attualità, politica italiana

"La memoria corta di La Russa", di Michele Brambilla

Ignazio La Russa sta vivendo un momento difficile. Ieri è stato criticato anche dalla stampa amica: il Giornale nel titolo di prima pagina parlava di un «pasticcio» e a pagina 7 di uno «scivolone di La Russa»; quanto a Libero, il vicedirettore Fausto Carioti nell’editoriale gli ha consigliato «un corso di educazione e sopportazione». Inoltre, ha scritto che le escandescenze sono state tali da far pensare che per una volta le parti fossero invertite, e che fosse il ministro a fare l’imitazione di Fiorello. Tutti e due i quotidiani, poi, hanno dato senza alcuna reticenza – e con buona evidenza – la notizia dell’ira di Berlusconi e di gran parte del Pdl contro La Russa.

Il quale è da qualche tempo che perde le staffe. Sul web c’è tutto un florilegio delle sue reazioni sopra le righe. L’ultima era stata forse quella, alla Balotelli, contro un inviato di Annozero. Ma fra tutti questi comportamenti certamente non consoni al ruolo che La Russa riveste, ce n’è uno che colpisce in modo particolare e che dovrebbe far riflettere l’interessato. A ben guardare, nell’invettiva del ministro della Difesa contro Fini il gesto più grave non è stato il «vaffa» ma quel «stai zitto» pronunciato tenendo l’indice appoggiato al naso. Un gesto grave non solo perché rivolto alla terza carica dello Stato, ma soprattutto perché il suo autore dovrebbe ben sapere che cosa rappresenta.

Fino a una ventina d’anni fa Ignazio La Russa era uno sconosciuto politico (consigliere comunale a Milano) che di mestiere faceva l’avvocato penalista. In quegli anni facevo il cronista di giudiziaria e ricordo bene con quale schifato disprezzo molti colleghi lo evitavano anche quando aveva notizie (di processi, non di politica) da portare in sala stampa. Un giorno ce ne offrì una gustosa. Si era scoperto che i carabinieri s’erano inventati una retata in un bar che, a un controllo dei giudici, risultò chiuso nel giorno indicato nel verbale: in pratica saltò il processo e gli imputati furono tutti assolti. Era una notizia buona per le pagine di cronaca, senza alcun risvolto politico, ma in sala stampa alcuni colleghi giornalisti indirono seduta stante un’assemblea al termine della quale fu deciso che le notizie di «un fascista» non andavano pubblicate neanche se vere, punto e stop.

È solo un esempio tra le migliaia, anzi tra i milioni che si potrebbero fare per ricordare l’esilio, la chiusura nel ghetto, la cacciata nelle fogne che fu riservata ai missini per quasi cinquant’anni: dal 1946, quanto il partito fu fondato dalla cosiddetta «generazione che non si è arresa», al 1995 quando si sciolse per diventare Alleanza nazionale e rientrare nel gioco democratico. Furono pochi, pochissimi, in quei cinquant’anni, i non missini che difesero il diritto dei missini a parlare; che reagivano quando qualcuno portava l’indice al naso e diceva «stai zitto» a un esponente del Msi.

Ecco perché La Russa quel gesto non lo dovrebbe mai fare. Per coerenza con il proprio passato. Ma anche per non correre il rischio di un curioso e imprevedibile compimento di una parabola che potrebbe riportare lui, e i vecchi camerati, a rivivere l’emarginazione di un tempo. È una parabola che in qualche modo già si intravede. Perché: che fine hanno fatto gli ex missini ed ex An? Chi è andato con Fini sembra in un vicolo cieco: Fli è un partito senza grandi prospettive elettorali, indeciso su da che parte stare e diviso tra falchi e colombe.

Chi invece è rimasto nel Pdl rischia di scomparire per altri motivi. Da una parte, sta diventando sempre più un corpo estraneo e sgradito a quelli che vengono da Forza Italia. La raccolta di firme per far dimettere La Russa da ministro è partita all’interno del Pdl, non dai banchi dell’opposizione. E il mai dimenticato epiteto usato per indicare al pubblico disprezzo («fascista») è arrivato da Claudio Scajola, oltre che dai deputati d’opposizione.

Dall’altra parte non si capisce bene quale presa possa ancora avere sul suo vecchio elettorato un La Russa come quello dell’altro giorno, scalmanato nel difendere il processo breve. S’è forse dimenticato di quando guidava le fiaccolate pro Mani Pulite? O di quando, ancor prima, il suo fedele collaboratore Riccardo De Corato riforniva la Procura di Milano di esposti contro la corruzione e il malaffare? Forse sì, forse s’è dimenticato, come s’è dimenticato dei tempi infami in cui in nome della democrazia gli intimavano di tacere. E la scarsa memoria è pericolosa. Si fa in fretta a tornare in un angolo dopo aver vissuto una imprevista e insperata stagione di gloria.

La Stampa 01.04.11

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“La Russa, il ministro alla moviola”, di FIlippo Ceccarelli

Battute e pestoni ai giornalisti. Ora il ralenti della Camera per il vaffa a Fini. Aggressivo e litigioso il titolare della Difesa appare sempre sopra le righe, poi si pente. Deve essere stata una scena mica male quella dei tre onorevoli questori di Montecitorio che dopo i tumulti in aula si sono raccolti in qualche ufficio, e lì dentro in gran segreto, comprensibilmente, si sono fatti proiettare il Moviolone per comprendere con scientifica esattezza, sequenza dopo sequenza e con l´indispensabile scrutinio del labiale se il ministro La Russa aveva o no mandato il presidente dell´Assemblea Fini a… alt! (tanto si è capito dove).
E sarebbe bellissimo poter disporre del resoconto stenografico dell´indagine, con le varie ipotesi, le possibili assonanze, le plausibili disarmonie tra il gesto e il logos. Ma il verdetto del ralenti non lasciava adito a dubbi: La Russa ce l´ha proprio mandato. Donde «la più ferma deplorazione per la particolare gravità del comportamento tenuto in aula nei confronti della Presidenza», come si legge nel comunicato emesso dal Collegio dei deputati Questori, da parte dell´«onorevole» La Russa. Ma non – si fa osservare – del «ministro» La Russa.
La questione della titolarità ordinamentale e delle eventuali sanzioni è infatti impicciatissima e come tale rinviata a martedì. Non esistono precedenti in materia, per quanto bassa sia, né francamente si riescono a immaginare Taviani, Andreotti, Lagorio, Andreatta e altri ministri della Difesa che mandano a quel paese, con il dovuto gesto di accompagnamento, altri presidenti della Camera come Leone, Pertini, Ingrao o la Jotti.
E tuttavia, pur in mancanza di antefatti, l´inedita liturgia del Moviolone Labiale e Istituzionale ha dei riscontri, o almeno trova una sua ratio sotto il dominio degli spettacoli perché la scena madre del vaffa, vista e rivista ieri sulla rete e in tv, potrebbe benissimo trovare un posto anche d´onore nel soggetto, nella sceneggiatura, nella proiezione e nella fruizione di un particolare genere di film. Quali?
Ora, sarebbe ingiusto imputare agli onorevoli questori Albonetti (Pd), Colucci (Pdl) e Mazzocchi (pure Pdl) di aver tralasciato o peggio di ignorare un piccolo precedente in materia. Ma è pur vero che l´autunno scorso intervenendo alla radio in una trasmissione chiamata «ComuniCattivo», sul serio, lo stesso ministro La Russa dichiarò di essere stato «in modo insistente» richiesto dal produttore De Laurentis per recitare in un cinepanettone. «Naturalmente – spiegò poi – ebbe un rifiuto». Naturalmente, un corno.
Nel regime delle rappresentazioni La Russa è una risorsa narrativa completamente sfuggita di mano, quindi è perfetto, musica, voce, faccia, parole, gestualità. Perfetto nel senso che nessuno può sapere come può andare a finire, dove può andare a sbattere. Lontanissimi ormai i tempi di Fiorello e dell´«Ignazio jouer» («Acquaragia/ Mutande ragno/ Alabarda»). E sono un pallido ricordo le innocue invenzioni creative e ricreative, i travestimenti da top-gun in tuta arancione, la messa riparatrice, la mini-naja, l´obbligo di cantare il Piave nelle scuole, la ginnastica per gli impiegati del ministero.
Arrivò un giorno, La Russa, a vantare una remota parentela con Dario Fo. E un altro giorno volle lanciare il suo massivo test anti-droga, per amici e colleghi e fotografi, per giunta in competizione con quello – pure discutibile – del povero Giovanardi. Test del capello, oltretutto, alla cui risonanza mediatica non ha corrisposto – come si notava mercoledì sera – altrettanta energia persuasiva.
Ecco, basta: ora è solo l´Ignazio Furioso che un po´ fa ridere e un altro po´ mette paura (anche perché bene o male i missiloni dipendono da lui). L´ideale per ridare smalto alla produzione dei Vanzina o di Neri Parenti. Aggressivo come una tigre, litiga con tutti, allenatori di calcio e generali compresi. Mette le mani addosso. Poi si pente e chiede scusa. Parla di calcio quando non è il caso (morte di due soldati in Afganistan e polemica sul Siena). Dà i pestoni davanti alle telecamere, ride, si commuove, sbraita, canta, spezza le matite in diretta, si prende la testa fra le mani, sbarra gli occhi, grida rauco, e ancora grida, per il 150° ha pure disegnato due gioielli tricolori con smeraldi, zirconi, swaroski.
In costante stato di sovraeccitazione, disposto a perdere le staffe e ad andare sopra le righe ogni due per tre, il Moviolone di Ignazio Benito La Russa testimonia al di là della sua stessa spiccata fantasia i guasti arrecati al discorso pubblico dai profondi processi di personalizzazione del potere – ma un po´ anche l´inesorabile impulso di quest´ultimo a farsi male da solo.

La Repubblica 01.04.11