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"Chi mette le bandiere sul testamento biologico", di Michela Marzano

Ci sono dei temi che nessuno dovrebbe poter strumentalizzare. Eppure succede. Fin troppo spesso. Come se, in Italia, tutto fosse lecito. Soprattutto in periodo elettorale. Anche quando sono direttamente in gioco la sofferenza, la fine della vita, il senso della morte, come nel caso del disegno di legge sul testamento biologico. Perché morire è una della caratteristiche della condizione umana.
La vita è mortale proprio “perché” è la vita, come scriveva il filosofo Hans Jonas. Ma ognuno di noi dovrebbe poter essere riconosciuto come soggetto della propria vita fino alla fine, anche in punto di morte. Si può allora anche soltanto osare utilizzare il tema della fine della vita a scopi politici? Si può pensare di imporre, a chi ha chiaramente espresso la volontà di interrompere inutili terapie, l´alimentazione e l´idratazione forzata? Di cosa si parla quando si sventola la bandiera del “valore inalienabile della vita”?
La frattura tipicamente italiana tra coloro che assimilano l´interruzione dell´accanimento terapeutico all´omicidio e coloro che difendono l´esistenza di un diritto di morire si riapre in un clima teso, che non solo lascia poco spazio alla riflessione etica, ma che impedisce soprattutto di porre in modo corretto le questioni fondamentali che riguardano la vita e la morte di ognuno di noi. Si decide di discutere in Aula di un progetto – uno tra i tanti – senza fare lo sforzo capire cosa possa voler dire rispettare la dignità della persona quando la morte si avvicina. Ci si dilania invocando norme e valori universali senza interrogarsi su come una persona malata possa “riappropriarsi” della propria morte. Si utilizza in modo superficiale il termine “eutanasia” senza fare alcuna distinzione tra il lasciar morire e il far morire. Si dà per scontato che il medico sappia meglio di chiunque altro ciò che si deve o non si deve fare. E nel frattempo, ci si dimentica che il dramma della fine della vita ci riguarda tutti. Perché tutti, un giorno o l´altro, ci ritroveremo lì, sentendoci impotenti di fronte alle decisioni che altri vorranno prendere al nostro posto… cercando disperatamente di essere rispettati almeno un´ultima volta… soprattutto quando non c´è più niente da fare…
Uno dei tanti problemi italiani risiede nell´incapacità di affrontare alcune questioni etiche fondamentali con pacatezza e rigore. Facendo i distinguo necessari. Analizzando la complessità delle situazioni. Chiarendo una buona volta per tutte che l´interruzione dell´alimentazione e dell´idratazione forzate non c´entra niente con il far morire di fame o di sete qualcuno. Che esiste una differenza di natura morale tra la somministrazione diretta di sostanze letali – che provocano quindi automaticamente il decesso – e l´interruzione di terapie inutili che, mettendo fine all´accanimento terapeutico, possono poi anche avere un “doppio effetto” e provocare la morte del paziente. Ma in Italia si preferisce semplificare e banalizzare i problemi. Scegliere la via della facilità ideologica opponendo “dignità” e “libertà”. Riempirsi la bocca di parole che suonano bene, che ci fanno sentire in pace con la nostra coscienza, che ci trasformano in paladini del valore della vita o dell´inalienabilità dell´autodeterminazione senza interrogarsi sul “senso” di quella vita, quel dolore, quella fine… Nei Fratelli Karamazov, Dostoevskij scriveva: “Ama la vita più del senso, e anche il senso troverai”. Ma quando niente è più possibile, quando si sopravvive solo perché attaccati ad un respiratore, nutriti con una sonda gastrica e trascinati come se non si fosse altro che una macchina biologica, che senso può ancora avere il concetto di dignità? Quando si è esplicitamente chiesto che in quelle condizione si desidera essere lasciati tranquilli, partire, andarsene, in nome di cosa qualcun altro può opporsi?
In Francia, la legge del 22 aprile 2005 affronta direttamente queste questioni spinose e rappresenta un modello cui potrebbero ispirarsi gli italiani. Anche semplicemente perché questa legge è il frutto di un dibattito etico portato avanti per anni, in cui il tema della fine della vita è stato sviscerato con spirito critico, fino ad arrivare ad una soluzione equilibrata e giusta. In primo luogo, la legge ribadisce la necessità di rispettare l´autonomia personale di ogni paziente: si tratta di prendere in considerazione la volontà del malato, espressa direttamente o per mezzo di un testamento biologico, senza che, per questo, il medico rifiuti di assumere le responsabilità legate al proprio ruolo. Abbandonando il tradizionale paternalismo, la Francia accetta l´idea che ogni persona abbia il diritto di esprimere il proprio punto di vista e che il medico non debba imporre a nessuno la propria concezione della morale. E non è tutto. Dopo aver riconosciuto l´importanza del “consenso” del malato, il legislatore francese prende posizione anche rispetto all´accanimento terapeutico, e afferma la necessità, per il medico, di non lasciarsi prendere la mano “dall´ostinazione irragionevole”: le cure possono essere interrotte o mai intraprese se il loro unico fine è quello di mantenere artificialmente in vita un malato. Infine, l´art. 2 permette al medico, sempre in accordo col malato e la famiglia, di somministrare forti dosi di analgesico per lenire la sofferenza, anche se la somministrazione “può avere come effetto secondario il fatto di accorciarne la vita”. Senza domandare ai medici di intervenire direttamente per far morire il paziente, la legge francese rispetta il diritto di ogni persona di morire in modo degno. Invece di proclamare in modo astratto il valore inalienabile della vita, cerca di prendere in considerazione la specificità individuale di ogni malato.
Uno dei motivi per cui il dibattito italiano non riesce ad avanzare è la difficoltà che hanno i nostri politici, ma anche molti intellettuali, a mettere da parte le proprie credenze e le proprie prese di posizione ideologiche, per uscire dalle opposizioni di principio sterili e pericolose. Il problema non è tanto quello di opporre tra loro libertà assoluta e dignità intrinseca della vita. In entrambi i casi, si parla di qualcosa che non esiste o non ha senso. La libertà personale non è mai assoluta: la mia libertà non è solo limitata dalla libertà degli altri, ma è anche e soprattutto condizionata dai limiti della realtà, dal caso, dalle condizioni socio-economiche, dalla storia individuale di ognuno che interferisce sempre (nel bene e nel male) con le scelte che si possono fare. E un discorso analogo deve essere fatto nel caso della dignità: che valore si attribuisce realmente alla vita quando non si presta più alcuna importanza alla soggettività e quando, nel nome della dignità, si nega ogni valore alle scelte e alle decisioni individuali, ossia a tutto quello che dà senso alla vita e che ci protegge da ciò che Freud chiamava “la morte psichica”?

La Repubblica 26.04.11

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“I furbetti delle parole: giocare con i termini per negare nuovi diritti”, di Carlo Flamigni

Eterologo, infertilità, embrione: sono tante le espressioni scientifiche usate a sproposito nella discussione bioetica. Così come idratare un morente non equivale a somministrare acqua e cibo. Ora che si torna a parlare di biotestamento prepariamoci ad altri strafalcioni. Voluti. C’è chi afferma (scherzando?) che la bioetica, con le mosche e i professori universitari, è una prova indiretta dell’inesistenza di Dio, un ente supremo che non potrebbe perdere il suo tempo nella creazione di cose, persone ed enti inutili. La cosa non mi convince per niente: in realtà la bioetica (che è, tra le altre cose, un contenitore dei diritti e delle libertà dei cittadini) è utilissima a chi vuole legiferare, almeno nel nostro Paese, tenendo conto unicamente della visione etica del mondo che ci viene ammannita dalla Chiesa Cattolica, in spregio alla laicità dello Stato e ad altre simili sciocchezze. Come i nostri parlamentari la maggior parte dei quali non crede nemmeno nel radicchio vengano ripagati per questo vergognoso comportamento lo sappiamo tutti, la sopravvivenza della Chiesa cattolica nel nostro Paese è almeno in parte legata alla possibilità di gestire un notevole numero di voti e di poter garantire cose di non poco conto come la supremazia e il potere politico. Deve trattarsi di un patto realmente scellerato, visto il supporto che eminenti esponenti vaticani hanno recentemente fornito alle case di tolleranza private. Per poter garantire questo contributo la Bioetica ha dovuto piegarsi a qualche disonesto compromesso ed è stata così brava che nessuno se ne è accorto.
Prima di tutto ha scelto di essere “normativa”, tradendo così la sua fondamentale natura, che è quella di essere “descrittiva”. Pensate per un momento (di più non è conveniente) al Comitato Nazionale di Bioetica e ai suoi documenti: secondo logica e buon senso dovrebbe esaminare i problemi etici proposti dalla ricerca scientifica in campo biologico e dalla medicina per chiarirli a tutti (cittadini e parlamentari) e per consentire alla politica di proporre mediazioni rispettose di tutte le posizioni morali compatibili con i principi e i diritti di un Paese laico e democratico, come fanno tutti i Paesi civili; invece si esprime a maggioranza (sempre, rigorosamente cattolica) e toglie le castagne dal fuoco ai nostri legislatori indicando a tutti, come unica soluzione dei problemi, la via più gradita oltre Tevere. Naturalmente deve ricorrere, per poter mentire senza essere contraddetta, ad una sorta di antilingua, che si sovrappone alla terminologia medica e scientifica e la sostituisce, un’operazione che mi sembra opportuno spiegare.
Biologia e medicina, almeno per gran parte delle loro attività e conoscenze, sono discipline empiriche, non hanno niente a che fare con le cosiddette “verità scientifiche”. La medicina, dal canto suo, vive soprattutto di consensi, cioè dei pareri formulati dai suoi esperti, ai quali è affidata anche la facoltà di formulare le definizioni. I consensi sono verità parziali e temporanee, spesso destinate ad essere sostituite in tempi brevi, ma finche esistono sono la nostra unica verità, chi non l’accetta sceglie di vivere in un mondo strampalato e vagamente disonesto. Solo alcuni esempi, per chiarire meglio questo concetto.
Eterologo in biologia significa «frutto della relazione tra soggetti di due specie diverse».
Se io avessi un rapporto imprudente con una ornitorinca, il termine sarebbe appropriato; applicato a donazioni tra soggetti appartenenti alla stessa specie, no. Perché forzare il significato del termine? Semplice, per sovrapporre al concetto di donazione di gameti un elemento bestiale; poi, l’esemplare ignoranza dei nostri parlamentari fa il resto.
Ancora: Infertilità non significa sterilità ma incapacità di produrre una progenie sana e capace di sopravvivere. La parola è stata artatamente inserita nella legge 40 per creare confusione. La gravidanza inizia quando è terminato l’impianto dell’embrione (definizione dell’Oms). Il termine embrione non significa niente, va precisato, altrimenti non si capisce se il riferimento riguarda oociti attivati o penetrati, ootidi, zigoti, morule, blastocisti, gastrule e così via. La pillola del giorno dopo non è “abortigena”, lo sappiamo con certezza da almeno due anni, cioè da quando il Karolinska Institutet di Stoccolma ha dimostrato, con una sperimentazione diretta, che il levonorgestrel non impedisce gli impianti in utero. Ne consegue che non c’è più spazio per futili argomentazioni per giustificare il “principio di precauzione”, ma malgrado ciò i farmacisti chiedono di poter fare obiezione di coscienza, e presto la stessa richiesta verrà dagli ortolani, che sono costretti a vendere il prezzemolo (da cui si ottiene l’apiolo, questo veramente abortigeno).
Ma, mi chiederete, non accade mai che differenti gruppi di studiosi, che magari si sono riuniti ad insaputa gli uni degli altri, abbiano partorito “consensi” contrastanti tra loro? Ebbene sì, anche se molto raramente: ma in questi casi le differenze vengono messe a confronto e analizzate e non si usa più il termine consenso fino a che il problema è stato chiarito. E comunque, alla resa dei conti, il parere che conta è sempre quello dell’Autorità di grado più elevato che è stata chiamata in causa, quasi sempre l’Oms, altrettanto spesso le Società scientifiche competenti.
E veniamo ai problemi della fine della vita e del testamento biologico,oggi particolarmente importanti per via della vergognosa proposta di legge che il Parlamento intende approvare in tempi brevi. Sappiamo tutti che la nostra Costituzione ci consente di rifiutare le cure e che questo rifiuto non può essere disatteso. Cosa si inventa allora il Magistero cattolico per scipparci anche questo diritto? Sceglie una nuova e personale definizione e dichiara che il cosiddetto sostentamento ordinario di base, la nutrizione e l’alimentazione artificiali, non rappresentano né un atto medico né un possibile accanimento terapeutico, e che interromperle configura, da un punto di vista umano e simbolico, un crudele atto di abbandono del malato, illecito sia moralmente che giuridicamente. È chiaro che se accettassimo questa “originale” definizione, l’alimentazione artificiale non potrebbe far parte delle “cure” che la Costituzione ci consente di rifiutare e dovremmo accettare la possibilità che qualche tipo di “sollecitudine affettuosa” venisse ad inquinare la nostra povera dignità di morenti.
Poiché non sono mai stato molto impressionato dalla competenza scientifica dei teologi (non molto superiore a quella dei parlamentari) sono andato a cercare la definizione che ha dato, del “sostentamento ordinario” la Società italiana di nutrizione artificiale. Eccola: «La miscela nutrizionale è da ritenere un preparato farmaceutico che deve essere richiesto con una ricetta medica e deve essere considerato una preparazione galenica magistrale… Si tratta comunque di un trattamento medico a tutti gli effetti che prevede il consenso informato del malato o del suo rappresentante e che deve essere considerato un trattamento sostitutivo vicariante». Potete andare tranquillamente a cercare nei documenti delle Società scientifiche degli altri Paesi europei, la definizione è sempre la stessa. Non si tratta dunque di “cibo e acqua”, come scrivono i bioeticisti cattolici e idratare un morente non equivale a «procurare acqua e cibo alle persone che non sono in grado di procurarselo in modo autonomo». Questo linguaggio così evocativo e emotivamente coinvolgente del quale molti documenti cattolici sono intessuti è finalizzato a sostenere la tesi del forte significato umano, simbolico e sociale di sollecitudine per l’altro rivestito dalla somministrazione artificiale di “pane e acqua”. Mi dicono che si tratta di concezioni etiche che sono divenute parte della coscienza giuridica complessiva, capisaldi pregiuridici che non possono essere ignorati dal legislatore laico. A mio avviso è un tentativo di giustificare l’ennesima scelta di uno stato “laico” di privilegiare principi sostenuti da una specifica fede religiosa. Insomma, mentre io mi batto per il “diritto di avere diritti”, c’è chi si impegna perché su questo diritto io non possa contare, nemmeno in punto di morte.

l’Unità 26.4.11

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“Il loro progetto: trasformare il ddl in clava elettorale”, di Maria Antonietta Farina Coscioni

È questione più di ore, che di giorni. La legge sul fine vita, che sostanzialmente nega la possibilità di esprimersi con un testamento biologico, già approvata dal Senato, sarà usata dal centrodestra come una clava in campagna elettorale: nella speranza di acquisire il sostegno, sempre più flebile, della comunità dei credenti cattolici e della gerarchia vaticana. I prodromi già si sono manifestati: il devoto ministro del Lavoro Sacconi auspica «il più tempestivo esame del Ddl Calabrò»; e con lui la non meno devota sottosegretaria Roccella e vari esponenti della maggioranza.
Qualche giorno fa la richiesta del centrodestra di calendarizzare immediatamente per l’Aula la legge sulle dichiarazioni anticipata di trattamento è stata respinta, ma solo per il ritardo con il quale a Montecitorio è stata licenziata la legge sulla prescrizione breve, dopo tre settimane di serrato ostruzionismo dell’opposizione. Entro il 30 aprile dovrà essere approvato il Documento economico-finanziario e ai primi di maggio sarà la volta del testamento biologico.
È evidente che lo vogliono esibire prima del voto; e in ciò si registra significativa convergenza tra maggioranza di centrodestra e Udc: il partito di Casini ha già fatto sapere che chiederà l’inversione dell’ordine del giorno e sarà spalleggiato da PdL e Lega.
Vogliono arrivare all’approvazione del Ddl Calabrò prima che si sviluppi nel Paese un dibattito e una riflessione su una legge che se fosse conosciuta dalla pubblica opinione nei suoi termini e nelle sue pratiche conseguenze, inevitabilmente provocherebbe una massiccia reazione di rivolta. Come ha detto Benedetto Della Vedova, che ha lanciato l’allarme a nome del Fli: «Vogliono fare campagna elettorale sulla pelle dei malati e delle famiglie».
Il Ddl Calabrò, se sarà approvato, sarà la pietra tombale della libertà e dell’autodeterminazione del cittadino. Occorre fare di tutto per rallentare l’iter legislativo e far crescere la resistenza nel Paese. Per questo chiedo alle compagne e ai compagni del Pd: si può rinunciare a sostenere, come già si è fatto al Senato, l’incostituzionalità della legge che ci vogliono imporre? Possiamo rinunciare a utilizzare tutte le pieghe che il regolamento della Camera ci consente, come si è fatto per la “prescrizione breve”? Grazie alle “invenzioni” di Roberto Giachetti e alla tenacia degli altri parlamentari di opposizione abbiamo guadagnato preziosi spazi informativi, perfino la televisione di Stato, obtorto collo, è stata costretta a darne conto, sia pure in modo molto parziale. Io credo che sia una lotta necessaria, opportuna, urgente.

L’Unità 26.04.11