attualità, politica italiana

"Gran confusione nei cieli d'Europa", di Eugenio Scalfari

I giornali di tutto il mondo, i nostri compresi, scrivono da giorni che c´è grande confusione. Lo dicono anche i governi, gli stati maggiori delle varie forze armate, i politici e le persone interrogate per strada.
C´è grande confusione sulla guerra di Libia, sulle sollevazioni africane e mediorientali (alle quali proprio in queste ore si sono aggiunte la Siria e la Giordania), sull´uso del nucleare, sui debiti sovrani, sugli schieramenti internazionali, sui flussi migratori. I grandi paesi emergenti, Cina India Brasile Russia Sudafrica, cominciano ad elaborare una posizione politica comune che sia alternativa a quella dell´occidente, cioè del Nord- America. L´Europa, come sempre, è divisa in due, forse in tre se non addirittura in quattro pezzi. Divisa su tutto: sul caso Gheddafi, sull´immigrazione, sull´energia atomica, sull´economia.
Ma c´è grande confusione anche sui concetti che sembravano chiari, sul significato di parole che sembravano univoche, su valori che sembravano condivisi: il fondamento della morale, il pacifismo, la democrazia, la dignità della donna. Perfino la libertà. Perfino l´eguaglianza. Perfino i diritti e i doveri.
Si direbbe che, quasi d´improvviso, il gomitolo della storia non riesca più a svolgersi, i fili si sono imbrogliati inestricabilmente, i nodi sono arrivati al pettine tutti insieme, la cruna dell´ago è ostruita. Babele trionfa e trionfano la ferocia l´astuzia la Suburra.
Bisogna dunque cercare il capo del filo e svolgerlo per poter capire qualche cosa.

E il capo del filo, sul terreno concreto, oggi sta in Europa perché è proprio qui in Europa che il groviglio è diventato più inestricabile e la confusione ha raggiunto il massimo.
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La risoluzione dell´Onu ha stabilito che la popolazione civile della Libia sia protetta dalla Comunità internazionale contro le operazioni poliziesche e militari di Gheddafi. Protetta con tutti i mezzi disponibili ed efficaci per fermare Gheddafi, con l´esclusione di sbarcare truppe a terra. La «no fly zone» è uno degli strumenti, ma non il solo, anche perché porta con sé logicamente la distruzione degli impianti gheddafiani a terra e in volo: aeroporti, flotta aerea, installazioni radar, batterie contraeree. Ma poiché l´obiettivo è quello di tutelare la popolazione civile bisogna anche distruggere il sistema dei trasporti militari, le armi pesanti di cannoneggiamento, i mezzi blindati. Insomma bisogna disarmare Gheddafi. Infine, sempre ottemperando alla risoluzione dell´Onu fatta propria dall´Unione europea, bisogna applicare sanzioni economiche e impedire che il raìs riceva rifornimenti di armi.
In teoria tutti si sono dichiarati d´accordo con questi obiettivi salvo alcuni membri del Consiglio di sicurezza dell´Onu (Russia, Cina, India, Brasile, Germania) che però, astenendosi, hanno consentito che l´operazione «protettiva» partisse.
Tralasciamo la bega tra Italia e Francia sul comando dell´operazione: ormai è stato deciso che il comando sarà affidato alla Nato. Ma questo non cambia granché, salvo forse un rallentamento burocratico-operativo sul terreno.
Resta il problema di fondo: che farà Gheddafi?
Se la risoluzione dell´Onu sarà interpretata in modo limitato, Gheddafi resterà al potere a Tripoli e aspetterà che la presenza degli stranieri nei cieli libici e nel mare cessi. La «no fly zone» non potrà durare in eterno, prima o poi la coalizione dei «protettori» si scioglierà, il dispositivo militare sarà smantellato e tutti se ne torneranno a casa. Tutti salvo ovviamente Gheddafi e il suo esercito mercenario. I rifornimenti di armi riprenderanno e in Libia tutto ricomincerà da capo salvo l´alleanza dei «protettori» che una volta sciolta non si riformerà più.
Prima che ciò avvenga bisogna dunque avviare un negoziato.
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Questa sequenza l´hanno capita tutti, più o meno tardivamente. L´hanno capita gli americani, l´Onu, la Nato, i francesi, gli italiani, la Turchia, la Lega araba, la Lega africana. Tra il capire e il fare c´è però di mezzo… Gheddafi. Non se ne andrà in esilio se non sarà con le spalle al muro. Farà ogni sorta di promesse, giurerà di «fare il buono», accetterà di emanare una Costituzione democratica e libere elezioni, lo giurerà sulla testa dei figli e dei nipoti. Tutto, pur di restare al comando. L´esilio no, non lo accetterà se non sarà ridotto all´impotenza.
Nel suo caso l´impotenza significa: senza più esercito, senza più mercenari, senza più consenso, senza più macchina di propaganda, senza più ricchezze se non quanto necessario al suo (lauto) sostentamento. Di fatto prigioniero nel suo bunker e con la denuncia alla Corte dell´Aia per crimini contro l´umanità pendente sul suo capo come avvenne per Milosevic.
Solo se ridotto in queste condizioni accetterà l´esilio come salvavita. Perciò se la risoluzione dell´Onu di protezione della popolazione civile libica deve essere rispettata il solo modo praticabile è quello di ridurre Gheddafi in quella condizione. Altrimenti diciamo che è stato tutto un macabro e dispendiosissimo scherzo.
È pienamente comprensibile che i Paesi definiti dalla sigla Bric (Brasile, Russia, India, Cina) puntino a questo risultato: l´umiliazione degli Usa, dell´Europa, di quello che un tempo si definiva Occidente. Ma che sia questo anche l´obiettivo della Germania è incomprensibile a meno che, per la Germania, l´umiliazione della Unione europea sia un punto di passaggio per instaurare l´egemonia tedesca sull´Europa. Egemonia non soltanto economica (quella già c´è) ma anche politica.
Quell´egemonia ha ormai un solo ostacolo: la Francia, guidata da un leader che qualcuno descrive come un personaggio da avanspettacolo. Quanto a noi, in fatto di avanspettacolo non accettiamo lezioni da nessuno. Infatti siamo noi che, dopo i primi tentennamenti, abbiamo considerato la Francia come il nemico o almeno il rivale numero uno. Sarkozy forse fa ridere ma la Francia è la Francia e purtroppo noi facciamo ridere tutti anche in circostanze nelle quali si dovrebbe piangere.
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In realtà la sola questione che interessa chi detiene la «golden share» del governo italiano, cioè Bossi, è quella degli immigrati. Lampedusa è stata fin qui l´agnello sacrificale: è stata lasciata sola perché si è voluto che rappresentasse visibilmente, sotto gli occhi delle televisioni di mezzo mondo, una popolazione di cinquemila abitanti ridotti allo stremo ed una popolazione di ottomila immigrati ridotti in condizioni disumane.
Alla fine anche Maroni, che aveva vaticinato l´apocalisse senza aver preparato nulla per fronteggiarla, si è reso conto che la soglia dell´insopportabilità era stata varcata e ha preso (apparentemente) le misure per fronteggiarla requisendo due navi da crociera per sgombrare l´isola. Ci vorrà una settimana ma la sgombrerà, ma fino all´altro ieri non l´aveva fatto. Perché? Non ci vuole una gran fantasia ma a lui non era venuto in mente nulla.
Resta tuttavia un mistero: dove sistemerà, sia pure provvisoriamente, gli ottomila immigrati? E come fronteggerà quelli che nel frattempo continueranno ad arrivare?
Finora sono arrivati dalla Tunisia o meglio dai campi allestiti al confine tra Libia e Tunisia dove novantamila profughi si sono accalcati da quando in Libia è scoppiata la guerra civile. Ma ora le partenze sono cominciate anche dalla costa libica, dai campi di concentramento allestiti da Gheddafi dove a questo punto tutti i paletti sono saltati.
Questi campi erano un inferno e c´era gente di ogni provenienza: africani di Eritrea e di Etiopia, sudanesi e perfino neri provenienti dall´Africa equatoriale e subsahariana. La strada era di migliaia di chilometri e la Libia era la tappa verso il Mediterraneo.
Gheddafi faceva il carceriere. Berlusconi lo pagava per questo, petrolio a parte. Adesso il raìs ha altre cose cui pensare e semmai si serve del flusso di migranti per dimostrare la necessità di rimettere in sella un carceriere della sua stazza.
Voglio qui trascrivere un pensiero di Luigi Einaudi, un liberale conservatore che in realtà fu una grande persona che fa onore al nostro Paese.
«Le barriere giovano soltanto a impoverire i popoli, a inferocirli gli uni contro gli altri, a far parlare a ciascuno di essi uno strano e incomprensibile linguaggio, di spazio vitale, di necessità geopolitiche e a far pronunciare ad ognuno di essi esclusive scomuniche contro gli immigrati stranieri, quasi che fossero lebbrosi e quasi il restringimento feroce d´ogni popolo in se stesso potesse, invece di miseria e malcontento, creare ricchezza e potenza».
Questo scrisse Einaudi in un discorso pronunciato all´Assemblea Costituente il 29 luglio del 1947. Parole che sembrano scritte oggi. Gettate al vento in un Paese del quale fu il primo presidente della Repubblica appena nata.
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Questa è la deplorevole, mortificante, lacerante situazione in cui ci troviamo mentre il Parlamento, forte d´una maggioranza che sta in piedi solo perché una ventina di deputati ricatta con successo il presidente del Consiglio, si occupa dei problemi giudiziari dell´imputato Silvio Berlusconi: cancellare i processi colpendoli con la legge «ad personam» sulla prescrizione brevissima, sollevare il conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte costituzionale, intimidire i magistrati con la responsabilità civile personale.
La Lega acconsente perché ha il suo tornaconto e passa all´incasso. Almeno il suo è un ricatto politico ma gli altri sono ricatti di altro genere. Passano all´incasso gli «irresponsabili» dei vari gruppi di parlamentari comprati con cambiali che ora debbono esser pagate per non andare in protesto; passano all´incasso le veline e le escort, passano all´incasso i difensori d´ufficio e anche gli esiliati «pro tempore» come Scajola.
A me a volte Berlusconi fa tenerezza. Ma se penso allo scempio che ha fatto di questo Paese la tenerezza cede il posto ad un sentimento di giustizia che non saranno le aule giudiziarie a soddisfare ma l´isolamento morale e la disfatta politica che le sue azioni e omissioni si sono ampiamente meritate.

La repubblica 27.03.11

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“LE MOLTE INCOGNITE DEL CONFLITTO LIBICO”, di
JACQUES ATTALI

Alcuni dirigenti, tra cui quelli francesi, si sono imbarcati a cuor leggero in un conflitto incerto contro il dittatore folle della Libia, senza aver risposto a tre domande che avrebbero meritato di essere discusse pubblicamente, quanto meno in parlamento, prima di dare il via al lancio di missili da un aereo francese.
Saremmo disposti a condurre un´eventuale seconda fase della guerra, stavolta terrestre?
Certo, si può sperare che il regime crolli per il solo effetto dello sgomento causato da un bombardamento a tappeto. Ma l´esperienza dimostra che a volte non è così.
In questo caso, che fare?
Continuare a bombardare, con il rischio di provocare massacri di civili usati come scudo umano, e di attirarsi lo sdegno dell´opinione pubblica araba contro un Occidente presentato come invasore – e lo dimostra il primo scarto della Lega araba?
Spedire truppe a occupare le città e a combattere per le strade?
Queste soluzioni sono entrambe autorizzate dalla risoluzione 1973 delle Nazioni Unite, senza che nessuno dei parlamenti interessati sia stato chiamato a dare il proprio accordo.
Siamo pronti a occuparci della pace?
La Storia insegna che una vittoria è veramente tale solo se la pace è stata preparata mentre la guerra era ancora in corso. Non fu così per la prima guerra mondiale, e solo in parte per la seconda. Men che meno nel caso del Vietnam, o in quelli più recenti delle guerre in Afganistan e in Iraq – con le conseguenze disastrose che sappiamo.
C´è da chiedersi se oggi abbiamo la benché minima idea di ciò che sarà la Libia dopo la guerra. Uno Stato unificato? Una federazione? Vedremo la Cirenaica ottenere l´indipendenza per mantenerla soltanto grazie alla presenza di truppe occidentali?
Anche se Gheddafi sarà cacciato dal potere, gli Stati liberatori avranno i mezzi per ricostruire il Paese?
E´ difficile crederlo quando si vedono questi stessi Stati lesinare gli aiuti all´Egitto o alla Tunisia. Peraltro, paradossalmente, i tre Paesi di punta nella battaglia aerea contro Gheddafi (Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti) sono economicamente rovinati, con tassi di disoccupazione record. Anche se avessero i mezzi per vincere la guerra, non avranno mai quelli necessari per vincere la pace. Mentre i Paesi più ricchi (Russia, Cina, Germania, Arabia Saudita) si sono saggiamente tenuti in disparte. Tutto ciò può condurre solo a un ulteriore discredito del dollaro e dell´euro, e in senso lato di tutto l´Occidente e dei suoi valori, nel cui nome questi Paesi si sono liberati.
Perché prendere di mira quell´orrendo dittatore che massacra la sua popolazione, ma non gli altri tre che nello stesso momento fanno altrettanto, a Sanaa, a Manama e ad Abidjan?
D´altra parte, chi mai conosce i nomi di Hamad ibn Isa al-Khalifa, re dei Bahrein, o di Ali Abdallah al-Saleh, presidente dello Yemen, non meno criminali di Muammad Gheddafi o di Laurent Gbagbo? Come mai tutti i media ne denunciano uno solo, e ignorano gli altri? Perché si pensa che Gheddafi possa essere sloggiato senza danni collaterali – cosa del resto tutt´altro che certa.
Un buon giocatore di scacchi deve saper prevedere un certo numero di mosse: ma a quanto pare non è questa la dote principale di chi ha scatenato il conflitto in atto. Decisamente, Clémenceau aveva ragione nel dire che la guerra è una cosa troppo grave per essere affidata ai militari. Ma certo non bisognerebbe neppure lasciarla in mano ai diplomatici.
(Traduzione di Elisabetta Horvat)

La Repubblica 27.03.11