attualità, politica italiana

"E con le toghe il premier si fa lo spot", di Marcello Sorgi

Dopo otto anni di assenza, il ritorno di Silvio Berlusconi al Palazzo di Giustizia di Milano non solo è stato spettacolare anche più del previsto, ma si è trasformato in uno spot a favore di quel che il premier sostiene da tempo: processare il presidente del Consiglio vuol dire sottrarlo ai suoi compiti istituzionali. Con la crisi internazionale aperta e l’invasione degli immigrati alle porte, il momento d’emergenza non poteva essere più propizio a una rapida propalazione del messaggio berlusconiano. Chi ancora ricorda la scena del marciapiede davanti al tribunale milanese negli anni di Tangentopoli – con la folla silenziosa in attesa di conoscere dagli inviati delle tv la lista dei nuovi imputati eccellenti – avrà certo notato la differenza: da un lato una piccola folla di dimostranti pidiellini che scandivano slogan in difesa del premier e brandivano striscioni di attacco alla magistratura politicizzata. Sul marciapiede di fronte un gruppetto di militanti dipietristi (anche qui: quante cose son cambiate, se solo si riflette che diciotto anni fa Di Pietro era il più temuto pm di Mani pulite), schierati su posizioni opposte.

Ma al di là della regia orchestrata – e rivendicata – dall’organizzazione del Pdl, lo scopo evidente della partecipazione del premier all’udienza a porte chiuse del processo Mediatrade, con tutto quello che ne è seguito, è chiarissimo: far emergere il pezzo di opinione pubblica che, diversamente da quanto accadeva nel ’93 quando invece la gran parte dei cittadini era schierata con i giudici, adesso si oppone all’operato della magistratura e condivide le accuse di Berlusconi contro le toghe politicizzate. Occorrerà vedere se un’impostazione del genere reggerà anche alle prime udienze del processo per il caso Ruby, quando invece l’attenzione di tutte le tv del mondo sarà richiamata dalla sfilata delle 32 ragazze che frequentavano la villa di Arcore e che secondo l’accusa erano pagate dal premier per prostituirsi.

Ma in ogni caso il modo assolutamente personale con cui Berlusconi ha deciso di tornare nelle aule di giustizia – l’intervista preventiva a Canale 5, e poi la claque, i saluti dal predellino dell’auto, le brevi dichiarazioni all’uscita dall’udienza e la promessa che la battaglia continuerà – rappresenta un elemento imprevisto, almeno in questi termini, e da valutare attentamente, per la magistratura di Milano che ha voluto una rapida ripresa delle udienze, anche alla vigilia di elezioni importanti come quelle del prossimo maggio.

La Stampa 29.03.11

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“L´INVENZIONE DELLA REALTÀ”, di EZIO MAURO
In poche ore accadono due eventi che riguardano il Presidente del Consiglio, il suo mondo aziendale, politico e personale – che coincidono dall´inizio e per sempre – e il nostro mondo reale, di cittadini ridotti a spettatori.
La prima scena è di ieri mattina. Chiamato a giudizio a Milano nel processo “Mediatrade” con l´accusa di frode fiscale e appropriazione indebita, il Capo del governo annuncia in anticipo che sarà presente in aula. Si può pensare, davanti a questo annuncio, che accetti di sottoporsi al giudizio senza delegittimare come sempre la magistratura che lo indaga e che deve pronunciarsi sui reati che gli vengono contestati, che intenda ascoltare le accuse e far valere le sue buone ragioni, dimostrando così che anche per lui vale il principio secondo cui la legge è uguale per tutti.
Ma in realtà si tratta di un´udienza preliminare, davanti al gup, dove si costituiscono le parti e si fissa il calendario delle udienze. Non è previsto che l´imputato parli, e lui lo sa bene. Dunque la presenza in aula ha una semplice funzione-civetta, serve da richiamo. Il vero evento politico riguarda quell´aula, nel senso che è concepito e messo in scena per condizionarla, ma avviene fuori: prima, e dopo. Prima, il Pdl ha mobilitato i suoi sostenitori per convocarli a Palazzo di Giustizia, replicando in grande l´operazione claque organizzata a tavolino una settimana fa, con la spedizione di anziani figuranti spaesati davanti all´aula del processo Mills, con tanto di coccarda azzurra prefabbricata al bavero, e militanti di partito al fianco.Sulla piccola folla in attesa, fronteggiata da un drappello di contestatori del partito di Di Pietro, era già scesa poco prima la voce rassicurante e autoassolutoria del Premier, ovviamente dagli schermi di proprietà e dal canale di famiglia. Una dichiarazione titanica, vittimistica e vindice, come accade in queste grandi occasioni: il processo «è un tentativo di eliminarmi», «sono l´uomo più imputato dell´universo e della storia», «il comunismo in Italia non si è mai concluso e non è mai cambiato», «cerca di usare qualsiasi mezzo per annientare l´avversario». Fino al giuramento rituale, in cui accanto ai figli compaiono per la prima volta i giovanissimi nipoti, incolpevoli ma utili a mulinare numeri sempre più roboanti: «giuro sui miei cinque figli e sui miei sei nipoti che nessuno dei fatti che mi vengono imputati è vero».
Dopo questo primo tempo spettacolare, la breve apparizione in aula, utile soltanto ad attirare i riflettori mediatici, nonostante l´udienza preliminare sia a porte chiuse. Ma lo spettacolo politico che conta è fuori da quella porta. Ecco che si apre. Il Premier imputato appare, e già si mostra sorridente. Incede tra la folla, e diventa trionfante. Alza il braccio per rispondere alle acclamazioni e agli applausi, ed è incontenibile. Infatti sale sul predellino, come tre anni fa quando s´incarnò nel popolo di San Babila e nel popolo delle libertà che stava nascendo. È un´apoteosi.
Ma soprattutto, è un ribaltamento politico della realtà, costruita a tavolino come in un reality, e recitato sulla pubblica piazza cercando di ricalcare in tutto la scenografia del Caimano, come ad annunciare la resa dei conti finale e la capacità di rovesciare la verità. Il Premier di un Paese democratico, imputato per gravi reati comuni, non si preoccupa di rassicurare la pubblica opinione, le istituzioni e la società politica che chiederà chiarezza di giudizio e offrirà collaborazione nella trasparenza per arrivare all´unica cosa che conta, cioè l´accertamento della verità.
No: al contrario maledice davanti alle sue telecamere i magistrati che devono giudicarlo, pronuncia in diretta la sentenza con cui si assolve, addita al ludibrio i suoi avversari politici, raduna i suoi sostenitori di fronte al palazzo giudiziario e si unisce a loro in una manifestazione di ribellione alla giustizia, di lavacro popolare, di giudizio anticipato sommario e inappellabile. Una manifestazione di debolezza estrema spacciata per prova di forza, con il populismo che mette in scena se stesso nella fase più estrema e radicale, perché tecnicamente eversiva, con il potere esecutivo che chiama il popolo a contestare il giudiziario: mentre il legislativo cerca di fulminare i processi con leggi ad personam, spargendo il fumo di false riforme sulle opposizioni, sulle istituzioni e sui soggetti incapaci di una vera autonomia culturale e di una concreta libertà di giudizio.
Il secondo evento è tutto televisivo, ed è andato in onda appena venerdì scorso. A Forum, su Canale 5, una signora abruzzese dell´Aquila si presenta a discutere della sua separazione dal marito Gualtiero, e del loro negozio di abiti da sposa lesionato dalle scosse. Incidentalmente, la signora magnifica sulla rete Mediaset l´operato del Presidente del Consiglio e del governo, «l´Aquila ricostruita», «la vita ricominciata», i giovani che «ritornano», i negozi che «riaprono». Distribuisce «ringraziamenti al Premier», conclude che tra i terremotati «chi si lamenta lo fa per mangiare e dormire gratis». Applausi in studio. Solo che la signora non è terremotata, non è dell´Aquila, non è separata, non è sposata con Gualtiero che è figurante come lei, non ha perso alcun negozio nel sisma ma aiuta il vero marito in un´impresa di pompe funebri. Semplicemente, ha recitato una parte: «Sono abruzzese, mi hanno chiesto di interpretare quel ruolo».
Ora, è possibile accettare tutto questo? Inventare una “fidanzatina” per il Premier circondato da troppe ragazze a pagamento, e costruirne l´identikit sul rotocalco della Real Casa. Modellare dal nulla un fidanzato per Noemi Letizia e fotografarlo in un falso abbraccio con lei per proteggere “Papi”. Infine fabbricare la falsa terremotata che salmodia le lodi al Premier ricostruttore nell´unico processo accettato sulle reti Mediaset, quello finto di Forum.
Questo meccanismo menzognero e ingannatore si chiama “ricostruzione della realtà”. Decostruisce il reale, lo sposta e lo reinventa in un contesto di comodo, ricostruendo il paesaggio politico e sociale ridisegnando il palinsesto non solo televisivo, ma quotidiano della vita italiana. Non è un caso, è un metodo. Nell´ottobre del 2004 uno stretto collaboratore di George W. Bush (si pensa sia Karl Rove) disse al giornalista Ron Suskind queste parole: «Ora noi siamo un impero, e quando agiamo, noi creiamo la nostra realtà. E mentre voi state studiando questa realtà, giudiziosamente, noi agiremo ancora, creando altre nuove realtà, che voi potrete soltanto studiare, e nient´altro». Bene, fatte le proporzioni con la miseria italiana, forse è arrivato il momento per gli spettatori di tornare cittadini, riportando la politica – Presidente del Consiglio compreso – a fare i conti con la realtà.

La Repubblica 29.08.11

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“Il terzo predellino”, di GIOVANNI CERRUTI
Non l’hanno nemmeno visto, ma non importa. Silvio Berlusconi sul predellino, e la sua terza volta è davanti al Palazzo di Giustizia, in mezzo a due squadre di tifosi che lo esaltano o lo insultano, chi canta “Resta cu’mme” e chi urla «Dimissioni!». Corso di Porta Vittoria, un set delle due Italie della rabbia e del rancore, da una parte un centinaio di fans del premier, dall’altra una ventina con lo striscione mandato da Antonio Di Pietro: «Bentornato, Silvio. Dentro ti stanno aspettando».

Non poteva andarsene senza una comparsata, il premier. Quasi tutti piuttosto in là con l’età, quasi tutte donne, la centuria lo aspettava con le bandiere e la speranza, almeno, di una stretta di mano. Niente, solo il ciao con la mano, il «Tutto bene». Il bello è che chi stava su questo piccolo spiazzo dedicato a «Marco Biagi-giuslavorista», lo stesso delle telecronache di Paolo Brosio ai tempi di Mani Pulite, il premier manco l’ha visto e sentito. I saluti erano al muraglione di telecamere e microfoni.

I fans si accontentano di poco, e a Berlusconi dev’esser bastato quel saluto di trenta secondi. Al resto provvederanno i tg, le immagini davanti al Palazzo di Giustizia dei terribili pm milanesi, con Berlusconi che saluta e dice che tutto va bene, «sarò in aula alla prossima udienza». Come se le due ore al 7° piano fossero state udienza vera, non preliminare, con le date da fissare e poco più. Insomma, lui c’era. Anche se, come aveva anticipato in tv, «mi fanno perdere un mare di tempo».

Stanno sotto questo gazebo di Largo Biagi da un mese, i fans. Si danno i turni, il volontario Giovanni Esposito recluta e organizza le presenze di giovanotti e pensionati. C’è pure varia umanità, come Mira Bakovic «astrologa, cartomante e scrittrice del best seller mondiale “Piccola donna dalmata”». Che, precisa, «non è ancora stato pubblicato». Guai a chi glielo tocca, Silvio. «Poverino, lo fanno venire qui anche oggi. Di sicuro lui voleva andare a Lampedusa. Deve lavorare per noi, o no?».

Sul marciapiede di fronte s’affrettano a contestare quell’”anche oggi”. «E’ da otto anni che fugge dalle udienze, e se è venuto è solo perché sta organizzando il suo show», rispondono dallo striscione di Di Pietro. C’è anche Pietro Ricca, il blogger di Verbania che già una volta gli ha gridato «Buffone fatti processare». Questa volta urla contro un funzionario di polizia: «Mi avete rotto il microfono, potreste provvedere? fanno 200 euri, saldate subito? Tanto tra mezz’ora metto tutto su Internet».

Le due tifoserie si insultano da lontano, «A noi il Bunga Bunga, a voi i culattoni!», «Mercenari!». Gli anziani sono i più scalmanati, come la signora Antonietta che si è scritta sul cappottone rosso il suo Padre Nostro: «Liberaci da Berlusconi e così sia». Poi aggiunge: «Siccome so che lo odia, ieri sera ho quasi fatto indigestione di aglio. Vorrei tanto andargli vicino…». Non c’è tensione, ma non si sa mai. La seconda volta sul predellino era stata in Piazza Duomo, dicembre 2009, con la faccia insanguinata.

Per mezza giornata davanti al Palazzo di Giustizia c’erano più poliziotti e carabinieri e vigili urbani che avvocati o passanti. Anche l’ambulanza della Croce Maria Bambina, sempre perché non si sa mai. Mario Mantovani, senatore, sottosegretario e coordinatore del Pdl milanese, aveva mandato 600 sms di convocazione. Non tutti hanno aderito, come si dice in questi casi «a Milano la gente lavora». Tanto, quel che conta, è che il premier si sia mostrato soddisfatto, sorrisi e tutto va bene, fa sapere che tornerà.

Se Berlusconi è salito sul predellino, forse l’hanno appena intravisto, sotto il gazebo è andata Daniela Santanchè, ieri in versione tifosa della nazionale olandese, tutta in arancione, sempre seguita dagli incursori di «Anno Zero» e «Ballarò». E’ stato il suo l’unico discorso al microfono, ma dopo il terzo predellino c’era poco da aggiungere. «Vi ringrazio tutti», appena tre parole. Applausi frettolosi, una foto con Suor Anna, e arrivederci a lunedì. Prossima udienza e prossimo predellino.

La Stampa 29.03.11