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Precaria, incinta, licenziata. "Non chiedevo la luna", di Emanuele Di Nicola

Katia ha 36 anni. Dottorato e master. Dopo 5 anni di contratto a progetto con mansioni da dipendente, Italia Lavoro la manda a casa al sesto mese di gravidanza. “Mi chiedo cosa potrò offrire a mia figlia”. E’ una società del ministero del Lavoro gestita con soldi pubblici. Ma non esita a licenziare una donna incinta al sesto mese di gravidanza, insieme a molti altri lavoratori. Una situazione davvero paradossale quella dell’agenzia Italia Lavoro, che adesso rischia di perdere i ricorsi e pagare i risarcimenti con i soldi dei cittadini italiani. All’interno di questo caso, poi, c’è la vicenda personale di Katia Scannavini: 36 anni, laureata con master, mandata a casa dall’agenzia dopo cinque anni di contratto a progetto, in piena gravidanza. A lei abbiamo chiesto di raccontarci come sono andate le cose.

Com’è iniziata la tua vicenda?

Sono arrivata nel 2006 in Italia Lavoro, agenzia totalmente partecipata dal ministero dell’Economia, che prende commesse dal ministero del Lavoro. Sono laureata in Sociologia, con un master in immigrazione e dottorato di ricerca. Cinque anni fa sono stata presa con un contratto a progetto: ho accettato nonostante i miei titoli di studio, considerando la nostra epoca di grande precarietà.

Nello specifico, quali mansioni hai svolto?

Ho lavorato a un progetto che si occupa di immigrazione. Ho fatto l’addetta dell’agenzia con continui rinnovi di contratti a termine. In realtà, però, nei primi anni avevo un rapporto di lavoro subordinato: mi venivano chiesti orari fissi di presenza e il piano ferie. Avevo tutti i doveri del lavoratore subordinato senza averne i diritti, come la copertura di malattia.

Quindi un caso di inquadramento irregolare.

Esatto, era evidente che lavoravo come subordinata. Dopo un anno e mezzo sono passata a “professional”, mi hanno inserita in un’unità strategica aziendale. Ne facevo parte come collaboratrice insieme a una decina di altre persone, che invece erano dipendenti di primo livello, ovvero un gradino sotto ai dirigenti. Negli ultimi anni non venivano più controllati orari di entrata e uscita, ma comunicavo settimanalmente le mie presenze e assenze.

Poi cosa è accaduto?

E’ uscito il collegato lavoro di Sacconi. Tra le norme previste c’era la facoltà di congelare la propria situazione per i lavoratori a termine, ma solo entro una breve scadenza. Ho subito pensato che non volevo rinunciare ai miei diritti, dato che ho sempre svolto mansioni diverse da quelle previste dal contratto. Quindi a gennaio ho inviato una lettera all’azienda, come previsto dal collegato.

Ti aspettavi qualcosa?

Non speravo nel contratto a tempo indeterminato: il precario ha sempre paura a volerlo, ti sembra di chiedere la luna. Ho mandato la lettera in termini interlocutori, confidando nel bacino di prelazione attivato dall’azienda: questo dice che i collaboratori a progetto hanno priorità di assunzione se si formano nuove possibilità di lavoro.

A quel punto hai comunicato anche la gravidanza.

Ho reso nota subito la mia situazione. Ho informato sia il capo progetto che l’amministrazione delle risorse umane. In particolare, questa mi disse di comunicare il desiderio di andare in maternità al compimento del sesto mese. Esattamente quello che ho fatto.

La loro reazione?

All’inizio non hanno detto niente, hanno promesso di rispondere in tempi brevi. La risposta è stata una raccomandata: l’azienda si dichiara impossibilitata a continuare il rapporto di lavoro, adducendo come motivazione la lettera inviata a gennaio. Mi hanno licenziata il 9 aprile 2011.

Quando lo fai presente, come risponde l’azienda?

Sostiene che tecnicamente non si tratta di licenziamento, perché non ero legata a loro da un contratto a tempo indeterminato. E’ una disputa formale, ma nella sostanza non cambia nulla: sono stata mandata a casa. Inoltre l’azienda si dichiara dispiaciuta perché si sta riorganizzando in termini di risorse umane, ma è curioso che lo faccia senza convocare e ascoltare i propri lavoratori.

Quali sono i prossimi passi?

Procederò in termini legali, proprio come faranno gli altri colleghi licenziati. Italia Lavoro ha tanti contenziosi aperti negli ultimi anni, ha già perso molte cause, e adesso arriveranno circa una trentina di nuove vertenze. E’ molto probabile che le perderà perché abbiamo prove oggettive. E in questo caso pagherà lo Stato, dato che l’azienda lavora con soldi pubblici. Insomma, dopo aver denunciato la gravità della crisi e chiesto sacrifici, proprio il ministero rischia di causare gravi esborsi alle tasche dei contribuenti.

In Italia è possibile lasciare a casa una donna in gravidanza, indicando un’altra motivazione. Quale impressione ti lascia la tua storia?

Penso che manchi un’etica del lavoro. Nel mio caso l’azienda ha ritenuto di essere in posizione di potere e di potersi comportare come crede. Ma io ho lavorato sempre con onestà, non sono entrata per vie clientelari ma per colloquio, quindi vado avanti con tranquillità nella vertenza. In generale, nel nostro paese vedo politiche del lavoro assolutamente inique, manca l’uguaglianza e il rispetto vero dei diritti. Oggi due generazioni sono alla deriva, insieme alla mia c’è anche quella tra i 20 e i 30 anni: questo non è dovuto alla crisi, ma proprio alla mancanza di politiche adeguate che finiscono per colpire diverse fasce di età.

E non è facile farsi una famiglia, se questi sono i presupposti.

Il mio caso è incredibile: prima si lamenta il deficit di natalità poi, quando una donna sceglie di restare incinta a 36 anni, il tuo datore – che è il ministero del Lavoro – si comporta in questo modo. Mi auguro che i ministri Sacconi e Carfagna si occupino della questione e forniscano risposte adeguate. Spesso mi domando: cosa sarebbe successo se la raccomandata dell’azienda fosse arrivata al secondo mese di gravidanza? Avrei anche potuto pensare di abortire. Ecco le nostre politiche della famiglia. Oggi sono felicissima di avere una figlia, ma mi chiedo cosa potrò offrirle con questo mercato del lavoro.

da Rassegna.it