attualità, politica italiana

"Il prezzo che paghiamo", di Stefano Fassina

Ieri, oggi, domani. Ieri: il Consiglio dei ministri si è riunito per varare l`ennesimo, sedicente, “Decreto sviluppo” e nominare una decina di sottosegretari ed un consigliere del principe per tentare di arginare l`emorragia elettorale in vista del 15 e 16 maggio e pagare la cambiale firmata il 14 dicembre scorso ai cosiddetti “responsabili”.
Oggi: lo sciopero generale promosso dalla Cgil contro la politica economica classista ed inefficace del Governo e per affermare un programma per l`equità, la crescita ed il lavoro. Domani: le assise degli imprenditori di Confindustria a Bergamo, per la prima volta senza Ministri e Presidente del Consiglio, per rimarcare la disillusione oramai diffusa anche tra quanti avevano creduto all` “imprenditore prestato alla politica” e chiedere alle forze politiche, non al Governo Berlusconi, una svolta.
Le tre giornate “accidentalmente” in fila descrivono meglio di qualunque raffinata analisi politologica il segno dei tempi tristi e sempre più difficili nei quali si trascina l`Italia nel crepuscolo di Berlusconi. Il nesso di causalità tra ieri e oggi e domani non potrebbe essere più chiaro. Da una parte, il governo e la maggioranza Pdl-Lega impegnata in un`intensa offensiva mediatica e populista per coprire la vera missione dell`esecutivo Berlusconi: salvare il premier dai suoi guai giudiziari. Dall`altra, il Paese reale: i lavoratori e le lavoratrici, gli studenti, i pensionati schiacciati da condizioni di vita e di lavoro sempre più precarie ed incerte; gli imprenditori stressati dalle pressioni della competizione globale ed in debito d`ossigeno a causa di una ripresa sempre dietro l`angolo, ma sempre più a rischio nell`Unione Europea delle destre mercantiliste. Lo scarto tra circuito politico-mediatico e la quotidianità è stridente.
Il rumore è insostenibile. Siamo dentro una fase pericolosissima non soltanto per l`economia, ma soprattutto per la democrazia. I nostri rischi di populismo sono più elevati che nel resto dell`Europa. Non viene pagata soltanto da Berlusconi o, in parte, dalla Lega la distanza dal Paese reale. È la politica in quanto tale che appare lontana ed autoreferenziale. L`anti-politica si fa sempre più strada.
Così, rilevano i sondaggi, vengono colpite le istituzioni fondative della democrazia, prima tra tutte il Parlamento. All`origine della delegittimazione, ricordava l`altro giorno su queste pagine Alfredo Reichlin, l`impotenza della politica rinchiusa nei recinti degli Stati nazionali, prigioniera dell`economia globale. Poi, in più per noi, un`infame leggeelettorale, i continui episodi di trasformismo ben remunerato e l`agenda sequestrata per approvare gli scudi giudiziari per il Capo. Così, soltanto due italiani su dieci si fidano del Parlamento. Insomma, una crisi di sistema, non una ordinaria crisi di governo.
La seconda ragione dei nostri maggiori rischi di populismo è frutto di un apparente paradosso: il declino di Berlusconi e l`utilizzo sempre più spinto del berlusconismo. Per tentare di recuperare il contatto con la realtà, Berlusconi al tramonto accentua i caratteri del berlusconismo. Oscilla tra posture eversive da super-uomo (l`esercito a Napoli per risolvere una volta per tutte la piaga rifiuti), l`ulteriore apertura all`utilizzo privatistico della cosa pubblica (concessioni novantennali delle spiagge; innalzamento delle soglie degli appalti a trattativa privata) e l`ennesima sollecitazione al fai da te amorale, spalleggiato dal “delfino” Tremonti (Piano casa per condonare ex-onte l`abusivismo edilizio a scavalco delle competenze federaliste; allentamento dei controlli sulle imprese). In altri termini, l`offensiva mediatica e populista rilanciata dal decreto sviluppo di ieri non avviene nel vuoto.
Al contrario, poggia su scelte concrete e rilevanti. Messaggi pericolosi, ma attraenti per larghi settori in difficoltà economica e poco sensibili alla legalità, al civismo, alla solidarietà responsabile come unica possibile
via alla crescita sostenibile. Le classi dirigenti italiane sottovalutano i danni profondi determinati dal crepuscolo di Berlusconi alla tenuta morale, economica e sociale del Paese. Far finta di non vedere è colpa grave. Anche perché l`accentuazione del berlusconismo avviene in una fase più grave di quella del `92-`93. Più grave per le condizioni delle nostre istituzioni repubblicane.
Più grave per la tenuta dei soggetti della rappresentanza. Più grave per la lacerazione del tessuto economico e sociale del Paese. Nel `92-`93, la parte migliore delle classi dirigenti della politica, della cultura, della burocrazia, delle forze economiche e sociali seppe unirsi per salvare l`Italia.
Oggi, con maggiore determinazione di allora,dobbiamo ritrovare quel patriottismo costituzionale e rigenerare la nostra Repubblica democratica fondata sul lavoro.

L’Unità 06.05.11