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"Draghi alla Bce sulla poltrona più scottante", di Mario Deaglio

Lo scarno annuncio dell’appoggio – quasi certamente decisivo – del governo tedesco alla candidatura di Mario Draghi, governatore della Banca d’Italia, alla carica di presidente della Banca Centrale Europea (Bce) è stato dato, sicuramente per caso, nel giorno dell’arrivo ad Atene della delegazione dell’Unione Europea e del Fondo Monetario Internazionale, incaricata di concordare i termini della politica greca di austerità. E ha trovato la capitale greca paralizzata dall’ennesimo sciopero generale precisamente contro quella politica di austerità. Pochi giorni prima, l’Eurostat, l’istituto statistico europeo, ha certificato che il debito pubblico tedesco ha superato quello italiano in valore assoluto, divenendo il terzo del mondo.

Draghi è stato quindi invitato ad accomodarsi su una poltrona che scotta, nel momento più difficile della storia dell’euro, in un quadro di generale confusione del mercato finanziario internazionale. Il debito greco è la punta di un iceberg che potrebbe sconvolgere il quadro politico-economico globale e non solo quello europeo: ci si accorge oggi che l’ammissione della Grecia nella zona euro è stata avventata e che la Grecia si trova in una situazione caotica non solo finanziaria ma anche, e soprattutto politica e civile.

Eppure sarebbe un disastro per tutti lasciarla fallire, ossia, per dirla in termini più diplomatici, permetterle di «ristrutturare» il proprio debito.

Come ha spiegato molto chiaramente in un’intervista a La Stampa di martedì il membro italiano del consiglio della Bce, Lorenzo Bini Smaghi, la mancanza di una propria moneta da parte della Grecia impedirebbe il normale funzionamento di quell’economia mentre la crisi si estenderebbe ad altri paesi dell’area euro. I tedeschi che invocano la massima severità contro Atene si farebbero del male da soli perché sono proprio le banche tedesche ad avere in portafoglio gran parte del debito greco e la loro conclamata solidità sarebbe compromessa. In queste condizioni, il compito più urgente e delicato del presidente della Bce, non è quello, pur importante di vigilare contro l’inflazione strisciante degli ultimi mesi bensì quello, assai più arduo, di impedire da un lato la svalutazione/ristrutturazione del debito greco e dall’altro di riportare l’economia greca – in tempi ragionevoli ma non così stretti come quelli attualmente previsti – verso un funzionamento normale che le permetta di adempiere ai propri doveri di debitore. La stessa politica – in condizioni, peraltro, meno acute – deve essere svolta nei confronti di Irlanda e Portogallo, gli altri due Paesi europei affetti da una grave «malattia finanziaria».

Il nuovo responsabile dell’euro deve quindi avere alle spalle ampia esperienza, per coniugare chiarezza e determinazione sulle strategie e flessibilità sulle mosse tattiche per realizzarle. La cancelliera Merkel non ha trovato in Germania la persona adatta, per l’«estremismo liberista» dei suoi alleati di governo. Axel Weber, presidente della Deutsche Bank e candidato in pectore ha dimostrato di possedere la chiarezza (anche troppa) ma di non avere un briciolo di flessibilità e in aprile ha lasciato l’incarico. Martedì si è dimesso il ministro dell’Economia, il liberale Bruederle.

A Draghi sarà molto preziosa l’esperienza come attuale presidente del Financial Stability Board un organismo internazionale che ha il compito di seguire gli sviluppi della crisi finanziaria e di fare proposte per modificare i meccanismi che ne hanno permesso l’insorgere e che ancora ampiamente l’alimentano. Anche perché non solo in Europa ma neppure sul più vasto orizzonte mondiale Draghi potrà contare su acque tranquille. Tutte le monete sono, infatti, in fermento: sul dollaro pesa l’ombra di un debito pubblico meno affidabile di un tempo, di un deficit pubblico di dimensioni analoghe a quello greco, di un deficit commerciale che, come risulta dai dati diffusi ieri, non accenna a diminuire nonostante la forte perdita di valore del dollaro nell’ultimo anno. Non vanno purtroppo dimenticate neppure le particolari difficoltà del Giappone, oppresso da un debito pubblico ormai pari al doppio del prodotto interno lordo e costretto a incrementarlo ancora per finanziare la difficile ricostruzione dopo il terremoto. La Cina, inquieta per un marcato pericolo inflazionistico, sta a guardare mentre l’uso commerciale della sua moneta, continua a espandersi negli scambi commerciali asiatici in parziale alternativa al dollaro.

In quest’ampia prospettiva sono riduttive le considerazioni tipicamente italiane. Molti in Italia saranno tentati di considerare la partenza di Draghi per Francoforte soprattutto in termini politici locali, ossia come l’uscita di scena di un potenziale presidente del Consiglio di un eventuale governo di transizione o di emergenza, il che, al momento attuale, è francamente irrilevante. E soprattutto gli italiani dovranno scordarsi l’antico vizio della «raccomandazione» e cioè non pensare che, dal suo ufficio nella «torre dell’euro» di Francoforte, Draghi possa o voglia avere un occhio di riguardo per l’Italia. Gli italiani avranno soltanto il vantaggio che deriva dalla ovviamente profonda conoscenza della situazione italiana da parte del nuovo presidente della Bce il che potrà evitare eventuali malintesi. Ogni deviazione dall’attuale, severo programma di rientro dagli attuali livelli di deficit e debito da parte di un qualsiasi governo italiano nei prossimi anni rimarrà assolutamente vietata.

La Stampa 12.05.11

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“Il miracolo del Governatore”, di MASSIMO GIANNINI

In questa buia notte della Repubblica, oltre al Quirinale c´è un´altra istituzione che brilla di luce propria. È la Banca d´Italia. Draghi alla Bce è un tributo al prestigio e alla credibilità della nostra banca centrale.

candidato ufficialmente da Tremonti e incoronato virtualmente dalla Merkel: Mario Draghi a Francoforte, con sfumature diverse, è una tripla vittoria. Per la Banca d´Italia, per il governatore e per il governo. Con il via libera della Germania, che sarà formalizzato al vertice dei capi di stato e di governo del prossimo giugno, si corona un successo sul quale fino a pochi mesi fa nessuno avrebbe scommesso un euro. Un italiano alla guida della Banca centrale europea. La più importante istituzione europea. Nata dal tormentato parto di Maastricht, erede della Bundesbank e perciò custode di quell´ortodossia valutaria e di quel rigore finanziario in nome del quale i tedeschi, marchiati a fuoco dalla superinflazione devastante di Weimar, hanno sacrificato il culto sacro del marco. L´unico organismo comunitario e costituzionale al quale gli Stati d´Europa, indecisi a tutto su ogni altro versante dell´esistenza in vita dell´Unione, hanno concretamente ceduto una quota «strategica» della propria sovranità. La moneta, simbolo e veicolo di un´effettiva identità sovranazionale, e la politica monetaria, strumento di «governo» dei prezzi e di gestione del costo del denaro.
Se questo «miracolo» è stato dunque possibile, lo si deve prima di tutto al ruolo che la Banca d´Italia, nel corso di un secolo di storia, ha saputo conquistare e difendere dentro e fuori dai confini nazionali. Lo si deve alla competenza e all´indipendenza che gli uomini cresciuti tra le mura di Palazzo Koch hanno sempre saputo garantire. Anche nei momenti più oscuri della vicenda italiana, dai tempi dello scandalo della Banca romana a quelli del crac della banca di Sindona, quando galantuomini come Paolo Baffi e Sarcinelli, per non cedere alle pressioni del malaffare politico-economico, subirono l´onta delle manette. Lo si deve all´autorevolezza che i governatori forgiati a quella scuola, da Einaudi a Menichella, da Carli a Ciampi, hanno sempre saputo esprimere. Al punto da diventare una preziosa «riserva della Repubblica» alla quale attingere nelle fasi più tortuose della vita politica del Paese.
Se questo «miracolo» è stato possibile, lo si deve poi in secondo luogo alla persona di Mario Draghi. Solo un personaggio con le sue credenziali, nato in Bankitalia, passato alla Banca Mondiale, cresciuto alla direzione generale del Tesoro negli anni ruggenti delle privatizzazioni e della risanamento dei conti pubblici in vista del traguardo dell´euro, forgiato al Financial Stability Board per riscrivere le regole della finanza, poteva riuscire a piegare l´asse franco-tedesco e a convincere i tetragoni monetaristi di Eurolandia che sì, anche un italiano, benché assai speciale, può coltivare quella «cultura della stabilità» sulla quale poggiano le fondamenta dell´Eurotower di Francoforte. Solo un civil servant con la sua preparazione e la sua dirittura etico-morale poteva vincere il pregiudizio di qualche cancelleria intorno al suo passaggio in Goldman Sachs, e al tempo stesso risollevare le sorti della Banca d´Italia, «sporcata» dal fango dell´estate dei «furbetti del quartierino», dagli «ingressi secondari a Via Nazionale» riservati agli amici, dai «baci in fronte» di Fazio e Fiorani.
Se questo «miracolo» è stato possibile, lo si deve in terzo luogo al buon lavoro fatto da Giulio Tremonti, l´unico ministro che, al di là dei suoi clamorosi limiti nella gestione della politica economica interna, gode di una qualche fiducia sulla scena europea. Può darsi che qualche effetto l´abbia avuto anche l´incosciente arrendevolezza di Berlusconi nei confronti di Sarkozy all´ultimo bilaterale italo-francese, sui temi dell´immigrazione, della Libia, della scalata di Lactalis a Parmalat. Di certo ha giovato la trama dei rapporti diplomatici tessuti in questi mesi dal ministro dell´Economia. In tutti i casi, se l´operazione Draghi andrà in porto questo sarà un grande risultato per il governo italiano, di cui gli va dato atto. Tanto più perché matura dentro un ciclo che vede il nostro Paese oggettivamente sprofondato al punto più basso della sua reputazione internazionale.
Ma ora che il «miracolo» si è avverato, bisogna evitare che si produca un danno. La scelta del nuovo governatore della Banca d´Italia è un capitolo delicato, da affrontare con la stessa cura e la stessa perizia usata per promuovere il governatore attuale alla Bce. Si fronteggiano due linee di successione. Una interna, l´altra esterna. I nomi che circolano, da Fabrizio Saccomanni a Ignazio Visco, da Lorenzo Bini-Smaghi a Vittorio Grilli, sono tutti validi. La nomina spetta al presidente del Consiglio, che la propone alla controfirma del Capo dello Stato. Berlusconi e Tremonti farebbero bene a rispettare la continuità e l´autonomia dell´Istituto. È il bene più prezioso, e non va disperso. Speriamo che questa bella giornata per l´Italia sia un buon viatico anche per la sua banca centrale.

La Repubblica 12.05.11