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"Avvocati e architetti: un giovane su due lavora gratis in studio", di Isidoro Trovato

E gli Ordini vogliono il tirocinio all’università. Sono i liberi professionisti di domani. Ma oggi praticanti e stagisti di libero hanno davvero poco. Almeno questo è quanto emerge da un’indagine condotta dall’Ires per Filcams Cgil sul mondo delle professioni. Il dato più impressionante è rappresentato dalla natura del rapporto: i giovani che si accostano al mondo professionale vengono utilizzati come dei dipendenti con orari fissi e carichi di lavoro che impediscono di svolgere attività in proprio. Basti pensare che quasi la totalità (84,5%) deve garantire una presenza quotidiana, il 76,8%oltre alla presenza deve anche rispettare un orario di lavoro e la media di ore lavorate è quella di un impiego in full-time: 38 ore. Inoltre l’utilizzo dei praticanti e dei tirocinanti, in tutte le aree professionali, avviene in maniera intensa e a orario pieno: il 77,2%ha delle scadenze rigide, il 41,7%ha «spesso» un ritmo di lavoro elevato, il 27,8%non ha abbastanza tempo per ultimare il lavoro. Impegno molto alto ma ben retribuito? Per niente. Proprio l’aspetto economico è la fonte del maggior disagio degli aspiranti professionisti: dall’indagine emerge che il 91,6%del campione è insoddisfatto della retribuzione. Ma essere insoddisfatti della paga è già un privilegio perché quasi la metà dei praticanti uno stipendio non lo riceve proprio: solo poco più della metà del campione (il 54,1%) riceve un compenso mensile per l’attività di tirocinio, con una percentuale un po’più alta per i praticanti dell’area economica (68,3%). Una situazione a dir poco imbarazzante che costringe due tirocinanti su tre (65,5%) a ricorrere spesso agli aiuti della propria famiglia di origine per fare fronte alle difficoltà economiche e il 26,4%ci ricorre solo «qualche volta» , mentre solo l’8,1%non ci ricorre mai. E non si tratta di un dettaglio di poco conto considerato che l’età media dei praticanti sfiora i trent’anni, epoca in cui bisognerebbe essere in grado di far a meno degli aiuti della famiglia d’origine. Del resto, basta fare un giro tra i forum di stagisti, tirocinanti e praticanti per capire che la paga è davvero il primo problema: il livello retributivo cambia da città a città e da un settore all’altro ma raramente un praticante riceve più di mille euro netti al mese. Per questo non sorprende che solo il 35%dei giovani vive la pratica come un’esperienza utile per inserirsi nel mondo del lavoro, mentre il 18,3%la considera una perdita di tempo e il 46,7%la giudica un obbligo (o un fastidio necessario). Possibili soluzioni? Oggi il consiglio dei ministri dovrebbe valutare la proposta del ministro Sacconi di applicare anche ai praticanti un tipo di contratto come quello dell’apprendistato che possa garantire maggiori tutele. Ma l’obiettivo non è semplice da raggiungere visto che le varie aree professionali hanno caratteristiche molto diverse. «Si va dai sei mesi ai tre anni— — spiega Marina Calderone, presidente del Comitato unitario delle professioni— senza considerare quelle che non prevedono periodo di praticantato. E’per questo che risulta difficile trovare un’intesa sul terreno retributivo. Invece ci trova concordi l’ipotesi di un tirocinio da svolgere in Università, sotto il controllo degli ordini professionali» .

Il Corriere della Sera 05.05.11