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"Errori umani e altro. Quello che il disastro non ci ha insegnato", di Pietro Greco

Difetti di informazione e comunicazione minano la gestione delle emergenze. Casi recenti: gli incidenti alla piattaforma petrolifera nel Golfo del Messico e alla centrale di Fukushima. Tutto inizia all’1:23:45 del 26 aprile 1986, alla centrale nucleare Vladimir I. Lenin di Chernobyl in Ucraina: la temperatura del reattore numero 4 aumenta in maniera incontrollata e si verifica un’esplosione che scaglia nella stratosfera una nube radioattiva, che nel giro di alcuni giorni si diffonde prima sull’Europa e poi sull’intero emisfero settentrionale. Quello che si verifica a Chernobyl è il peggiore incidente nella storia del nucleare civile. Uno dei peggiori nella storia della tecnologia umana. Perché si è verificato l’incidente? E cosa ci ha insegnato quella che è stata definita, tecnicamente, una catastrofe?
La risposta alla prima domanda dovrebbe contenere anche quella alla seconda. La storia, anche recente, si è incaricata di dirci che non è così. L’incidente di Chernobyl è diventata una catastrofe per il combinato disposto di almeno tre grandi ragioni.
1.La centrale nucleare con unreattore di tipo Bmrk, moderato a grafite e refrigerato con acqua bollente, è stata mal progettata. Il suo peggior difetto è che il reattore non ha alcun sistema di protezione. Solo le normali mura dell’edificio evitano che sia “a cielo aperto”. L’esplosione neppure si accorge di quelle mura e proietta senza impedimenti il suo carico inquinante nell’ambiente.

2. L’incidente è provocato da una serie incredibile di errori umani. I tecnici, nel corso di un test di sicurezza, per estremo paradosso, non rispettano alcuna norma di sicurezza finché si accorgono di aver portato il reattore fuori controllo.

3.Siamo ancora in Unione Sovietica. La protervia della burocrazia si accompagna alla codardia e all’omertà. Per giorni mancherà quella che il giovane Presidente dell’Urss e Segretario Generale del Pcus definisce la glasnost, la trasparenza. Il mondo viene avvisato tardi e male.Con più glasnost si sarebbe potuto gestire meglio l’incidente ed evitare almeno alcuni effetti non desiderabili.
Oggi sappiamo cosa è successo a Chernobyl venticinque anni fa. Conosciamo la catena di cause che hanno trasformato una serie di eventi in una catastrofe. Ma cosa ci ha insegnato Chernobyl? Che le
catastrofi tecnologiche sono quasi sempre spiegabili a posteriori, ma contengono un margine di imprevedibilità a priori. Che anche nei sistemi ritenuti più avanzati può esserci un difetto di progettazione.
Che gli incidenti sono il frutto quasi sempre di una serie di concause e quasi mai di una causa unica.
Che la glasnost, la trasparenza assoluta, è la migliore prevenzione e, nel medesimo tempo, la migliore gestione possibile anche dell’emergenza, a incidente ormai avvenuto.
Nell’ultimo anno si sono verificate due catastrofi di natura tecnologica in due paesi con tecnologia la più avanzata – alla Deepwater Horizon il 20 aprile 2010 nel Golfo del Messico, Stati Uniti, e a Fukushima in Giappone lo scorso 11 marzo – in cui tutti questi difetti si sono riprodotti come se Chernobyl nulla avesse insegnato. La piattaforma petrolifera Deepwater Horizon e la centrale di Fukushima Daiichi con ogni evidenza hanno dimostrato di essere state mal progettate.
O almeno non progettate per resistere alle condizioni in cui si sono venute concretamente a trovare. In entrambi i casi errori umani si sono sommati a cause oggettive. In entrambi i casi c’è stata una così marcata mancanza di glasnost, da impedire la migliore gestione dell’emergenza e da impedire anche ai governi di sapere tutto intempo reale. Tanto che sia il presidente degli Stati Uniti sia il premier giapponese se ne sono pubblicamente lamentati. A riprova che di Chernobyl ormai sappiamo tutto. Ma che Chernobyl nulla ci ha insegnato.

L’Unità 24.04.11