cultura

"Che ci azzecca la benzina con la cultura?", di Marzio Galeotti

Per compensare la rinuncia ai tagli alla cultura, il governo ha deciso di inasprire la tassazione sui carburanti. Tre le principali obiezioni al provvedimento: si introducono nuove tasse senza tener conto del grado complessivo di distorsione del nostro sistema fiscale. Si tassano benzina e gasolio solo per fare cassa. L’aggravio e il guadagno d’entrata per lo Stato è superiore a quello indicato, perché l’aumento riguarda la componente di accisa, che va ad aggiungersi al prezzo industriale, e su questa somma si calcola l’Iva per arrivare al prezzo alla pompa.

Evitiamo una volta tanto i soliti commenti critici, o se si vuole sconsolati, secondo cui da un lato si predica che le tasse non verranno aumentate o si promette che verranno addirittura ridotte – fatto necessario per rilanciare la crescita o fatto conseguente all’introduzione del federalismo – e dall’altro si razzola male. Stiamone lontano.
Diciamo invece che in una fase di tagli di bilancio coniugata a una crescita che fatica a rilanciarsi, la parola tasse e il ricorso a esse è più che mai in auge. Naturalmente, in maniera totalmente disorganica. Abbiamo perciò letto di tassa sul turismo, di imposta municipale unica, di tasse sul biglietto del cinema, e alla fine siamo arrivati alle tasse – guarda un po’ – sui carburanti.
Evidentemente i tagli alla cultura erano più insopportabili dei tagli agli stipendi di alcune categorie di dipendenti pubblici, e altrettanto evidentemente, la maggiorazione del costo del biglietto dei cinema era più insopportabile della maggiorazione del costo di benzina e gasolio.

TRE “PERÒ” SUL PROVVEDIMENTO

Ci sono tre “però” in questa decisione di inasprimento della tassazione che, è bene ricordarlo, si accompagna all’aumento del costo di molti servizi, a partire dai trasporti pubblici.
Il primo “però” è che si modificano tasse esistenti o se ne introducono di nuove in maniera scollegata, senza un occhio attento non solo al livello di pressione fiscale complessiva – è sempre in seguito che si scopre che è aumentata – ma al grado complessivo di distorsione del nostro sistema fiscale.
Il secondo “però” riguarda la tassazione dei carburanti in particolare. Spiace che ancora una volta si segua la tradizione di tassare i carburanti solo per fare cassa, per ragioni di gettito, senza nessun riguardo all’esigenza di tassare per correggere delle esternalità, di cui quella ambientale è nel caso in questione la più importante. Alla guerra d’Abissinia (combattuta nel 1936), la crisi di Suez (1956), la tragedia del Vajont (1963), l’alluvione di Firenze (1966), il terremoto del Belice (1968), il terremoto del Friuli (1976), il terremoto dell’Irpinia (1980), la missione in Libano (1983), la missione in Bosnia (1996), il rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri (2004) aggiungiamo ora il rifinanziamento del Fus (2011).
Al lettore che stesse pensando che comunque tassare i carburanti, qualunque la motivazione, controlla quelle esternalità, giova ricordare due fatti. Il primo è che l’Italia dovrà ridurre – come scritto nelle direttive europee – le emissioni di anidride carbonica generate da settori diversi dall’industria e dalla generazione elettrica del 13 per cento entro il 2020. Questo obbligo riguarda i settori civile, trasporti e terziario e siamo sempre in attesa di sapere e vedere quali misure il nostro governo, tra una discussione su nucleare e costi degli incentivi al fotovoltaico, intende prendere. Il secondo è che la tassazione dell’energia per finalità ambientali è fonte di gettito che andrebbe dedicato non tanto alla cultura, ma a progetti ambientali come il finanziamento di più estesi e determinati interventi di efficienza energetica e dell’innovazione nelle tecnologie verdi. Perché l’Italia ha anche in questo caso precisi obblighi stabiliti dalle direttive europee sull’incremento del ricorso alle fonti rinnovabili e la riduzione dei consumi finali di energia come specificato nel Piano d’azione nazionale per le energie rinnovabili presentato dal ministero dello Sviluppo economico (Mse) lo scorso giugno 2010.
L’ultimo “però” è che l’aumento di “1-2 centesimi” della tassazione della benzina riguarda la componente di accisa, la quale va ad aggiungersi al prezzo industriale, e su questa somma si calcola l’Iva per arrivare al prezzo alla pompa. Significa che l’aggravio di tassazione – e il guadagno d’entrata per lo Stato – non è di “1-2 centesimi”. A titolo di esempio, i valori medi dello scorso febbraio secondo il ministero davano il prezzo industriale della benzina a 660.69 eurocent e l’accisa a 564.00; sulla somma si commisurava l’Iva al 20 per cento per un importo di 244.84, per arrivare a un prezzo finale di 1469.63. Due centesimi in più di accisa portano a un prezzo finale di 1472.03, con un’entrata extra per le casse dello Stato di 2,4 centesimi per litro. Il banale calcolino è a parità di prezzo industriale. Ma vale forse la pena notare che quando il prezzo del petrolio oscilla – più velocemente in ascesa che in riduzione, come l’esperienza insegna – si mette in moto l’effetto amplificatorio dell’Iva che ora si commisura su una base, anche se di poco, più ampia.
Così, giusto per non dimenticare.

da Lavoce.info