attualità, politica italiana

"Giudici-Br, premier dixit", di Mario Lavia

Miguel Mora è uno dei migliori corrispondenti esteri da Roma, scrive per El Pais, molti ricorderanno un suo scontro con il premier italiano durante una conferenza stampa del settembre 2009 – era l’epoca di quel caso D’Addario che oggi fa quasi tenerezza rispetto a quello che è successo dopo. Domenica il quotidiano spagnolo ha pubblicato due pagine di Mora per raccontare l’ormai famosa cena del 12 aprile con i giornalisti stranieri.
Un concentrato il cui ingrediente più pepato sta nella frase: «Le Brigate rosse usavano i mitra, i procuratori usano il potere della giustizia contro la democrazia». Frase non smentita da palazzo Chigi. Dunque, vera.
E d’altronde dal fortino berlusconiano non si era nemmeno smentita un’altra ricostruzione, stavolta non di un giornale progressista ma addirittura di Libero che il 6 aprile aveva dato notizia di un ennesimo sfogo nel quale il premier aveva detto «i giudici agiscono come i brigatisti».
Nulla di nuovo, pertanto. Ci sono tanti deputati del Pdl che di fronte a queste evidenze allargano le braccia: «E dove sta la notizia? Berlusconi, e io con lui – ci dice uno che da sempre col Cavaliere ha un fortissimo idem sentire – questa equiparazione fra brigatisti e procuratori l’ha sempre fatta». Il perché è presto detto: identificando se stesso con lo stato, alla maniera dei re assolutisti (ma quelli non conoscevano la separazione dei poteri e la concezione dello stato moderno), Berlusconi sovrappone l’attacco al cuore dello stato al controllo di legalità che purtroppo per lui e per l’Italia talvolta finisce per appuntarsi sulla sua persona, e poco importa se nel primo caso si adoperano le armi e nel secondo i codici. Mezzi diversi, stessa finalità: l’eversione.
La novità è che questa concezione malata ed essa sì eversiva finisce sui muri della civile Milano ad inquinare sin dalle primissime battute una campagna elettorale che dovrebbe vertere sul bilancio della giunta Moratti e sulle idee per la città. E dunque non è davvero sbagliato affermare che gli ignobili manifesti del candidato Lassini («Fuori le Br dalle procure») ripetano pari pari il concetto che il premier aveva espresso off the record alla cena con i giornalisti stranieri e qualche giorno prima in una riunione con i suoi più stretti seguaci.
Ecco perché le contromisure del Pdl milanese per ovviare alla ignominia del candidato Lassini sono sgangherate. Sì, lo hanno mollato: e lui penosamente si cosparge il capo di cenere, chiede scusa al capo dello stato e annuncia che non farà la campagna elettorale (ma c’è chi scommette che prenderà un mare di preferenze). Questo però comporterebbe, se la logica ha un senso, la fine della campagna di Berlusconi, il capolista, il vero “ispiratore” del Lassini, il suggeritore nemmeno tanto occulto della campagna d’odio anti-giudici stampata sui manifesti milanesi.
Mentre si apprende (Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera) che nella vicenda risulta indagato Giacomo Di Capua, capo della segreteria di Mario Mantovani, sottosegretario e organizzatore delle sceneggiate “azzurre” davanti al tribunale milanese, vero punto di riferimento del Lassini, e compaiono attacchini, ditte, tipografie, tutto un ambaradan organizzativo che incastra politicamente il Pdl di Milano, fa ridere lo scaricabarile su un mattocchio più realista del re, lui è solo l’ultima ruota del carro al seguito del Conducator.

da Europa Quotidiano 20.04.11