attualità, politica italiana

"Le clausole “segrete” tra Pdl-Bossi e Tunisia", di Francesco Lo Sardo

Maroni in missione dall’altra parte del Mediterraneo per trovare una soluzione facile a un problema difficile.
Tempo, serve tempo: cioè mesi. E serve molta discrezione, zero pubblicità, anzi silenzio: è questa la prima condizione posta da Tunisi. Niente dichiarazioni sopra le righe. E questo è il punto più debole dell’intesa tra Roma e Tunisi che, per le sue caratteristiche, assomiglia più a un patto segreto.
Dove per Roma deve intendersi in questo caso non già un governo, non una maggioranza: ma un patto di potere tra due contraenti, tra Bossi e Berlusconi, che si ricattano l’un l’altro. Ecco perché può saltare tutto. Basta che le teste calde della Lega, anche casi isolati, comincino a battere la grancassa della propaganda e che le Ong tunisine per i diritti umani contro i rimpatri di massa, per reazione, si scatenino contro il fragile governo provvisorio di Tunisi e nel paese nordafricano sarebbe il finimondo. Ma la Lega, alla fine, manterrà il patto o invece farà come lo scorpione della celebre fiaba di Esopo trasportato dalla rana-Pdl e non resisterà alla tentazione di infilzarlo? Riuscirà o vorrà Bossi, così come ha giurato due sere fa a Berlusconi, trattenersi dal gridare in campagna elettorale che – grazie alla linea dura della Lega – i tunisini sbarcati in Italia saranno «rimpatriati in massa» e che «solo pochissimi avranno un permesso temporaneo» che, ripete un insinuante tam-tam di maggioranza in queste ore, servirà a farli ricongiungere ai loro parenti in Francia e Germania, levandoceli così di torno? L’accordo trovato è un ordigno esplosivo. Basta nulla per farlo saltare. è un puzzle composto di molti pezzi. Soldi per aiutare la Rivoluzione tunisina, certo. E ne serviranno molti. Poi cooperazione e soprattutto mezzi navali per pattugliare le coste nordafricane, che però non saranno disponibili se non alla fine di aprile, rivelano a Europa fonti della Farnesina. I pezzi più difficili da gestire sono due. I rimpatri in deroga agli accordi Roma-Tunisi che consentano di far rientrare gruppi di 40-50 tunisini al giorno e non soltanto 4-5. E poi i permessi temporanei per quanti riescono a dimostrare di avere parenti in altri paesi europei cui ricongiungersi per «alleggerire la pressione» dei numeri.
Due meccanismi che però richiedono tempo: l’Italia non sarà «svuotata» dai tunisini in quattro e quattr’otto, come vorrebbe strombazzare la Lega.
Zero enfasi e zero campagne razziste e xenofobe, pretende Tunisi. Berlusconi ha detto di sì, ora sta alla Lega ingoiare il rospo.
Il guaio del Carroccio è che i tunisini resteranno in Italia per un po’ e la querelle sui campi di accoglienza e su quali regioni debbano ospitarli resta lì, alimentando fratture nella Lega: tra lombardi, veneti e piemontesi e anche al loro interno.
Le tensioni, nel Carroccio, sono fortissime. Ieri il capo dei leghisti in regione Lombardia Boni minacciava addirittura l’apertura di «una crisi di governo » se l’emergenza non si risolverà presto: «Il nostro elettorato è furioso e quando Bossi dice “Fora di ball” si riferisce a una tensione vera della nostra gente ». Boni poi ha smentito, ma il sentire della pancia leghista è esattamente quello. «L’assenso ai permessi temporanei dimostra che la Lega è un alleato prezioso e un’autentica forza di governo », dice il Pdl per adulare lo stato maggiore del Carroccio.
Ma la “base” reggerà? E quali conseguenze avrà sull’elettorato leghista alle amministrative il patto Pdl-Lega-Tunisi? Si vedrà. Certo che, se mai si salveranno dalla catastrofe emergenza migranti creata ad hoc per i cinici calcoli elettorali di Bossi e Maroni – su cui la Lega e il Pdl avrebbero continuato a scannarsi in piena campagna elettorale – quelli della maggioranza dovranno dire grazie alla legge Turco-Napolitano sulle misure di protezione temporanea per rilevanti esigenze umanitarie: è lì che nascono i permessi di soggiorno temporanei.

da Europa Quotidiano

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“Niente tendopoli, la Toscana fa scuola”, di Fabrizia Bagozzi

Il governatore Rossi la spunta sul ministro e dà la linea sull’accoglienza degli immigrati in fuga.
Manduria contro Firenze.
Tendopoli da 2000 persone contro piccoli numeri dislocati in strutture degli enti locali, della Caritas, del volontariato che in tutta Italia si sono messe in campo per fronteggiare l’emergenza.
Di fronte alle forzature di Maroni – inclusa la distinzione fra profughi e clandestini e il conseguente interminabile cordone sanitario attorno a Lampedusa – che hanno prodotto i megacampi delle fughe di massa, il governatore della Toscana Enrico Rossi ha messo le mani avanti contrapponendo una sorta di accoglienza dal volto umano. E più sicura.
Cinquecento immigrati – 300 sono arrivati la scorsa notte – da ospitare in 14 centri in 7 province da Livorno a Grosseto. A Firenze addirittura in pieno centro storico, nella casa per stranieri e indigenti gestita dal comune a San Frediano (12 persone) e nella villa Pieragnoli della Caritas, che ha messo a disposizione anche una sua piccola casa a Sesto Fiorentino (30 ospiti). Dislocazioni che, mentre procedeva il piano di trasferimento del Viminale nei grandi campi ( 700 tunisini a Trapani, 500 a Santa Maria Capua a Vetere, 680 a Civitavecchia, 500 a Caltanissetta) si sono svolte ieri senza particolari problemi con l’eccezione di Calambrone (Pisa), dove dovevano arrivare in 50 che, dopo proteste inscenate da residenti e albergatori, sono stati dislocati altrove.
Pieno centro storico a Firenze e senza barricate. Una cosa impensabile nel Nord a trazione leghista dei Cota e degli Zaia.
Basti pensare che nella Padova guidata dal democratico Flavio Zanonato, responsabile immigrazione dell’Anci, alla sola ipotesi di allestimento della caserma Romagnoli – che anche grazie al pressing di Zaia non si farà – sono riusciti a fare fuoco e fiamme nella forma contro il sindaco, nella sostanza contro il proprio ministro dell’interno a cui si deve l’idea. Intanto Zanonato ribadisce che «le tendopoli sono la soluzione peggiore», e ricorda che per l’Anci il modello è quello toscano. «La regione si fa carico del numero di immigrati che gli spetta e poi il governatore ragiona con enti locali e volontariato per trovare il modo di accogliere senza traumi». A Padova niente grandi campi, semmai piccoli numeri proporzionati alla popolazione, e in centri compatibili.
E il modello Toscana fa scuola fra gli altri governatori.
Nelle Marche, in Liguria, ma anche nelle regioni di centrodestra.
Renata Polverini ha già annunciato che i tunisini verranno distribuiti con la collaborazione delle congregazioni religiose e che il megacentro di Civitavecchia è una soluzione transitoria in vista di «sistemazioni più adeguate». Rimane da vedere come si muoveranno la Campania di Caldoro, la Lombardia di Formigoni o la Sicilia di Lombardo e se il Piemonte di Cota, obtorto collo, seguirà gli auspici del sindaco di Torino Chiamparino, che ha fermato la tendopoli della Continassa non per bloccare l’accoglienza ma per capire meglio chi – immigrati con protezione umanitaria o clandestini ? – e quanti arriveranno in città. Di questo si parlerà oggi, ad accordo siglato e dunque con molte certezze in più su numeri e status giuridico degli immigrati, nella cabina di regia post-Tunisi di palazzo Chigi.
Con la protezione umanitaria sarà tutto più semplice.
Ovunque è in campo il volontariato.
Nell’ultima settimana a Lampedusa la Croce Rossa ha assistito 1000 persone. E Caritas italiana ha messo a disposizione 2.500 posti sparsi in 93 diocesi: due terzi al Nord (Lombardia, Liguria, Emilia Romagna, Veneto), un terzo al Sud con epicentro a Piana degli Albanesi e Trapani, dove gestisce due strutture da 200 posti. Fin dall’inizio dell’emergenza la Caritas ha ribaditola sua disponibilità insistendo, però, sull’importanza della protezione umanitaria per un’accoglienza decorosa, anche perché i suoi centri non sono né possono essere utilizzati come Cie. E considerando le tendopoli come extrema ratio.

da Europa Quotidiano 06.04.11