attualità, politica italiana

"Missili in cambio di parole", di Lucia Annunziata

Non fosse stato per i soliti spiriti animali del mercato, l’atmosfera sarebbe stata decisamente euforica. Ma anche così, anche con l’Opa di Lactalis lanciata su Parmalat proprio nel giorno della pace franco-italiana, a Palazzo Madama si è ascoltato ieri mattina un grande respiro di sollievo. Testimoni gli imperturbabili amorini degli affreschi e le eterne edere del giardino italiano, Silvio Berlusconi e Nicolas Sarkozy hanno riportato la serenità nelle relazioni fa i loro Paesi, intorno a un accordo dopo tutto semplice: bombe italiane sulla Libia in cambio di una mano francese con gli immigrati. Naturalmente, l’equazione non è stata esposta esattamente in questi termini, ma, occorre dire, non fa una piega.

La maggiore difficoltà che il premier italiano ha incontrato è stata quella di spiegare il nostro lato del patto, cioè far capire come si può contemporaneamente bombardare ma negare di farlo. La frase che ha usato è la seguente: «Ho detto e ripeto che non bombarderemo, nel senso che non useremo le bombe cluster, a grappolo, quelle cioè che colpiscono anche i civili.

Faremo solo pochi interventi con missili mirati, che colpiscono esattamente gli obiettivi». Tradotto dal gergo, l’Italia si impegna a usare solo armi intelligenti. Sarkozy invece ha dovuto sbrogliarsi dalle domande dei cronisti presenti sul suo versante più delicato, quello degli immigrati. Anche lui ha usato una lunga formula per impegnarsi ad aiutare l’Italia con gli immigrati senza irritare il suo elettorato anti-immigrati. Ha così sostenuto che la Francia è a favore del fatto che Schengen «rimanga vivo, ma perché rimanga vivo deve essere riformato». La conclusione è però solo una lettera congiunta franco-italiana al presidente del Consiglio Ue Herman Van Rompuy e al presidente della Commissione europea Manuel Barroso in cui, ha detto Berlusconi, «Abbiamo chiesto all’Ue maggiore collaborazione e solidarietà da parte dei nostri partner europei».

Questo scambio di favori – maggior impegno dell’Italia in guerra e maggior impegno a favore dell’Italia da parte della Francia con gli immigrati – sulla carta ha un suo senso. Ma a guardarlo bene, ci sono pochi dubbi che la parte più gravosa rimane sulle spalle dell’Italia: per quanto pochi possano essere i missili che lanceremo, le armi hanno una loro inevitabile materialità che pesa molto. Le lettere su Schengen invece sono impalpabilmente vaghe, promesse e impegni che sono in ogni caso, letteralmente, parole su carta. Eppure la richiesta fatta all’Italia di impegnarsi di più sul fronte della guerra con la Libia porta al Paese un indiretto riconoscimento: il coinvolgimento di Roma in quanto ex colonia e miglior amica di Gheddafi rafforza l’alleanza Nato ed evita il rischio (che è anche il terrore da parecchio tempo e su molti scacchieri da parte del Dipartimento di Stato Usa) che gli italiani facciano da scappatoia per il leader libico. Il rientro militare pieno dell’Italia come combattente nella Nato riscatta anche il nostro Paese dal rischio isolamento: «Essere stati esclusi dalle consultazioni è stato spiacevole» ha ricordato un premier inusualmente sincero. E se un prezzo da pagare interno c’è per questo nuovo ruolo guerriero – un prezzo quale il malumore della Lega- l’accordo su Schengen con la Francia può almeno essere offerto come un riequilibrio. La benedizione arrivata da Napolitano a questo nuovo ruolo italiano è la prova che almeno per ora il dossier è chiuso.

E’ rimasto aperto invece quello, scottante, delle relazioni economiche fra i due Paesi. L’importanza di questa seconda pagina nel vertice era testimoniata dalla presenza in prima fila, durante la conferenza stampa finale di Sarkozy e Berlusconi, anche dei due algidi ministri del Tesoro, Tremonti e Christine Lagarde, oltre a Frattini, Maroni per l’Italia, e al primo ministro François Fillon, Alain Juppé (Esteri) e Claude Guéant (Interno) per la Francia.

Fra Italia e Francia, come si ricorderà, si combatte da anni una battaglia di competizione industriale attraverso cui passa – dall’Alitalia agli assetti delle grandi banche – la difesa della «italianità». Alla lunga fila di casi si è aggiunto il recente tentativo della francese Lactalis di acquisire il controllo della Parmalat. Il ministro Tremonti, in difesa della italianità e di un elettorato del Nord interessato alle quote latte, si è speso in favore della Parmalat al punto di inserire il latte fra i prodotti strategici del Paese, e da proporre una modifica delle norme antiscalata.

Il mercato però non ha grande pazienza con i bizantinismi della politica – e proprio nel giorno del vertice, ieri, Lactalis ha lanciato una Opa volontaria totalitaria su Parmalat. Il nostro premier non ha gradito, e ha scusato il governo francese: «Il tempismo è tale da far escludere ogni responsabilità del governo francese». Non gli è rimasto però che prendere atto: «Auspico la creazione di grandi gruppi franco-italiani e italo-francesi che possano stare insieme nella competizione globale»; archiviando così di fatto tutte le battaglie fatte in nome della italianità. In cambio anche di questa ritirata, Sarkozy ha lodato Mario Draghi come un ottimo candidato alla guida della Banca centrale europea – ma davvero Draghi ha bisogno del voto dei francesi?

La Stampa 27.04.11