ambiente

«Produrre non basta: il segreto dell’energia è saperla distribuire», di Cristiana Pulcinelli

L’INTERVISTA / GIANNI SILVESTRINI direttore scientifico del Kyoto Club
Il mito dell’abbondanza è preistoria: oggi dobbiamo imparare a eliminare gli sprechi e sviluppare reti intelligenti che portino l’energia dove davvero c’è bisogno. L’Italia è folle: compra tecnologie rinnovabili ma non fa ricerca

Dopo Chernobyl le fonti rinnovabili erano agli inizi. Oggi è diverso: la potenza eolica è cento volte superiore, quella solare mille volte più ampia e i costi sono scesi notevolmente. Si apre una straordinaria occasione per le nostre imprese, anche quelle piccole». Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club e direttore di QualEnergia, legge così le conseguenze del disastro nucleare di Fukushima: il nucleare non è più un’alternativa. Anzi, non lo è mai stato.

Le energie rinnovabili hanno conosciuto un boom negli ultimi anni: quanto sono cresciute?
«Negli ultimi dieci anni nel mondo gli impianti eolici sono cresciuti con un tasso pari al 30% l’anno e quelli per il solare fotovoltaico addirittura del 40%. In Italia, le cose sono cominciate a cambiare nel 2007 e oggi per il fotovoltaico siamo il secondo Paese al mondo dopo la Germania, mentre per l’eolico siamo al sesto posto».
Questa crescita è dovuta soprattutto agli incentivi. Ora però verranno tagliati, cosa accadrà?
«Gli incentivi nel nostro Paese sono stati troppo alti. È come se, per far partire una macchina ingolfata, avessimo dovuto darle una grande spinta che ora però rischia di farla precipitare nel burrone. I costi degli incentivi ricadono sulle bollette: quando il numero delle installazioni cresce così tanto, l’impatto sulle tariffe diventa importante. Del resto, i costi si sono abbassati: un impianto fotovoltaico oggi costa la metà di quello che costava nel 2005. Il governo ha cercato di porre mano alla questione con il decreto Romani, il problema però è che quel decreto mette in discussione diritti già acquisiti: in sostanza si applicano i tagli anche a quelle imprese che hanno già fatto un investimento e questo non si può fare. Tuttavia, si dovrà trovare unasoluzione per evitare quello che è accaduto in Spagna dove il mercato è stato ammazzato: nel 2008 i forti incentivi avevano favorito un eccesso di installazioni, il governo, spaventato dai costi, ha tagliato drasticamente gli incentivi e nel 2009 si è fermato tutto. In Germania, invece, governo e imprenditori hanno definito una corsia di riduzione degli incentivi proporzionale alla potenza installata nell’anno precedente: se si installano più impianti, si riducono gli incentivi. Potrebbe essere la strada».
Si può pensare di coprire il 100% dell’energia di cui abbiamo bisogno con le rinnovabili?
«Partiamo dal fatto che l’obiettivo europeo del 20% entro il 2020 è vincolante. Siccome, però, riguarda anche i trasporti e i bioconbustibili che non potranno coprire oltre il 10%, vuol dire che la produzione di elettricità da fonti rinnovabili dovrà arrivare al 30%. Nel 2020, quindi 1 kWh su 3 verrà da fonti rinnovabili. Ma c’è di più: molti studi usciti negli ultimi anni dimostrano che coprire il 100% del fabbisogno elettrico è tecnicamente e economicamente fattibile. Tanto che la Germania si è data l’obiettivo di arrivare almeno all’80% entro il 2050».
Quanto territorio servirebbe?
«Con un’area di 70-80 chilometri quadrati dedicata al fotovoltaico riusciremmo a soddisfare i bisogni elettrici del Paese. Non è molto se si pensa ai tetti degli edifici, ai siti industriali abbandonati, alle aree marginali. Il problema è ancora quello dei costi: oggi il fotovoltaico costa 20-30 centesimi di euro al kWh, ma Steven Chu, ministro dell’energia degli Stati Uniti, ha lanciato un piano per portarlo nel 2020 a 6 centesimi di dollaro a kWh».
Comesi farà a gestire una rete energetica di questo genere?
«Ci vorranno sistemi di accumulo e smart grid, reti intelligenti in grado di far dialogare una domanda che varia nel tempo con una produzione che non potrà seguire passo passo la domanda come oggi, ma varierà nel tempo anch’essa. Si può pensare a un microchip nel frigorifero collegato a un contatore che, se la domanda di elettricità in quel momento è troppo alta, dica al frigo: per i prossimi 20 minuti non ti accendere. E poi servono le supergrid, le grandi reti che porteranno l’energia dai parchi eolici del Nord e dagli impianti fotovoltaici dei deserti nordafricani in tutta Europa. Il sistema sarà sempre più decentrato: già oggi l’Italia ha 200.000 punti di generazione, la Germania un milione».
Il nostro Paese importa buona parte del solare e dell’eolico che installa.
«Un vero peccato: in Germania questo comparto è diventato un pilastro dell’economia con 340.000 addetti».
Come fare a prevenire le infiltrazioni della mafia in questo settore?
«Ridurre gli incentivi, in modo da rendere meno appetibile l’affare alla malavita e aumentare la trasparenza delle procedure».
Cosa dovrebbe fare il governo?
«Un progetto finalizzato per l’energia che metta insieme gli enti di ricerca e definisca le priorità d’intervento per quanto riguarda l’innovazione. Per ora, invece, c’è un silenzio preoccupante».

******

«Paradosso Italia: il Paese del Sole compra dall’estero», di Cristiana Pulcinelli
Il 60% degli impianti eolici e solari installati in Italia vengono da altri Paesi. Secondo la Bocconi lo sviluppo del settore potrebbe portare a 250 mila posti di lavoro entro il 2020

L’a strada per arrivare a consumare meno energia e, soprattutto, consumare energia pulita, è una strada lastricata di paradossi.
In primo luogo l’efficienza. Sono in molti a ritenere che aumentare l’efficienza energetica sia un modo per risparmiare energia e produrre meno emissioni di gas serra. Il presidente degli Stati Uniti ha dichiarato che, grazie all’efficienza energetica, si può risparmiare fino al 30% del consumo attuale di energia «senza modificare la nostra qualità della vita». E la direttiva europea sui cambiamento climatici obbliga i paesi membri a ridurre i consumi energetici del 20% entro il 2020 proprio attraverso unmiglioramento dell’efficienza energetica.
Tuttavia, alcuni economisti ritengono che, paradossalmente, l’aumento dell’efficienza energetica potrebbe portare a un incremento dei consumi e quindi delle emissioni di gas serra. E’ l’effetto rebound, rimbalzo (paradosso Jevons). Un nuovo rapporto del Breakthrough Institute, un istituto di ricerca americano che si occupa di energia e clima, ha calcolato che, a causa di questo fenomeno, si può perdere fino al 30% del risparmio di energia conquistato grazie all’aumento dell’efficienza. Come è possibile? Facciamo qualche esempio.
Se io cambio tutte le lampadine di casa con lampadine a basso consumo sarò portato, dicono questi economisti, a lasciare di più le luci accese. Se guido una macchina più efficiente, consumo meno benzina e quindi potrei essere tentato di usarla di più. Inoltre, c’è un effetto rebound indiretto: i soldi che ho risparmiato pagando meno la benzina potrei reinvestirli acquistando qualcosa che, a sua volta, causa ulteriori emissioni di CO2, ad esempio un viaggio aereo. L’effetto rebound può arrivare addirittura a far perdere oltre il100% del risparmio di energia, in questo caso si parla di “effetto backfire”. Un effetto che si verifica soprattutto a livello industriale: mettiamo che un’industria cinese che produce acciaio diventi più efficiente dal punto di vista energetico, questo consentirà di aumentare la produzione e quindi avere più emissioni.
L’altro è un paradosso tutto italiano. Installiamo molti impianti solari e eolici,mala tecnologia per questi impianti la importiamo dall’estero per il 50-60%. In sostanza, c’è poca ricerca e innovazione in un comparto che, invece, potrebbe essere un’enorme opportunità per le imprese, anche dal punto di vista lavorativo.
Basti pensare che in Germania il comparto della produzione di energia rinnovabile, con 340.000 addetti, è diventato un pilastro dell’economia Se ci credesse di più anche l’Italia potrebbe trarne vantaggio: uno studio della Bocconi del 2009, realizzato conGse (Gestore Servizi Elettrici) delinea tre scenari a diversa intensità occupazionale: il primo prevede, con l’importazione di tecnologie rinnovabili dall’estero, un incremento di 100.000 posti di lavoro; il secondo, con lo sviluppo di tecnologie rinnovabili, porterebbe a 150.000 il numero degli occupati; il terzo scenario, in cui è prefigurato il massimo sfruttamento del potenziale tecnologico, prospetta una crescita occupazionale al 2020 di 250.000 unità.

da l’Unità