cultura

"Goodbye Mama", di Natalia Aspesi

In questi giorni di dissoluzione del nostro Paese, è certo fuori luogo soffermarsi sul disagio e sul senso di vergogna che procura la pochezza di un film, già irriso prima ancora di essere stato visto, con quel tipo di mesto sberleffo che ormai si riserva alle gaffe, ai pasticci, alle porcherie, che quotidianamente si sovrappongono a ben più insopportabili orrori. Finalmente l’abbiamo visto questo “Good-bye mama”, film di massima sgangheratezza, e questo sono cavoli suoi, se non fosse costato soldi italiani, quindi nostri, e imposto dall’alto, da quel tipo di potenti che basta chiedere e loro, non a loro spese, concedono. Dragomira Boneva, in arte Michelle Bonev, bulgara diventata italiana, ha prodotto, scritto, diretto, interpretato, come se non avesse mai visto un film, una storia di lacrime stantie, in cui lei si è scelta il ruolo che alle pessime attrici viene meglio, quella della malvagia, che schernisce il misero e il sofferente, e guarda dall’alto in basso, con sorriso crudele, tutti gli altri. Con rozzezza comunicativa, mutuata dalle sue conoscenze prestigiose, tra cui il primo ministro bulgaro, la bella alta, bionda, tettona quarantenne Bonev, come protagonista di nome Jana, quando mostra i buoni fa vedere sulla scrivania una foto del Papa e una di Berlusconi, quando deve illustrare i crudeli, gli mette vicino la foto di Stalin. Neanche Carolina Invernizio avrebbe inventato una storia così demente: Bonev, ragazza cacciata di casa dai genitori, passa attraverso numerosi bunga bunga in cucine bulgare e rimasta incinta, sposa il responsabile che si rivela buon padre, fino a quando si risposa e diventa cattivo padre. Intanto lei non solo continua i bunga bunga e sempre in cucine anguste, con sirtaki e scopate, ma per portar via l’appartamentino alla vecchissima mamma, la trascina in un ospizio tutto scrostato tenuto da nostalgici del comunismo che infatti ghignano torturando e guai se i poveri vecchi vomitano per le loro minestre marce! Ma le due figlie della figlia malvagia, che da piccine venivano frustrate perché non sapevano 6×8=48, sono venute su buone. E con l’aiuto di una avvenente avvocatessa, (intanto si sospetta, dalla foto di B. che sia arrivata una democrazia bulgara), tolgono la vecchia dall’ospizio veterocomunista e la mettono in un posto da ricchi similberlusconiani, dove però muore e buonanotte. L’avvenente avvocatessa è Licia Nunez, anche produttrice, che al secolo si chiama Licia Del Curatolo, ed era una delle perle che Gianpaolo Tarantini portava alle feste che contano, a palazzo qua e palazzo là. Oggi le belle ragazze hanno mille strade per realizzare i loro sogni, anche i più perversi, basta trovare il benefattore che dà loro una mano nei momenti di difficoltà: e c’è chi va all’Isola dei famosi, chi diventa onorevole, chi teleattrice, chi ministro: ma forse giustamente più sicura dei suoi meriti e delle sue amicizie, Bonev ha, praticamente da sola, a parte l’aspetto finanziario, fatto un film che secondo lei meritava il Leone d’oro al Festival di Venezia, prima di approdare all’Oscar per il miglior film straniero. Non è andata proprio così, ma pazienza. In settembre, al Lido, infatti, le speranze e le ambizioni-presunzioni di Bonev si sono incasinate. C’era, è vero, il tappeto rosso, promesso, c’erano ad accoglierla il presidente della Biennale Baratta, il direttore del Festival Muller, la ministra delle Pari Opportunità Carfagna, non il ministro dei beni culturali Bondi, forse già in depressione, ma il suo vice Giro, il ministro dell’agricoltura Galan che forse già aspirava ai Beni Culturali e quale miglior occasione di questa, dar lustro con la sua presenza a un film non ancora visto, ma certamente di valore in quanto molto raccomandato? Il film, dato nel pomeriggio in una salettina comunque semivuota, non aveva attirato un solo giornalista, salvo poi essere decantato dal Tg1, prono ad ogni cenno del potere, come opera “molto interessante”. Ci fu anche un premio, piuttosto improvvisato. Quel giorno, 3 settembre, l’onorevole Pdl Debora Bergamini, doveva premiare i vincitori di una rassegna da lei sponsorizzata “Action for Women”, destinato a corti sotto i 5 minuti passati da YouTube, sul tema della violenza contro le donne. Il premio assegnato da una illustre giuria lo vinse “Il mio primo schiaffo” di Corrado Ceron. Poco dopo, non sapendo che premio inventarsi, lo stesso fu assegnato a “Good bye mama”, lungo 100 minuti, mai passato per YouTube, in cui la protagonista è una donna, però cattivissima e le cui azioni sono non “for” ma contro le donne, addirittura la vecchia mamma! Imbroglio desolato, ed è bastata la parola magica, lo ha chiesto chi conta, perché, mentre il ministero della cultura bulgaro non sganciava un soldo, toccava al nostro pagare viaggio e soggiorno e cene e tutto a una trentina di invitati bulgari al seguito della potente amica dei potenti. Il film è costato 3 milioni e 300 mila euro e in Bulgaria giurano di non aver sborsato più di 160 euro. Per farcelo vedere in 80 cinema, Raicinema ha pagato un milione.

da http://trovacinema.repubblica.it/film/critica/dettaglio/goodbye-mama/400838/401481