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«Mi dispiace, chi manifesta sbaglia», intervista di Mario Lavia a Dario Franceschini

«Anche io sono pacifista, capisco tutte le ragioni del pacifismo, ma domando: sbagliarono gli americani a venire a combattere in Europa? Sbagliarono i partigiani a prendere le armi?». No, non cambia di una virgola la posizione del Pd sull’intervento in Libia, non cambia neppure davanti alla confusione di queste ore, regge la linea della fermezza e cementa nel Pd una coesione non frequentissima.
Dice Dario Franceschini: «Noi siamo per l’applicazione della risoluzione dell’Onu. C’è una questione di principio: bisogna impedire i massacri. Il problema non siamo noi. Caso mai è un presidente del consiglio che in questa storia non ha mai avuto un ruolo».

Franceschini, però non può negare che l’intervento è partito in modo caotico.
Ci arrivo. Prima voglio ribadire un concetto che deve essere chiaro: quando c’è una decisione dell’Onu, questa va rispettata e applicata. Lo pensavamo per l’Afghanistan, lo pensiamo adesso, perché è il livello sovranazionale che ormai determina i principi.

E la sovranità dei singoli paesi?
Ma ormai ciò che succede in un singolo paese non riguarda solo la sua sovranità. La violazione dei diritti dell’uomo non può essere considerato un fatto interno di un paese. In Libia c’è un popolo che chiede libertà e un dittatore che usa le bombe e i carri armati per reprimerlo. La comunità internazionale ha il dovere di intervenire. Certo che di fronte alle armi ogni persona prova un grande dolore, ma prima viene la purezza dei principi.

Per la Libia ci si poteva pensare prima…
Appunto, sento tanti che si indignano per l’intervento di oggi ma che avrebbero protestato se la comunità internazionale non avesse fatto nulla: parliamoci chiaro, se non si fosse intervenuti oggi Gheddafi starebbe massacrando la gente di Bengasi e si sarebbe denunciata l’incapacità delle Nazioni Unite.

E il caos di questi giorni?
Sarebbe meglio se l’azione avvenisse sotto l’ombrello della Nato. C’è stato un certo disordine, e anche un ritardo colpevole a cui poi è subentrata improvvisamente una strana fretta… Ora l’intervento è in atto per colpire gli obiettivi strategici.
Si è chiesto come mai l’opinione pubblica è abbastanza scettica, disorientata?
Ma è naturale avere timore: la Libia è un paese a noi vicinissimo, c’è paura per i rischi che potrebbero esserci.

La gente si chiede: cosa stiamo facendo?
In parte si deve alla confusione che dicevo prima, che però penso sia destinata a rientrare quando gli organi multilaterali, la Nato e l’Onu, riprenderanno in mano le redini.Poi c’è da dire che alla confusione ha contribuito non poco il governo italiano, che in questa vicenda ha avuto due, tre, quattro atteggiamenti diversi.

Oggi il governo va al senato, domani alla camera. E si vota. Non si capisce, mentre stiamo parlando, su che tipo di documento.
Cosa ci dice?
Dico che il Pd ha una posizione chiara. Non so se la maggioranza può dire altrettanto. Stanno cercando di fare una mozione Pdl- Lega ma non sarà facile, per Berlusconi.
Anche perché noi siamo pronti a presentare un documento semplice, lo stesso che è stato approvato venerdì scorso dalle commissioni estere e che è stato votato anche dal Pdl. Voglio vedere come faranno. La contraddizione ce l’hanno loro.

Berlusconi fa di tutto per far capire che di questo intervento ne farebbe volentieri a meno e c’è addirittura chi ipotizza un suo possibile ruolo di mediazione per il dopo…
Un ruolo? Ma se non ha mai avuto un ruolo in tutta questa vicenda! Sulla scena internazionale Berlusconi è completamente ignorato, non è che chiedano a lui se si può fare o non fare una cosa…La politica internazionale dell’Italia non c’è più. E comunque è bene che il protagonismo dei singoli paesi passi in secondo piano rispetto alla necessità di governare insieme un passaggio così delicato.

È possibile che la Lega ottenga che nella mozione parlamentare venga inserita l’intangibilità del Trattato con la Libia?
Dico solo che c’è una norma della risoluzione dell’Onu che implica l’automatica sospensione del Trattato. Bisogna che se ne prenda atto.

È da tempo che su una questione così importante non si registrava questo grado di coesione fra i dirigenti del Pd.
Sì, non ci sono grandi differenze fra di noi.

Casi di coscienza, al massimo…
Vedremo.

Ma c’è questo disagio o no? Recentemente ci sono stati altri abbandoni…
A me dispiace, ogni abbandono è un dolore…Ma sono sempre gli stessi casi che si contano sulle punte delle dita di una mano. Si vuole dare la sensazione che i cattolici ci stiano male, nel Pd. Ma da noi 100 parlamentari su 300 vengono dal cattolicesimo politico, di più di quanti ce ne siano in ogni altro partito. Direi che si è raggiunto un equilibrio: poi, certo, la situazione non è mai ottimale, ma se ad ogni difficoltà uno se ne va, alimentando un dibattito tutto mediatico, si sbaglia. E guardi che non è un problema che c’è con Bersani, nel Pd c’è stato da subito.

Quindi è infondato l’allarme per una deriva a sinistra e simili?
Non esiste. Ripeto, se ogni volta che perdi un congresso o non ti piace il segretaro ti alzi e te ne vai commetti un errore. Il nostro è un caso unico al mondo.

Area Democratica si ritrova a Cortona nel fine settimana. Per dire che?
Per dare un contributo di idee al partito. AreaDem è la prova del mescolamento, abbiamo tutti provenienze diverse: dopo la scissione che abbiamo avuto, quella dei 75, noi non abbiamo rinunciato e non intendiamo rinunciare alle nostre idee ma le mettiamo al servizio di tutto il partito.

da Europa Quotidiano 23.03.11