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Le donne e il lavoro Camusso: addio sogni era meglio negli anni ´50

«Sembra paradossale, ma una donna coraggiosa negli anni Cinquanta poteva progettare la sua vita lavorativa molto più di quanto riescano a fare oggi le giovani donne prigioniere della precarietà e del non lavoro». I titoli di coda scorrono sullo schermo. Susanna Camusso, esattamente da sei mesi prima donna alla guida del più grande sindacato italiano, ha appena visto il film “Il primo incarico”, esordio alla regia per Giorgia Cecere. Protagonista, sempre in scena, una bravissima Isabella Ragonese. Proiezione nella sala intitolata a Giuseppe Di Vittorio nella sede della Cgil nazionale. Nei cinema arriverà venerdì.
Non è un film sul lavoro. O almeno non sembra pensato così. «Ma il lavoro è la chiave per l´emancipazione», dice Camusso. È la storia di Filomena, detta Nena, che vive a Cisternino e vince un concorso per andare a insegnare alla scuola elementare di Castrignano del Capo. Centocinquanta chilometri di distanza tra l´uno e l´altro, due paesini nel Salento con poche strada asfaltate e carri trainati ancora dai cavalli. Sud arretrato alla vigilia del nostro miracolo economico. L´emancipazione del lavoro, e delle donne, d´altra parte cominciò così. “Mi mandano lontano”, dice Nena alla madre. Lontano dalla famiglia, lontano dal fidanzato, borghese latifondista. Lontano come oggi nel mondo globalizzato non è più nulla.
Nena ha studiato da privatista e ha trovato un lavoro. «È il binomio istruzione-lavoro che non c´è più», riflette Camusso. «La rottura di oggi è che l´istruzione è diventata un percorso normale al quale, però, non corrisponde il lavoro. Non c´è più un progetto lavorativo, non c´è più alcuna certezza da questo punto di vista». Precarietà. «Che, paradosso per paradosso, interessa sempre più chi ha una scolarità alta. Nena vince un concorso. Ma chi ha più oggi l´opportunità di farlo un concorso? Il nostro è un mondo chiuso. Lo è perché senza un lavoro stabile sei meno libero. Hai meno autonomie, a cominciare da quella finanziaria, Vale più per le giovani donne che per i coetanei uomini. Perché per una donna senza lavoro si accresce, ancora oggi, la dipendenza familiare».
Nostalgia degli anni Cinquanta? Istinto conservativo? Quello che a giorni alterni appiccicano alla Cgil? «Ma per carità! La mia è la constatazione di una profonda ingiustizia. Questo è un Paese che sta disprezzando l´istruzione, che sta sottovalutando la funzione della scuola, che sta scivolando verso il degrado. E aggiungo: denunciarlo è l´opposto del conservatorismo».
Nena se ne va. Rompe con la famiglia (il padre non c´è, ma questo è un film di donne o di uomini che interpretano parti tipicamente “femminili”), sfida i pregiudizi dei nuovi paesani, soffre. Conquista i suoi piccoli e pochi scolari, ruba l´amore per rabbia. Spavalda. Il suo lavoro le dà autonomia. E coraggio. «Eppure – sostiene Camusso – non è un caso di proto-femminismo. Quella di Nena è un´altra storia. È l´emancipazione di una donna che però non mette in discussione il modello relazionale. Infatti accetta di sposare il manovale che seduce per una ripicca al fidanzato fedifrago. Ma lo fa proprio perché è forte della sua autonomia. Lei, più di mezzo secolo fa, può decidere la sua vita. Perché ha un lavoro». Potrebbe chiedere il “trasferimento al Nord” (così dice) oppure tornare al suo paesino dalla mamma e la sorellina. Invece farà la scelta che meno ti aspetti. Libera, con il suo lavoro. «Oggi, nel nuovo secolo, una giovane donna istruita può “scappare” dall´Italia. A cercare lavoro, però», chiosa Susanna Camusso, accendendo l´ennesima sigaretta, e uscendo dalla sala intitolata a Giuseppe Di Vittorio che della Cgil fu il leader fino agli anni Cinquanta.

La Repubblica 03.05.11