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"Politica estera: Quirinale garante", di Stefano Folli

Se si esclude una battuta del ministro Calderoli («si va di male in peggio»), ieri la Lega non ha buttato altra benzina sul fuoco in cui arde la politica estera dell’Italia. Non è poco, pensando che proprio ieri i Tornado hanno volato per la prima volta con il loro carico di bombe nel cielo sopra Misurata. Quando un partito vuole dissociarsi e provocare la caduta del governo di cui fa parte, di solito insiste, alza il tono, non dà tregua. Viceversa, Bossi e i suoi, pur nella loro irritazione, hanno evitato di compiere altri passi verso la crisi e sembrano in attesa; mentre l’offensiva di carta è affidata alla “Padania”, il foglio che riflette gli umori della base.
Un altro dato: non è in vista, almeno fino a stamane, alcun autonomo documento leghista per la seduta di martedì alla Camera. Ci sono le mozioni delle diverse opposizioni, ma non c’è il testo che segnerebbe la vera, irrimediabile frattura fra il Carroccio e il governo Berlusconi. Questo non significa che il peggio sia passato. Al contrario, l’impressione è che il paese stia attraversando un momento di estrema confusione. Non dipende solo dall’avvicinarsi del voto amministrativo a Milano e altrove. Dipende dal progressivo sfilacciamento della relazione politica fra la Lega e il Pdl.
È un logoramento i cui protagonisti si muovono con ovvia cautela, perché non si sa cosa ci sia dietro l’angolo e non conviene a nessuno passare per destabilizzatore. Ma in tanti sono scontenti: a cominciare da Maroni fino al gruppo (Calderoli) più vicino a Tremonti. Il quale a sua volta appare sotto tiro. In fondo, se Berlusconi ha ancora un amico, questi è Umberto Bossi. Ma anche il vecchio leader è deluso e dubbioso: sulla Libia e su molto altro. Non può ammettere – come ha detto con tono accorato a Napolitano – che la Lega sia ferita nella sua dignità.
Ciò significa che l’incidente libico, peraltro gravissimo, potrà essere tamponato in tempo per il dibattito a Montecitorio. Ma l’impianto di fondo della coalizione Pdl-Lega come l’abbiamo conosciuta in questi anni si sta sgretolando. Berlusconi ha costruito la sua lunga stagione politica su di una salda ed efficiente leadership personale. Riconosciuta come tale anche dagli avversari. Ma ormai è evidente – e non da oggi – che il problema del governo risiede anche nella guida. È la debolezza del leader, il più delle volte, la fonte delle contraddizioni e degli incidenti di percorso. Lo si è visto nella gestione a zig-zag della questione libica. E se ne è avuta conferma nell’incontro bilaterale con Sarkozy.
Ora il presidente del Consiglio ha una sola strada davanti a sé, come si è capito ieri sera con il colloquio al Quirinale: affidarsi senza riserve a Napolitano, nei termini ben riassunti dal ministro degli Esteri, Frattini. La cornice è quella offerta dalla risoluzione Onu, all’interno della quale il capo dello Stato ha agito fin dal primo istante. Napolitano è l’unico soggetto in grado di limare gli spigoli, anche rispetto a Bossi, con l’obiettivo di portare l’insieme delle forze politiche (escluse l’Italia dei Valori e la sinistra pacifista) a superare senza danni lo scoglio parlamentare. Se la Lega acconsente, l’impresa è tuttora possibile.
Il risultato sarà che la coerenza della politica estera italiana è garantita dal Quirinale più che dal governo. Un’anomalia, certo, ma anche l’unica via per limitare i danni e sfuggire al discredito internazionale. Lo ha capito Berlusconi e nel complesso lo ha compreso il Pd che non a caso ha presentato una mozione di grande equilibrio.

Il Sole 24 Ore 29.04.11