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"E nessuno pensa alla famiglia", di Daniela Del Boca

Il primo rapporto Ocse sul benessere familiare mette in evidenza tutti i ritardi italiani in fatto di occupazione femminile, tasso di fertilità e tasso di povertà infantile. Non stupisce, vista la cronica assenza di servizi per le famiglie in cui entrambi i genitori lavorano e la rigidità degli orari di lavoro. Ma i rilievi dell’Ocse non sono certo una novità. Il problema è che mentre nel Nord Europa da trent’anni si investe in serie politiche della famiglia, in Italia nessuno sembra preoccuparsi di questi gravi problemi.

È stato diffuso il 27 aprile il primo rapporto Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) sul benessere familiare, Doing Better for Families dedicato alle politiche per la famiglia.
Il rapporto mostra come l’Italia sia ben al di sotto della media Ocse rispetto a tre aspetti cruciali: occupazione femminile, tasso di fertilità e tasso di povertà infantile.

DONNE E LAVORO

Mentre l’occupazione femminile nell’area Ocse è aumentata di oltre 10 punti percentuali negli ultimi quindici anni, arrivando a quasi il 60 per cento nel 2009, in Italia il tasso di occupazione femminile è pari al 48 per cento, dato non diverso da quello registrato all’inizio del decennio. I maggiori problemi per le donne italiane nascono, ancora, dalla difficoltà a conciliare lavoro e famiglia. Una difficoltà che mette le donne (e ancora solo loro) di fronte alla scelta tra avere un lavoro e avere dei figli. Il risultato è che sia il tasso di occupazione femminile sia il tasso di natalità continuano a rimanere bassi.
Da ormai un decennio i tassi di fecondità in Italia si sono assestati intorno a 1,4 figli per donna. In attesa di una condizione lavorativa più stabile, i giovani postpongono sempre di più l’età in cui hanno il primo figlio e così la probabilità di non avere figli o di averne uno solo aumenta.
Il terzo nodo cruciale è la povertà infantile, il cui tasso, in Italia, si attesta al 15 per cento. La percentuale sale però al 22 per cento quando solo uno dei due genitori ha un lavoro. Il lavoro delle madri è un importante strumento di protezione dei figli dal rischio di povertà.

Grafico 1. Occupazione della madre e rischio di povertà dei minori

Nei paesi dove le madri lavorano di più, i figli sono meno poveri. L’Italia, come si vede dal grafico 1, è uno dei paesi con più alti tassi di povertà e più bassi tassi di partecipazione. (1)
L’occupazione delle madri, se contribuisce a sostenere i redditi delle famiglie con figli, non sembra avere un effetto negativo sui risultati scolastici dei figli, soprattutto quando è sostenuta da una rete adeguata di servizi per l’infanzia.
Come emerge dai dati Invalsi, c’è una correlazione positiva tra partecipazione al lavoro e risultati scolastici in italiano per la seconda elementare. (2)

Grafico 2. Correlazione tra partecipazione femminile e risultati scolastici in italiano, seconda primaria

FAMIGLIE ABBANDONATE DALLA POLITICA

Nel nostro paese, si spende solo circa l’1,4 per cento del Pil per le famiglie con bambini, contro una media dei paesi Ocse del 2,2 per cento. Solo il 12 per cento dei bambini al di sotto dei tre anni usufruiscono dei servizi pubbliciall’infanzia, mentre il numero degli asili aziendali è tutt’oggi molto ridotto.
Una volta a scuola, solo il 6 per cento dei bambini tra i sei e gli undici anni è iscritto a servizi di pre e dopo scuola, in parte a causa di finanziamenti ridotti. La flessibilità degli orari di lavoro svolge ancora un ruolo limitato nell’aiutare i genitori a conciliare lavoro e famiglia: meno del 50 per cento delle imprese con 10 o più dipendenti offre flessibilità ai propri dipendenti e il 60 per cento dei lavoratori dipendenti non è libero di variare il proprio orario di lavoro. La situazione è decisamente peggiorata con i tagli determinati dalla riforma della scuola, che ha ridotto sia l’occupazione femminile sia gli orari scolastici.
Con uno scarso accesso a servizi di pre e dopo scuola, per i genitori è complicato avere un lavoro a tempo pieno. L’alternativa è spesso un lavoro part-time, opzione scelta dal 31 per cento delle donne in Italia, ma solo dal 7 per cento degli uomini. Così, le donne finiscono per dedicare al lavoro non retribuito molto più tempo degli uomini: in media, più di cinque ore al giorno le donne e meno di due ore al giorno gli uomini. Si tratta della più ampia disparità di genere nei Paesi Ocse dopo Messico, Turchia e Portogallo.

Ma i dati riportati qui e nel rapporto Ocse non sono certo una novità: sono stati oggetto di molti studi e dibattuti in varie sedi. Proprio la coincidenza di queste tre problematiche era il focus della relazione sulla conciliazione presentato alla Conferenza nazionale della famiglia (a Firenze nel maggio 2007), organizzata dall’allora ministro della Famiglia Rosy Bindi. Da allora, le cose non sono cambiate, se mai, in assenza di interventi pubblici, sono peggiorate.(3)
L’Ocse, alla fine del rapporto, propone una serie di raccomandazioni ai governi dei paesi membri: aiutare le famiglie a conciliare impegni di lavoro e di cura della casa e dei figli attraverso un sistema integrato di congedo, cura e sostegno sul posto di lavoro per i genitori di bambini piccoli; progettare sistemi di congedo parentale che incoraggino anche i padri ad accrescere il loro impegno nelle responsabilità di custodia dei bambini; iniziare a investire nelle politiche per la famiglia; sostenere le famiglie povere con interventi progettati in modo da mantenere gli incentivi al lavoro.
Nella maggior parte dei paesi del Nord Europa si investe da un trentennio nella famiglia, con una visione lungimirante che riconosce le donne come importanti motori dell’economia, dove le famiglie in cui si lavora in due fanno da stimolo alla crescita dei servizi, nella convinzione che bambini meno poveri oggi vuol dire studenti migliori e adulti più preparati domani. In Italia invece nessuno sembra preoccuparsi di questi fenomeni né prendere in considerazione le raccomandazioni dell’Ocse o delle altre istituzioni che da anni raccomandano più interventi a favore delle famiglie. Anche nel Documento di economia e finanza di Tremonti non c’è alcun accenno a misure concrete per invertire queste tendenze così gravi.

(1) Del Boca D. e Mancini A. “Child poverty in Italy”, Collegio Carlo Alberto 2011.
(2) Brilli Y., Del Boca D. e Pronzato C. “Exploring the role of Child Care in Italy”, Collegio Carlo Alberto 2011.
(3) Gli aspetti più importanti delle relazioni sulla famiglia e sui giovani alla Conferenza nazionale della famiglia di Firenze sono stati pubblicati nel volume Famiglie Sole di Daniela del Boca e Alessandro Rosina, Il Mulino 2009.

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