attualità, politica italiana

"Il fallimento di Bruxelles è figlio di un'assenza di leadership", di Stefano Folli

La giornata di ieri è a suo modo memorabile, ma non in senso positivo. Da un lato, l’Italia ha conosciuto un grave smacco politico-diplomatico e si è trovata del tutto isolata in Europa sulla questione immigrazione. Dall’altro, il presidente del Consiglio ha scelto il piazzale antistante il tribunale di Milano per arringare i suoi sostenitori ivi convenuti e attaccare con asprezza i magistrati. Berlusconi ha anche reso nota una nuova versione del «caso Ruby»: le ho dato dei soldi, ha detto il premier riferendosi alla giovane, per dissuaderla dalla prostituzione.

Così, nell’arco di poche ore, abbiamo assistito ai due estremi entro cui si sta avvitando la politica nazionale. Nell’assenza di una vera «leadership» di governo, il ministro dell’Interno Maroni ha dovuto sbrigarsela da solo a Bruxelles e il suo fallimento era annunciato. Fanno impressione i suoi commenti dopo il vertice dell’Unione. Soprattutto una frase («meglio soli che male accompagnati») che ricorda il motto attribuito a certi vecchi inglesi: «nebbia sulla Manica, il continente è isolato».

Purtroppo in questo caso la nebbia di Bruxelles danneggia l’Italia. Secondo il ministro degli Esteri Frattini, il rifiuto di accettare il nostro punto di vista sugli immigrati tunisini segna il trionfo degli «egoismi nazionali». Il che è vero solo in parte, perché stavolta gli europei non sono andati in ordine sparso. Francesi e tedeschi hanno fatto muro, con il sostanziale avallo della Gran Bretagna. Più che di egoismi nazionali si dovrebbe parlare di un patto continentale, o meglio nord-europeo, che ha tagliato fuori l’Italia, troppo debole sul piano politico per far valere le proprie ragioni.

Ci è stato comunicato che i numeri dell’immigrazione sono troppo modesti per far scattare un più alto livello di solidarietà comunitaria. I «visti temporanei» sono stati giudicati una furbizia per liberarsi di qualche migliaio di rifugiati ed è passata una lettura rigorosa, ma non arbitraria, degli accordi di Schengen. In condizioni normali l’Italia avrebbe negoziato al livello dei capi di governo un compromesso onorevole. Così non è stato e i nostri rappresentanti sono andati allo sbaraglio.

Ora la domanda è: continuerà l’assenza di «leadership» e fino a quando? Se così fosse, sarebbero in grave pericolo le relazioni con l’Unione, ossia il caposaldo della presenza italiana sulla scena internazionale. Non a caso certi segnali dicono che si prepara una risposta tra l’approssimativo e il provinciale. Da Maroni che si chiede «ma a cosa serve questa Europa?» a Calderoli che vuole dirottare da un giorno all’altro i soldati da Libano e Kosovo per avviare il blocco delle nostre coste.

L’isolazionismo è ovviamente impraticabile, ma la sola tentazione costituisce un grave errore. Un errore figlio peraltro di uno stato di confusione e di rabbia, in cui la Lega si preoccupa del suo elettorato smarrito e non vuole trovarsi a pagare da sola il prezzo di scelte sbagliate. Ma chi può riannodare i fili con l’Europa? Dovrebbe essere il premier Berlusconi che invece è impegnato nell’estremo duello con la procura di Milano. La contraddizione non potrebbe essere più drammatica. Tanto più che lo stesso Pdl appare in preda a una serie di convulsioni interne. Nei giorni scorsi gli ambienti della maggioranza si lamentavano del ruolo di «supplenza» governativa assunto da Napolitano. In realtà il Quirinale è oggi il soggetto che meglio può sanare la frattura con gli europei. Pensando al futuro del paese.

Il Sole 24 Ore 12.04.11

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“Napolitano: non scherziamo sull’Europa”, di Dino Pesole

ROMA – Ipotesi, scenari che non hanno alcuna ragion d’essere. Con un avvertimento: «Non scherziamo sull’Europa». Giorgio Napolitano segue dal Quirinale con preoccupazione l’escalation di polemiche sulla gestione dell’emergenza migranti. Il commento del ministro dell’Interno Roberto Maroni dal Lussemburgo, in cui si arriva addirittura a ipotizzare l’uscita del paese dall’Unione europea, non viene nemmeno preso in considerazione. In sostanza, è derubricato a una battuta infelice, motivata dalla delusione sulla linea adottata in sede europea.

Non si nega tuttavia al Colle che il problema esista, e che l’Italia, come del resto ha osservato lo stesso presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi d’intesa con Maroni, non abbia ricevuto dai gioverni europei il sostegno che era lecito attendersi. Prevalgono gli egoismi nazionali, ma non per questo occorre rinunciare a quella che il presidente della Repubblica ritiene essere l’unica via d’uscita dall’emergenza: direttrici comuni, linee d’azione condivise. Occorrerà del tempo, ma quella è la strada.

Al Colle i collaboratori di Napolitano pongono l’accento sull’impegno, anche diretto e personale, che il Capo dello Stato ha profuso in sede europea nelle ultime settimane sul tema caldo dell’immigrazione. Giovedì scorso ha anche apprezzato l’intesa raggiunta tra governo e autonomie locali, dandone pubblicamente atto agli stessi Berlusconi e Maroni. Poi a Budapest ha posto nuovamente l’accento sulla ncessità che l’Europa batta un colpo. La netta opposizione di Francia e Germania ai permessi temporanei, fatta propria ieri dal vertice dei ministri europei dell’Interno, mostra che la strada è in salita. Ma si può per questo evocare uno scenario che non ha alcun fondamento logico?

Al contrario – ragiona Napolitano – proprio l’esito del vertice di ieri in Lussemburgo mostra che occorre intensificare ancor più gli sforzi in sede europea. In sostanza, occorre riannodare le fila, senza cedere il passo a reazioni estemporanee. L’Italia deve in poche parole perseguire «tenacemente elementi di politica comune dell’Europa anche sull’immigrazione, senza prendere in considerazione posizioni di ritorsione, dispetto o addirittura ipotesi di separazione». Riflessioni che valevano alcuni giorni fa e ancor più adesso, osservano al Colle, dopo lo stop in sede europea ai permessi temporanei.

Sulle politiche per l’immigrazione l’Europa si gioca una parte del suo futuro. «Non abbiamo molto tempo per rinnovare e riaffermare il ruolo dell’Unione europea nel mondo», ripete il presidente della Repubblica. Come ha osservato sabato scorso nel corso del suo intervento all’incontro multilaterale dei Capi di Stato «Uniti per l’Europa», il 2020 è dietro l’angolo». Gli impegni sottoscritti dalla cosiddetta agenda 2020 vanno onorati nell’arco di quell’orizzonte temporale. Da qui il reiterato invito ad «affrontare nuove e complesse sfide con autentico spirito europeo evitando meschinità nazionali e illusioni di autosufficienza». Altro che «uscire dall’Europa»! Al contrario – ribadisce Napolitano – occorre «dare contenuti a una politica estera e di sicurezza comune anche cooperando effettivamente allo sviluppo dei paesi della sponda sud del Mediterraneo». L’Italia è stata lasciata sola ad affrontare l’emergenza migranti, come sostengono Berlusconi e Maroni? Se è così, ancora una volta, la strada non può essere europea. Nel mondo globalizzato, nessuno può coltivare ancora l’illusione di «farcela da solo».

Il Sole 24 Ore 12.04.11