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"Cultura e spettacolo al collasso, stop ai tagli" Mobilitazione in teatri, cinema e musei, di Alessia Manfredi

Contro il crollo della spesa statale per il settore, iniziativa nazionale il 26, 27 e 28 marzo. Si conclude al regio di Torino, con un incontro pubblico, fra denunce e proposte. Tre giornate per dire no ai tagli per la cultura e lo spettacolo. Tre appuntamenti per informare e sensibilizzare cittadini, opinione pubblica e rappresentanti politici ed istituzionali, perché il settore, dal teatro alla danza, dalla musica al cinema, è in ginocchio. E il crollo di spese statali e sovvenzioni per l’anno in corso rischia di compromettere la sopravvivenza di moltissime attività, e di cancellare qualcosa come 220mila posti di lavoro, solo nello spettacolo. A rischio sono realtà di primo piano, note a tutti, pezzi della nostra storia: come Cinecittà, che rischia di chiudere i battenti; il teatro La Fenice di Venezia, che in questa situazione può garantire stipendi solo fino a luglio, o il festival delle letterature di Mantova, appuntamento di respiro internazionale, che quest’anno vedrà i finanziamenti del comune ridotti della metà.

Tre giorni per la cultura. Alzano la voce Federculture, Agis, Anci, Upi, la conferenza delle regioni e Fai e presentano la loro mobilitazione per il 26, 27 e 28 marzo: tre giornate nazionali dedicate alla cultura e allo spettacolo, presentate oggi a Roma. Date in cui, su tutto il territorio nazionale, cinema, teatri, musei, biblioteche e luoghi della cultura diventeranno centri di mobilitazione, in cui distribuire volantini e manifesti informativi, per spiegare i motivi della iniziativa. Nelle sale cinematografiche verrà proiettato lo spot “Divieto di cultura”, realizzato apposta. Si conclude il 28 marzo al Teatro
Regio di Torino con un incontro pubblico di denuncia e di proposta. Per far ritirare il fiato ad un settore che è sinonimo di prestigio, e, più prosaicamente, produce ogni anno valore per 40 miliardi di euro, incidendo per il 2,6 per cento sul Pil nazionale.

Molte voci si sono levate con forza negli ultimi mesi per chiedere un ripensamento del governo sulla riduzione dei finanziamenti, denunciando una situazione ormai ai limiti, che ha portato anche a dimissioni eccellenti come quelle di Andrea Carandini 1dal Consiglio del Mibac. Il lancio di volantini 2 al Teatro dell’Opera di Roma, in occasione del Nabucco per le celebrazioni del 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia, ha riacceso i riflettori sul problema. Una marcia indietro è stata promessa a parole dal ministro Tremonti 3al maestro Riccardo Muti, per ristabilire il Fus, Fondo unico per lo spettacolo. Ma lo stato di crisi è senza precedenti nella storia repubblicana, denunciano gli addetti ai lavori. E non si paventa più una recessione, ma la vera e propria chiusura delle aziende e della produzione del settore, denuncia Roberto Grossi, presidente di Federculture: “Non bastano più le rassicurazioni verbali, in passato già disattese. Attendiamo atti concreti”, dice Grossi.

Otto richieste. Sono otto le richieste rivolte al governo e al Parlamento dai promotori dell’iniziativa: Affermare la centralità della cultura nelle politiche economiche e sociali nazionali come strumento reale e documentato di crescita civile ed economica; assicurare livelli certi e adeguati di finanziamento del settore che ne permettano l’esistenza e lo sviluppo, iniziando dal reintegro del Fondo Unico dello Spettacolo; introdurre forme di incentivazioni fiscali per le donazioni a favore della cultura; garantire il tax-credit e il tax-shelter al cinema, attraverso risorse pubbliche o coinvolgendo tutte le realtà che utilizzano il prodotto film e non gravando sugli spettatori e/o sulle sole imprese dell’esercizio cinematografico; sostenere l’occupazione e lo sviluppo delle professionalità del settore, anche attraverso opportuni interventi formativi; investire su una efficace valorizzazione e tutela del nostro patrimonio culturale ed ambientale, coinvolgendo anche gli enti locali; promuovere i processi di modernizzazione nella gestione e nella produzione, anche sostenendo la creatività giovanile; attuare, infine, politiche culturali di livello europeo.

I tagli per il 2011. Anche il presidente della Commissione Ue, Josè Manuel Barroso, ha ricordato il valore centrale della cultura, della scienza e dell’istruzione, definendo poco intelligenti i tagli 4in questi campi. E il dossier dei tagli per il 2011 presentato dai promotori della mobilitazione, fotografa una realtà a dir poco preoccupante: negli ultimi cinque anni l’intervento dello Stato nella cultura è sceso di oltre il 30 per cento. La dotazione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali solo nell’ultimo anno, tra il 2010 e il 2011, è diminuita del 14,6 per cento, passando da 1.710 a 1.459 milioni di euro. A ciò va aggiunto il crollo del finanziamento statale dello spettacolo: il Fondo Unico per lo Spettacolo raggiunge nel 2011 il suo minimo storico: lo stanziamento sarà di 231 milioni di euro, quasi la metà del finanziamento del 2010 (-43,52 per cento). Non è difficile capire che le ripercussioni sui diversi settori dello spettacolo saranno pesantissime, dalle fondazioni liriche al cinema, alle attività circensi, alla danza.

Bisogna poi considerare che anche la riduzione dei trasferimenti statali per il 2011 alle Regioni – pari complessivamente a 4 miliardi – e a Province e Comuni – rispettivamente pari a 300 milioni e 1,5 miliardi – avrà inevitabilmente ricadute anche sulla spesa in cultura delle amministrazioni locali. Al taglio dei trasferimenti a Regioni ed Enti locali si aggiungono, poi, norme che impediscono a questi enti di spendere risorse dei loro bilanci, come ad esempio la limitazione al 20 per cento di quanto speso nel 2009 per mostre e promozione.

Nel 2009 lo spettacolo, nel complesso, ha generato una spesa del pubblico di quasi 3,5 miliardi di euro. Impiega 250mila lavoratori fissi, e con gli stagionali si arriva a 500mila. Gli scenari che si aprono, per la cultura italiana, rischiano di compromettere seriamente la sopravvivenza di moltissime attività. Sul fronte dello spettacolo, dicono gli organizzatori della mobilitazione, il taglio del 40 per cento delle risorse statali si tradurrà in tagli della stessa entità per la produzione e occupazione. Nel settore si perderanno 220mila posti di lavoro. Qualche esempio concreto: la danza riceverà la metà dei fondi rispetto al 2009 e centinaia, fra danzatori e maestranze, pederanno il posto. La Fondazione Santa Cecilia a Roma, per la riduzione del contributo del Fus, dovrà far calare il sipario su produzioni e terminare attività come la bibliomedioteca o la Juniororchestra. La biblioteca di storia patria a Napoli ha già chiuso, quella nazionale di Firenze resta aperta solo mezza giornata.

Una situazione paradossale: la cultura è l’attività che “più di ogni altra rende riconoscibile e qualifica nel mondo il nostro Paese” ricorda Andrea Ranieri, responsabile cultura dell’Anci e assessore alla cultura del comune di Genova. “Ma il nostro governo sembra non saperlo”, dice. Oltre ai tagli, preoccupa anche il fatto che è tutto fermo anche sul fronte delle riforme, sottolinea il vicepresidente dell’Agis, Maurizio Roi. “La legge quadro è bloccata – ha detto al Giornale dello Spettacolo -, non ci sono state risposte alla richiesta di modifica dei regolamenti, non è stata concessa l’apertura del tavolo sulle misure di protezione sociale dei lavoratori, tutte le promesse sono state puntualmente disattese”. Uno stallo in cuilavorare diventa impossibile: “Così si distrugge ogni possibilità che amministratori seri e lavoratori di Teatri seri possano esercitare la propria responsabilità”, sostiene Sergio Escobar, direttore del Piccolo di Milano. Anche la Biennale di Milano è in sofferenza: senza una cifra minima non si può progettare la prossima mostra, avverte il presidente Paolo Baratta.

Per questo parte questo weekend la mobilitazione, ma già da domani ci saranno iniziative: a Roma, alle 14:30 in piazza Montecitorio ci sarà una manifestazione in difesa della danza, indetta da Federdanza Agis. Giovedì alle 11:30 è in programma un sit-in di protesta al ministero dell’economia. Venerdì 25 è sciopero generale della produzione culturale e dello spettacolo, con la serrata dei teatri. Da sabato, poi, si parte con la tre giorni nazionale, in tutta Italia.

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