attualità, politica italiana

Napolitano marca le distanze: Il Colle non scende in guerra", di Marcella Ciarnelli

Nessuna eco al Quirinale dell’iniziativa di Remigio Ceroni. Anche fosse farina del sacco di qualcun altro, non sono certo questi argomenti a muovere gli interventi di Napolitano. Che non abbocca alle brame di guerra altrui.
L’iniziativa «personale» del deputato Remigio Ceroni non ha trovato alcuna eco al Quirinale nonostante il fin qui sconosciuto, a dispetto del suo stare praticamente sempre in Parlamento, parlamentare marchigiano abbia chiamato in causa esplicitamente il presidente Napolitano parlando di «ingerenza inaccettabile» a proposito dell’iter di alcune leggi. Silenzio al Colle. In una situazione come quella di questi giorni, in cui appare sempre più evidente il desiderio di vedergli compiere un errore, di vedergli, per così dire un’invasione di campo, il Capo dello Stato era abbastanza scontato che non intervenisse in alcun modo sulla iniziativa, legittima anche se sorprendente, dell’onorevole. Non restava davanti ad essa, un altro segnale di quella voglia di creare un clima di tensione, di impegnarsi in piccole ma significative prove di forza, che mantenere un giusto distacco. Pena l’accusa di non riconoscere ad un eletto dal popolo la libertà di opinione e di iniziativa.
Peraltro in questi giorni difficili sono già troppi i motivi di preoccupazione perché ci si metta ad inseguire le trovate di un parlamentare che d’improvviso decide di modificare la Costituzione e, per giunta, in uno dei suoi articoli, il primo, fin qui considerato intangibile, uno dei principi fondamentali. Ancora più sorprendente l’intenzione di stabilire una graduatoria di importanza tra gli organi costituzionali privilegiando proprio quel Parlamento che la parte politica del Ceroni non fa funzionare se non nell’interesse del premier. Contraddizioni. Provocazioni. Voglia di scontro piuttosto che di confronto nonostante il più volte ripetuto invito di Napolitano, a tutte le parti, a «non esasperare il clima» ma puntando, piuttosto al confronto. E non è certo con le iniziative personali che tendono a stabilire «la centralità del Parlamento nel sistema istituzionale» che si ristabilisce un clima di dialogo costruttivo nell’interesse del Paese. Il primo effetto evidente è stato solo la sovraesposizione mediatica di un deputato di cui fin qui non si conosceva neanche il nome. Però è anche vero che in altre occasioni «l’iniziativa personale» è poi diventata patrimonio dell’intera maggioranza nella battaglia parlamentare. Questa volta, almeno per ora, Ceroni sembra destinato ad una (forse) imprevista solitudine. Chissà se si aspettava di essere mollato così in fretta dai suoi colleghi di coalizione. Al momento è così. Poi si vedrà .
Il premier intanto scalpita. Lui al Quirinale vorrebbe salirci di persona per cercare ancora una volta di illustrare le necessità inderogabili di ampliare il numero dei componenti del suo governo. Se il famoso rimpasto di cui tanto si parla, ma su cui anche ieri su tempi e modi, sono state riportate contraddittorie informazioni da due autorevoli esponenti del Pdl alla fine dello stesso vertice, passa per le forche caudine di un numero maggiore di poltrone rispetto a quelle previste dalla normativa in vigore. Su questo il presidente della Repubblica è stato chiaro fin dalla prima richiesta. Se si tratta di ricevere informazioni e presentazioni dei candidati, porte aperte. Ma l’aumento del numero può passare solo per un disegno di legge che dovrà compiere il suo completo iter parlamentare. Ed a proposito di riforme c’è sem-
pre quell’espresso desiderio di inviare al Colle il ministro Alfano per ulteriori approfondimenti sulla «epocale» riforma della giustizia. Finora non c’è stata alcuna richiesta. Peraltro il presidente della Repubblica, parlando per ultimo a Praga nei giorni scorsi, ha fatto ben intendere che non c’è alcun bisogno di ricevere ulteriori spiegazione. Al momento opportuno, quando l’itinerario in Parlamento sarà compiuto, entreranno in campo le prerogative del Presidente che valuterà il testo con l’attenzione di sempre. Ben nota a tutti.

l’Unità 21.4.11

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“Il retroscena. Dopo Lassini, Ceroni Silvio lancia gli scagnozzi”, di Ninni Andriolo

Altro che tregua. C’è chi fa il lavoro sporco per il Capo, che si dice «all’oscuro». Ma ormai la strategia è evidente e svelata anche da Ferrara: trasformare Napolitano in un avversario Nuova promessa ai Responsabili: rimpasto subito dopo Pasqua: «Salirò al Colle per le nomine». Altro che «tregua pasquale»! I primi a non credere al Cavaliere erano stati i pdl destinatari del consiglio. Con l’esodo alle porte e la colomba sulla tavola di milioni di italiani, la promessa di «abbassare i toni» appariva ai consiglieri del premier una mossa sensata, anche se poco realistica. Ieri, per la verità, Silvio si è detto «all’oscuro», ma tutte le indiscrezioni fatte trapelare da Palazzo Grazioli segnalavano l’escalation di propositi di guerra. Dal conflitto sollevato davanti la Consulta contro i giudici milanesi del processo Mediaset che non ritennero legittimo l’impedimento accampato dal premier; alla carica data a coordinatori e capigruppo Pdl convocati a Palazzo Grazioli per trasformare le amministrative nella resa dei conti con le procure che «perseguitano» Silvio; fino alla nuova sfida al Capo dello Stato per interposta persona.
Se il clima che fomenta il Cavaliere è quello dello scontro «perché serve a vincere, e i sondaggi lo dimostrano» come si fa poi a sostenere che un tal Ceroni sia partito in quarta con l’idea di riscrivere l’articolo 1 della Costituzione, solo «a titolo personale»? Come Lassini ha preso alla lettera sui manifesti il Cavaliere sul «brigatismo giudiziario», Ceroni ha trasformato in disegno di legge di riforma costituzionale gli attacchi del premier a pm, Consulta e Quirinale. I fedelissimi di Silvio prendono le distanze, ma giustificano. «Ceroni ha cercato di ribadire la centralità del Parlamento spiega Giorgio Stracquadanio Sinistra e Udc non sono interessati al tema solo perché alla Camera e al Senato la maggioranza è di centrodestra?».
Il gesto dell’azzurro che «sbaglia», in realtà, suona come l’ennesimo tentativo di trascinare Napolitano nella contesa per non farlo apparire «super partes» nello «scontro finale» sulla riforma ad personam della giustizia. Un’offensiva che passa per le amministrative dove Silvio «ha messo la faccia». Ieri, i maggiorenti riuniti a Palazzo Grazioli, hanno fissato due grandi manifestazioni elettorali con Berlusconi, il 7 maggio a Milano e il 13 a Napoli. Ai milanesi, tra l’altro, il Cavaliere invierà una lettera personale. A dispetto della propaganda sulla «vittoria certissima», l’astensionismo che si registra nell’elettorato di centrodestra preoccupa il premier. Concentrato sulla «battaglia campale» del voto, Berlusconi avrebbe voluto occuparsi il meno possibile dei responsabili.
Ieri, però, Scilipoti&Co gli hanno ricordato che grazie a loro è stato evitato «il golpe» del 14 dicembre. E il premier è stato costretto a ricevere Luciano Sardelli per l’ennesima volta. La promessa? La stessa, inevasa, delle settimane scorse: «il rimpasto di governo». Sarà la volta buona per Pionati, Calearo e soci? Dopo Pasqua nove sottosegretari e uno/due viceministri: questa la promessa solenne del Cavaliere al capogruppo alla Camera di Ir.
Impegni fatti apposta per mandare su tutte le furie azzurri e leghisti in lista d’attesa per uno strapuntino di governo, sacrificati alle ragioni del «figliol prodico che ritorna» malgrado la fedeltà dimostrata a Silvio. Per loro, però, il Cavaliere annuncia un disegno di legge ad hoc per allargare le panchine di governo. Un altro espediente, a ben vedere, per gettare altra benzina sul fuoco dei rapporti con il Colle.

L’Unità 21.04.11