attualità, politica italiana

"Il solletico di Giulio", di Pier Paolo Baretta

Troppo o niente? È il paradossale quesito proposto dal decreto per lo sviluppo approvato dal consiglio dei ministri. In attesa della vera manovra di almeno 7 miliardi, che non tarderà a essere varata, il governo scodella un testo di dieci articoli e 50 pagine segnato da titoli altisonanti: credito di imposta per la ricerca e il Sud, turismo, opere pubbliche, costruzioni private, semplificazione burocratica e fiscale, impresa e credito, scuola e merito, servizi ai cittadini. Ci si aspetterebbe la famosa scossa, ma, invece, sembra, al più, un solletico, destinato, più che altro, ad alleviare il prurito di interessi particolari, senza una idea generale di sviluppo e di crescita.
Peraltro, non c’è da stupirsi: solo pochi giorni fa la maggioranza ha approvato un piano nazionale di riforma del tutto inadatto allo scopo che l’Europa ci ha richiesto ed era difficile pensare che, all’improvviso, il neo candidato ufficiale alla successione tirasse fuori dalla manica assi che non ha.
Continua dunque, la linea del bluff accentuata dal momento pre-elettorale e dalla esigenza di fare propaganda. Ed ecco che ritorna il “silenzio assenso” nel piano casa, ma per quali città e quali tipi di abitazioni? Si promettono le assunzioni dei precari, rinviata a un successivo decreto ministeriale (e questo non lo è?), ma senza chiarire davvero quanti ed il quanto tempo; al tempo stesso, in un paese che ha una percentuale di investimenti in istruzione del 4,5% rispetto a una media Ocse del 5,7%, è del tutto fuori luogo l’enfasi sul capitolo “Scuola e merito”, che si limita alla istituenda Fondazione per il merito, che avrà il compito di governare il Fondo per il merito previsto dalla riforma Gelmini dell’università. La rinegoziazione dei mutui, ma per utilizzarla bisogna non superare i 30000 euro di Isee e non essere morosi (cioè quando non è indispensabile ricorrere alla proroga!). Il credito di imposta per il Sud o la ricerca, che ricalcano le agevolazioni già previste dal governo Prodi e che il governo Berlusconi non aveva rinnovato o aveva vanificato con il meccanismo dei tetti di spesa e delle prenotazioni, ma che, nella versione odierna, la stessa Confindustria ha definito esagerato, per non dire demagogiche (il 90%!), anche perché non sono ancora indicate le risorse per renderlo fruibile e che dovrebbe essere finanziato con i fondi europei (Fse e Fesr) per i quali è necessaria l’autorizzazione comunitaria, in assenza della quale sarà ancora una volta utilizzato il Fas.
Infine, la riscrittura del codice degli appalti e la semplificazione normativa sembrano più una circolare ministeriale che un intervento di riforma. Sarebbero questi i «requisiti di straordinaria necessità e urgenza» che giustificano il ricorso al decreto legge?
È clamoroso lo scarto tra la lunga pletora di provvedimenti raffazzonati e la situazione reale del paese che emerge da tutti gli indicatori sull’occupazione, il reddito, la competitività. Scarto confermato dagli stessi dati forniti dal governo: il Pil non cresce come servirebbe, non solo per agganciare la timida ripresa internazionale e per restare nella serie a delle potenze europee e mondiali, ma anche per accelerare, come è indispensabile, il risanamento di quella drammatica palla al piede che è il nostro debito pubblico, arrivato al 120% del Pil.
Ma, sarebbe sbagliato fermarsi al “niente” che caratterizza, dal punto di vista delle scelte per la crescita, tutta la legislatura. Nel decreto, infatti, c’è tanto! Quel troppo che incide nella organizzazione economica e sociale e che Tremonti pratica con scelte frammentate per evitare un confronto generale. È così che il piano per il rilancio del turismo diventa un “diritto di superficie” per 90 anni; cioè una sostanziale pre vendita di spiagge e coste; che il silenzio assenso diventa un incentivo alla “demolizione e ricostruzione”.
Norme che destrutturano vincoli ambientali e abitativi, senza le doverose verifiche preventive con le categorie interessate e gli enti locali, favorendo il rischio di un uso incontrollato del territorio.
Resta la carta di identità elettronica! È un po’ poco per parlare di decreto per lo sviluppo!

da Europa Quotidiano 06.05.11