cultura

"L'Italia vista da Berselli", di Filippo Ceccarelli

Nei suoi ultimi testi la fantasia reclamava indipendenza e libertà il diritto di svolazzare sopra i luoghi comuni. Colpisce l´estrema varietà dei generi che poi riescono a fondersi grazie alla scrittura
Un volume che raccoglie tutti i libri dell´intellettuale scomparso un anno fa. Il paese raccontato nei suoi vizi e virtù. Quante volte viene da chiedersi cosa avrebbe scritto di Scilipoti, del bunga bunga e della guerra in Libia. Come pure sul nucleare: centrali sì o centrali no? E che mai ci avrebbe regalato su Lampedusa, Saviano, la rivoluzione araba e Mara Carfagna?
Perché la cronaca incalza, com´è nella natura del giornalismo: ma più spesso di quanto s´immagini il punto interrogativo, quella piccola spina che si fa sentire fra cronaca, commenti, cultura e sport, quel mite pungiglione che vivifica la più varia umanità, è come l´avrebbe decifrata, questa cronaca, Edmondo Berselli, che se n´è andato ormai da un anno, ma sembra assai di più, tanto più mancando il suo sguardo e le sue parole.
E a questi dubbi per così dire capitali e professionali, succede che se ne aggiungano altri minori, più generali e in qualche modo proiettivi: avrebbe perso quel suo sardonico buonumore davanti a ciò che torvo e buffonesco va accadendo? Si sarebbe fatto esaurire la pazienza di fronte a quelli che si prendono troppo sul serio e combinano pure guai, o magari avrebbe mollato la cruda attualità per rifugiarsi tra le cose apparentemente più lontane e più “sue”, quelle che salvano l´anima, l´arte, per dire, la musica, la natura?
Com´è abbastanza ovvio, la risposta soffia nel vento. Ma il risultato in fondo pure consolante di tutte queste domande sta proprio nel fatto di non poter rispondere, e questo perché la prima virtù di Berselli resta la sua pura imprevedibilità. Come dire: la sua fantasia e la sua indipendenza.
La seconda, la terza, e le altre virtù del poliedrico scrittore, dello studioso di grave leggerezza, del virtuoso della memoria, dell´inclassificabile polemista, adesso ciascuno può scoprirle o riscoprirle perché la Mondadori ripubblica tutte le sue opere in un volume dal titolo Quel gran pezzo dell´Italia, con un saggio introduttivo di Franco Marcoaldi (1464 pagine, 40 euro).
Il volume racchiude i nove libri scritti da Berselli in questi ultimi 15 anni: e subito colpisce l´intensa varietà dei generi, che pure nella scrittura non rimanevano mai separati, anzi ballavano, flirtavano, non di rado si fondevano l´un l´altro dando vita a quel sorvegliato disincanto sentimentale e autobiografico che è la sua cifra: dal calcio (Il più mancino dei tiri) ai destini della sinistra (Sinistrati, appunto), dalla colonna sonora di una generazione (Canzoni) a L´economia giusta, passando per i felici anni sessanta (Adulti con riserva), l´esito del riformismo geo-etnico della sua terra (Quel gran pezzo dell´Emilia), lo smottamento della modernità (Post-italiani), i tic degli intellettuali (Venerati maestri); fino alla reciproca conquista di Liù, un cane che dà il titolo e anche il senso al libro forse più poetico e anche più sereno di Berselli.
E a risfogliarlo commuove e insieme apre la porta alla speranza il capitolo in cui egli immagina di organizzare una festa in montagna per la sua Marzia che compie gli anni, «Venga chi vuole. È una festa dell´immaginazione, il sogno di un´altra realtà possibile. Come nelle vere iniziative d´epoca, l´importante non è partecipare fisicamente. Ciò che conta è esserci. O anche solo immaginare di esserci». E quel che segue, l´interminabile lista degli invitati, suona come il modo più elegante e sentimentale per congedarsi da questa terra, così li ricorda uno per uno, e li saluta, ma soprattutto sembra dare appuntamento a tutti quelli cui ha voluto bene.
Tanto più prezioso, questa specie di addio, quanto meno Edmondo era un tipo da piagnistei e sdolcinatezze. Al contrario, gli piaceva spargere sulla pagina una lieve, ma irresistibile nuvoletta sulfurea, senza però mai risultare malevolo. Aveva il gusto della parodia e l´amore per il gioco virtuoso dello sfottò, esercitava inoltre uno scetticismo ben temperato, ciò che di fronte alle peggiori e rimbombanti idiozie lo spingeva a «scuotere la testa e a dirsi e a dirgli: ma dai». (Senza il punto esclamativo). E anche a costo di sfidare la banalità e la retorica, che talvolta coincidono, ci si limita a far notare quanto l´odierno discorso pubblico avrebbe bisogno di sintetiche e misurate reazioni – o testimonianze che dir si vogliano.
Specie quando queste ultime scaturivano, com´è nel caso di Berselli, da spontaneo e limpido moto dell´animo, oltre che da profondità d´interpretazione, onnivora ampiezza di letture, attenzione ai processi di lungo respiro, sorpresa di collegamenti, autonomia di giudizio e via dicendo. Per farla breve: sono testi bene invecchiati. Quelli più immediatamente politici (Post-italiani e Sinistrati) acquistano a distanza una maggiore chiarezza e prospettiva. Mentre quelli dedicati al riverbero sociale del calcio e della musica oppure impegnati a sbertucciare il ceto dei colti con i dispositivi del cabaret, si rivelano anticipatori di approcci oggi sempre più necessitati come pure di fertili mescolanze.
Divertenti da rileggere sono le note, veri e propri backstage e insieme porte attraverso cui accedere all´interno di stanze per lo più inesplorate; e con lo stesso stato d´animo, ma con un tocco di nostalgia supplementare, ci si sofferma sui ringraziamenti dai quali viene fuori l´efficacia dell´officina berselliana, quel complesso e amichevole sistema di relazioni e illuminazioni, consulenze, chiacchiere, telefonate notturne, e riletture, dubbi, cortocircuiti, ripensamenti.
Tutto è stato Berselli fuorché un solitario, e infatti non c´è libro che si possa togliere da una dimensione collettiva, a volte perfino corale. Eppure, specie nei suoi ultimi scritti, la fantasia reclamava indipendenza, individualità, libertà, e rivendicava il diritto di svolazzare allegro sopra i vincoli della magniloquenza trombonesca e l´asprezza delle contrapposizioni pregiudiziali. A muovergli le ali, d´altra parte, era un´abbondante dose di buonsenso e una spiccata vena fantastica che a volte gli scappava anche di mano, e allora lo trasportava anche parecchio in alto, e sotto si vedevano le strade con il traffico, i viottoli abbandonati, le scorciatoie, quelle vere, quelle finte, e i dirupi da cui poi era impossibile venir fuori. O almeno, era impossibile risalire la china senza il calore della parola, che una volta lassù, a saperla riconoscere, diventa anche profetica.

La Repubblica 01.04.11