anche quello ecologico.
Il fatto è che noi occidentali, cittadini dei Paesi più sviluppati e progrediti, generalmente utilizziamo e sprechiamo troppa energia, ben oltre il fabbisogno effettivo. E perciò, piaccia o meno, dobbiamo imparare innanzitutto a ridurne o contenerne il consumo, come del resto anche per l´acqua.
Si può discutere quanto si vuole di nucleare, petrolio, gas, carbone o rinnovabili, ma la prima fonte immediatamente disponibile è il risparmio energetico: inteso non solo come minor consumo (troppe luci inutili e troppi apparecchi elettrici accesi; troppo trasporto privato rispetto a quello pubblico; troppo riscaldamento e troppa aria condizionata perfino nelle palestre, dove normalmente si va per sudare); quanto il risparmio come efficienza, ricerca e innovazione tecnologica. Bisogna uscire, insomma, dall´era della «società energivora» che distrugge l´ambiente, minaccia la salute collettiva e rischia di provocare la fine del pianeta, per progredire verso una civiltà eticamente più responsabile ed equa.
Fa specie perciò che in un recente editoriale di Angelo Panebianco sul Corriere della Sera, intitolato «La paura e la ragione», nel mix delle fonti utilizzabili non vengano citate neppure una volta quelle rinnovabili. Evidentemente, la paura non offusca la ragione solo ai nemici dell´atomo. A volte, il cinismo sviluppista riesce a superare anche il fondamentalismo antinucleare, in una corsa irrazionale verso l´autodistruzione che sembra evocare la profezia dell´Apocalisse.
Ben venga, allora, la «pausa di riflessione» sul dilemma atomico annunciata dal ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani. E auspicata ancor più autorevolmente dal presidente dell´Agenzia per la sicurezza nucleare, l´oncologo Umberto Veronesi. A patto, però, che da parte del governo questa non sia una mossa tattica, una scelta diversiva, un espediente mediatico per far calmare le acque delle polemiche o peggio – come traspare dalle incaute confidenze attribuite all´evanescente ministro dell´Ambiente, Stefania Prestigiacomo – per non rischiare di «perdere le elezioni».
Per quanto tardivo, opportunistico e dunque sospetto, il ripensamento della maggioranza è comunque apprezzabile. La questione nucleare, riproposta così drammaticamente dalla catastrofe giapponese, è troppo seria e vitale per eludere l´obbligo morale del dubbio o dell´incertezza. Non si tratta qui di esorcizzare un tabù, ma piuttosto di non immolare il futuro dell´umanità al totem di un malinteso sviluppo a ogni costo.

La Repubblica 19.03.11

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“Non cambio idea”, di UMBERTO VERONESI

La politica per sua natura può avere ripensamenti, la scienza deve invece pensare più a fondo. Così ho molto apprezzato l´articolo di Francesco Merlo di ieri, perché mi invita a precisare la mia posizione sul nucleare.
E lo faccio pur rendendomi conto che il sovrapporsi delle dichiarazioni, l´inevitabile intreccio fra politica, cronaca e scienza di fronte a un disastro come quello giapponese, e lo sgomento generale che ci attanaglia, rendono molto difficile esprimere posizioni chiare. Il punto è molto semplice: io sono uno scienziato e il presidente dell´Agenzia per la sicurezza del nucleare. Non mi occupo di referendum, non leggo i sondaggi di nessun tipo e quindi neppure quelli che Merlo definisce “di cortile”. Dunque ciò che appare come un ripensamento è invece l´esito di una riflessione. Studiando il più lucidamente possibile la dinamica di Fukushima ho pensato che ci troviamo di fronte al primo grave incidente di progettazione nucleare della storia, quindi di strategia. Gli altri due incidenti significativi, Chernobyl e Three Mile Island, sono stati infatti causati da un errore umano. Per Chernobyl più che di errore dovremmo parlare di follia. Ma anche negli Stati Uniti fu un errore dei tecnici a causare la fusione del nocciolo, che fortunatamente non causò nessuna vittima.
Va detto subito che sull´errore umano si può intervenire migliorando la preparazione, l´addestramento e le condizioni di lavoro. Un po´ come si fa con i piloti d´aereo. Invece a Fukushima non c´è stato nessun errore riconducibile al personale addetto, ma un errore di progettazione: le centrali non erano programmate per resistere a uno tsunami della portata di quello scatenatosi la scorsa settimana. Le fonti tecniche dicono che la progettazione teneva conto di tsunami di intensità minore. Ma questa è comunque una mancanza perché nel costruire una centrale nucleare sul Pacifico non si può non tenere conto della massima potenza delle forze del mare e della Terra. Non è una giustificazione il fatto che erano centrali attivate quarant´anni fa, e che erano quindi alla fine del loro ciclo vitale.
La lezione che credo dobbiamo trarre da Fukushima è che non possiamo non rivedere la strategia nella progettazione degli impianti nucleari. Il che non vuol dire ripensare o tornare sui propri passi, ma capire il problema alla radice, avere il coraggio di riconoscerlo e sforzarci di superarlo. Se è vero – ed è scientificamente vero- che senza l´energia nucleare il nostro pianeta, con tutti i suoi abitanti, non sopravviverà, non dobbiamo fare marcia indietro, ma andare avanti, ancora più in là, con la conoscenza e il pensiero scientifico. Dobbiamo pensare al futuro tenendo conto che petrolio, carbone e gas hanno i decenni contati e che sono nelle mani di pochissimi Paesi,che possono fare delle fonti di energia strumento di ricatto economico e politico; che stiamo avvicinandoci ai 7 miliardi di persone sulla Terra, con consumi sempre maggiori di energia; che le altre fonti di energia, le rinnovabili, hanno grandi potenzialità, ma per alcune non abbiamo le tecnologie che rendano accessibili i costi di trasformazione e globalmente non sono sfruttabili in modo tale da assicurare la copertura del fabbisogno. La scelta dell´energia nucleare è dunque inevitabile e il nostro compito è ora quello di garantirne al massimo la sicurezza per l´uomo e l´ambiente. Abbiamo per anni sostenuto che gli impianti di ultima generazione sono sicuri e con un rischio di incidente vicino allo zero. Oggi il Giappone ci impone di riconsiderare criticamente questa convinzione. Molti si domandano se il modello delle centrali nucleari di grossa taglia, come sono oggi tutte quelle del mondo, sia quello da continuare a realizzare; oppure se non è possibile ed opportuno considerare l´adozione di reattori più piccoli e modulari : una rete di minireattori. Alcuni di questi modelli progettuali sono già in produzione e dovremo studiarne a fondo le caratteristiche e la fattibilità.
La tragedia giapponese ci impone inoltre di pensare fuori dalle logiche nazionali. E´ evidente ora che i piani energetici devono essere discussi a livello internazionale. In Italia ci troviamo nella circostanza favorevole di partire da zero e quindi di poter scegliere, senza fretta, il modello strategico migliore.

La Repubblica 19.03.11